Cesari di palazzo della Loggia
I Cesari sono un ciclo di trenta busti scolpiti in marmo (circa 100×100 cm), ventiquattro di Gasparo Cairano e sei del Tamagnino, i primi databili tra il 1493 e il 1503, i secondi eseguiti tra il 1499 e il 1500, conservati sui prospetti esterni del palazzo della Loggia a Brescia. A questi si aggiungono altri quattro esemplari più piccoli eseguiti da Gasparo Cairano tra il 1503 e il 1508 e collocati sul cavalcavia tra il palazzo e l'edificio dello scalone a nord, più altri tre esemplari, due di profilo e uno di fronte, dello stesso autore e databili allo stesso periodo collocato sul portale dello stesso edificio. StoriaLa produzione scultorea del Cairano per il rivestimento esterno del costruendo palazzo della Loggia parte a pieno regime il 30 agosto 1493, a un anno e mezzo dall'inizio del cantiere dell'edificio, con la consegna di "capita 5 imperatorum romanorum", ossia di cinque busti per il ciclo dei trenta Cesari[1], così come riportato nel XVIII secolo da Baldassarre Zamboni attingendo dai perduti libri contabili del palazzo pubblico[2]. I pagamenti allo scultore per il resto degli esemplari sono registrati fino al 1503 con cadenze irregolari, che lasciano scoperti gli anni 1494, 1496, 1499 e 1502, intercalati da pagamenti al medesimo scultore per molti altri tipi di materiale lapideo. Ogni busto viene pagato 10 lire planette con l'eccezione di due esemplari, consegnati nel 1497 e nel 1498, pagati solamente 8 lire, mentre di quattro non si hanno informazioni sull'ammontare del compenso. Inoltre, i dati reperiti dallo Zamboni enunciano solamente ventuno esemplari dei ventiquattro eseguiti dal Cairano e, in ogni caso, da nessun pagamento è possibile risalire con esattezza all'esemplare di riferimento, causa la genericità delle annotazioni[3]. Il monopolio di Gasparo Cairano sui Cesari viene interrotto solamente durante una breve estemporanea del Tamagnino a Brescia, reclutato nel cantiere della Loggia probabilmente per la fama acquisita nei lavori alla Certosa di Pavia, tra la fine del 1499 e l'inizio del 1500[4]. All'arrivo del Tamagnino nel 1499, il Cairano ha già consegnato almeno cinque Cesari e diverso altro materiale lapideo, tuttavia in quell'anno è registrato solamente il pagamento di una protome virile, dato che il lavoro dell'artista è completamente assorbito dai due Trofei angolari giganti, da poco cominciati[5]. Nel novembre 1499, il Tamagnino si insidia rumorosamente nel monopolio del concorrente, consegnando ben quattro Cesari e tre protomi leonine e mettendo in mostra le sue capacità e il suo calibro[2]. Tuttavia, nei sette mesi successivi le consegne dello scultore prendono uno strano andamento: mentre al Cairano si susseguono anticipi e saldi per i soli Trofei, in una vera e propria cesura produttiva che non registra altri suoi lavori, il Tamagnino realizza due soli Cesari e ben diciassette protomi leonine, la più ingente quantità di questi pezzi registrata nel cantiere della Loggia in un periodo così ristretto[5]. Notare che il ciclo delle protomi leonine prevedeva manufatti molto più seriali e ripetitivi di quello delle protomi virili, tanto da essere considerato secondario e al quale operarono molti altri lapicidi di bassa levatura[5]. Inoltre, ogni opera del Tamagnino viene pagata palesemente molto meno rispetto ai saldi medi per i manufatti dello stesso tipo. A titolo di paragone, noto che venti soldi costituiscono una lira veneziana, si consideri che il 27 maggio 1500 allo scultore vengono saldate otto protomi leonine a 45 soldi l'una (poco più di due lire), mentre in altre note contabili, per gli stessi manufatti, il lapicida Gaspare da Carsogna riceve tre lire ciascuna, Iacopo Campione due lire e Girolamo di Canonica tre lire, senza contare Gasparo Cairano a cui vengono pagate anche 8 lire per ogni protome virile consegnata[2]. I suoi Cesari, sei in totale e pure assolutamente pregevoli, vengono praticamente relegati sui due fianchi sud e ovest, di fatto sul retro del palazzo e nell'angolo meno frequentato[6][7]. Davanti a tale deprezzamento del proprio lavoro, diventa plausibile l'idea che con il sesto e ultimo Cesare consegnato, identificabile nell'esemplare più scadente dell'intero ciclo, il Tamagnino intendesse schernire collega e committenti, che per la seconda volta a Brescia ne avevano sabotato il successo, o quantomeno il giusto riconoscimento, ignorando e sottostimando il suo lavoro[8]. Dopo questi eventi, il Tamagnino abbandona Brescia probabilmente per sempre, lasciando Gasparo Cairano unico protagonista del panorama artistico scultoreo locale[8]. L'unicità e la rilevanza di questo ciclo vengono onorate[9] dalla citazione a stampa del De Sculptura di Pomponio Gaurico, edito a Firenze nel 1504[10]. L'umanista offre allo scultore bresciano un lusinghiero memoriale in latino, non casualmente citando il Palazzo della Loggia e l'incomparabile ciclo dei Cesari: (LA)
«Dignus et qui nominetur Brixiani praetorii architectura et Caesaribus Gaspar Mediolanensis» (IT)
«Meritano di essere nominati l'architettura del palazzo pretorio di Brescia e i Cesari di Gasparo Milanese» Questa annotazione conferisce un grande onore allo scultore e ai suoi Cesari, nonché all'intera architettura della Loggia, che ad appena dodici anni dall'inizio del cantiere trovavano posto a fianco dei grandi protagonisti della scultura italiana di tutti i tempi, in una pubblicazione di profonda cultura artistica ed espressamente dedicato a questioni figurative, unico scultore lombardo nominato oltre a Cristoforo Solari[11][12]. Tra il 1503 e il 1508 sono databili anche i quattro busti sul cavalcavia tra il palazzo pubblico e l'edificio con lo scalone a nord, compreso il portale dell'edificio stesso e gli ultimi tre busti ivi collocati, portando il totale degli esemplari a ben trentasette[13]. Durante i primi anni del XXI secolo i busti sui lati est e nord, compresi quelli del cavalcavia e il portale dello scalone, vengono ripuliti dalla patina di sporcizia e dalle incrostazioni, riportandoli a una migliore condizione di lettura critica in termini di tecnica e qualità artistica[3]. DescrizioneOgni singolo busto è collocato in apposito vano circolare nei pennacchi di ogni singola campata delle arcate affacciate all'esterno, dunque due busti per ogni fornice. Vi sono sei esemplari sul prospetto est e altrettanti su quello ovest, dieci su quello sud e otto sul fronte nord, dato che la campata mediana su questo lato è occupata dall'innesto del cavalcavia sul vicolo sottostante, che collega il palazzo pubblico all'edificio dello scalone. Sul medesimo cavalcavia sono collocati altri quattro busti, mentre tre, due di profilo e uno frontale, sono tra le membrature architettoniche del portale dello stesso edificio. StileLa produzione dei busti di Gasparo Cairano si può ricondurre, a livello generale, a una rielaborazione moderna della ritrattistica antica e delle fonti che la rappresentavano, anche in modo indiretto[1]: nel primo busto sud del prospetto est, tra i primi ad essere eseguiti, si notano somiglianze con il ritratto di Bartolomeo Colleoni nel suo monumento di Andrea del Verrocchio a Venezia[14], il cui modello era sicuramente già stato approntato prima della morte dello scultore nel 1488, mentre un altro rivela affinità con una nota e molto diffusa effigie di Antonino Pio[15] e un altro ancora con un ritratto di profilo di Nerone[16], a sua volta molto celebre all'epoca e qui riproposto in tre dimensioni[1]. Inoltre, già nel 1900 il Meyer rileva le somiglianze tra questi busti e le teste in terracotta di Agostino Fonduli per la sagrestia della chiesa di Santa Maria presso San Satiro a Milano[17], mentre Giovanni Agosti, nel 1995, ne rileva gli influssi da Leonardo da Vinci[18]. I busti del Tamagnino, invece, non sembrano presentare particolari riferimenti artistici[3]. In generale, è apprezzabile un considerevole salto di qualità rispetto agli Apostoli del santuario dei Miracoli, scolpiti appena qualche anno prima[19]: notare come il ciclo dei Cesari non abbia eguali nella precedente produzione scultorea rinascimentale sul tema delle effigi imperiali e non solo per l'entità numerica, ma anche per le notevoli dimensioni di ogni esemplare[20]. La presenza di questi Cesari sui fronti della Loggia di Brescia, nonché le caratteristiche dello stesso palazzo, sono quindi testimonianza di un potenziamento architettonico e figurativo che si distacca, elevandosi in un pieno dominio dell'arte classica, dalle sperimentazioni della facciata e degli interni del santuario dei Miracoli[21]. Gasparo Cairano, attraverso la produzione di questi Cesari e dei successivi ornati architettonici del palazzo, diventa quindi l'artefice di un desiderio comune alla committenza pubblica e privata bresciana, ossia tradurre nella pietra il proprio vanto per la discendenza storica dalla Roma antica e cavalcando così il fervore rinascimentale locale[21][22]. Tuttavia, anche questi primi Cesari non raggiungono l'impronta classica e l'espressività dei cinque busti databili tra il 1503 e il 1508 collocati quattro sul cavalcavia e tre sul portale dello scalone del palazzo. I primi quattro sono lievemente più piccoli di quelli per i fronti della Loggia e, assieme alle altre membrature architettoniche dell'apparato in cui sono collocati, riprendono le linee del palazzo pubblico e fungono perciò da raccordo tra quest'ultimo e l'edificio con lo scalone, situato a nord. Sono tutti di ottima qualità tecnica ed esecutiva, con comunque un'attenzione maggiore per i due busti rivolti verso la piazza rispetto a quelli sul retro. In particolare, il più pregevole e riuscito, soprattutto in termini di espressività e interpretazione degli esemplari romani, risulta essere il Cesare sinistro del lato est del cavalcavia, appunto verso la piazza. In esso si rileva un'abile commistione tra i particolari naturalistici dell'incarnato e un efficace classicismo nello sguardo trasognato, con un evidente approccio all'arte di Tullio Lombardo[23]. Note
Bibliografia
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