Monumento equestre a Bartolomeo Colleoni
Il Monumento equestre a Bartolomeo Colleoni è una statua bronzea (altezza 395 centimetri senza la base) di Andrea del Verrocchio, realizzata tra il 1480 e il 1488 e situata a Venezia in Campo San Zanipolo. Si tratta della terza statua equestre del Rinascimento, dopo il monumento al Gattamelata di Donatello a Padova, del 1446-1453 e la statua di Nicolò III d'Este di Leon Battista Alberti (1451). StoriaNel 1479 la Repubblica di Venezia decretò la realizzazione di un monumento equestre per il condottiero Bartolomeo Colleoni, morto nel 1475, da collocarsi in campo Santi Giovanni e Paolo. Nel 1480 ne affidò l'esecuzione ad Andrea Verrocchio, che avviò l'opera a Firenze nella sua bottega. Nel 1481 il modello di cera venne mandato a Venezia, dove nel 1486 si trasferì l'artista per attendere alla fusione a cera persa del bronzo. Andrea morì nel 1488 a lavoro non terminato (esisteva però già sicuramente un modello in creta), e nel suo testamento aveva nominato erede ed esecutore dell'opera incompiuta il fiorentino Lorenzo di Credi, ma la Signoria veneziana gli preferì Alessandro Leopardi, artista locale. La riassegnazione non deve essere giustificata col fatto che Lorenzo era essenzialmente un pittore: era infatti consueto, in una bottega polivalente come quella di Verrocchio, che gli allievi acquisissero pratica nelle diverse tecniche artistiche, stimolando la formazione di una nuova figura di artefice plurispecializzato che divenne frequente tra gli artisti della maniera moderna[1]. Interessante è quanto scrive Giorgio Vasari nella sua celeberrima opera Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori riguardo alla realizzazione di quest'opera. «Volendo in tanto i Viniziani onorare la molta virtù di Bartolomeo da Bergamo, mediante il quale avevano avuto molte vittorie, per dare animo agli altri, udita la fama d'Andrea, lo condussero a Vinezia, dove gli fu dato ordine che facesse di bronzo la statua a cavallo di quel capitano, per porla in sulla piazza di San Giovanni e Paolo. Andrea dunque, fatto il modello del cavallo, aveva cominciato ad armarlo per gettarlo di bronzo, quando, mediante il favore d'alcuni gentiluomini, fu deliberato che Vellano da Padova facesse la figura, et Andrea il cavallo. La qual cosa avendo intesa Andrea, spezzato che ebbe al suo modello le gambe e la testa, tutto sdegnato se ne tornò senza far motto a Firenze. Ciò udendo, la Signoria gli fece intendere che non fusse mai più ardito di tornare in Vinezia, perché gli sarebbe tagliata la testa, alla qual cosa scrivendo rispose che se ne guarderebbe, perché spiccate che le avevano, non era in loro facultà rappiccare le teste agl'uomini, né una simile alla sua già mai, come arebbe saputo lui fare di quella che gli avea spiccata al suo cavallo, e più bella. Dopo la qual risposta che non dispiacque a que' Signori, fu fatto ritornare con doppia provisione a Vinezia, dove racconcio che ebbe il primo modello, lo gettò di bronzo ma non lo finì già del tutto, perché esendo riscaldato e raffreddato nel gettarlo, si morì in pochi giorni in quella città, lasciando imperfetta non solamente quell'opera, ancor che poco mancasse al rinettarla, che fu messa nel luogo dove era destinata, ma un'altra ancora che faceva in Pistoia, cioè la sepoltura del cardinale Forteguerra, con le tre virtù teologiche et un Dio Padre sopra, la quale opera fu finita poi da Lorenzetto scultore fiorentino.» Descrizione e stilePer la realizzazione del gruppo Andrea si rifece alla statua equestre del Gattamelata di Donatello, alle statue antiche di Marco Aurelio, dei cavalli di San Marco e del Regisole (opera tardoantica a Pavia, perduta nel XVIII secolo), ma tenne anche presente l'affresco con Giovanni Acuto di Paolo Uccello e quello con Niccolò da Tolentino di Andrea del Castagno in Santa Maria del Fiore a Firenze. Il più grande problema di questo tipo di rappresentazioni era la statica: se infatti si voleva rappresentare il cavallo al passo, con una zampa sollevata per dare un segno di maestoso incedere, ciò comportava notevoli preoccupazioni per le opere, poiché il pesantissimo bronzo veniva a essere legato a tre appoggi relativamente esili rappresentati dalle zampe del cavallo. Donatello a Padova risolse il problema con prudenza, tramite lo stratagemma di far posare lo zoccolo alzato su una sfera. Verrocchio fu il primo a riuscire con successo nell'impresa di appoggiare il monumento su tre sole zampe. Successivamente riuscì a fare di meglio solo Pietro Tacca nel 1636-1640, con il Monumento equestre a Filippo IV (Plaza de Oriente, Madrid), virtuosisticamente poggiata su due sole zampe. L'opera di Verrocchio si discosta dall'illustre precedente di Donatello anche per i valori stilistici dell'opera. Al concentrato e sereno incedere del Gattamelata, Verrocchio contrappose un condottiero impostato secondo un inedito rigore dinamico, con il busto impettito ed energicamente ruotato, la testa saldamente puntata verso il nemico, le gambe rigidamente divaricate a compasso, la gestualità grintosa e vitale[1]. Le linee di forza ortogonali (orizzontale nel profilo superiore del dorso e del collo del cavallo, verticale della figura del condottiero) amplificano l'effetto dinamico. Altre differenze si riscontrano nell'armatura (più leggera e "all'antica" quella di Donatello, moderna e completa con l'elmo quella di Verrocchio) e nella sellatura. Il cimiero del Colleoni crea una zona d'ombra sul volto che lo incornicia rendendo più espressiva la mimica facciale corrucciata. Note
Bibliografia
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