Bradipi terricoli

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Bradipi terricoli
Scheletri in mostra all'AMNH (da sinistra) Megalocnus rodens, Scelidotherium cuvieri, Megalonyx wheatleyi e Glossotherium robustus
Stato di conservazione
Fossile
Classificazione scientifica
DominioEukaryota
RegnoAnimalia
PhylumChordata
ClasseMammalia
SuperordineXenarthra
OrdinePilosa
SottordineFolivora (partim)
Famiglie

I bradipi terricoli o bradipi giganti sono un gruppo eterogeneo di bradipi estinti, del superordine dei mammiferi xenarthri. Il termine viene usato per riferirsi a tutti i bradipi estinti di grandi dimensioni che prediligevano uno stile di vita terrestre, al contrario dei bradipi arboricoli odierni. I bradipi caraibici, furono gli ultimi bradipi giganti ad estinguersi, sopravvivendo nelle Antille forse fino al 1550 a.C. Tuttavia, la datazione al radiocarbonio suggerisce un'età compresa tra il 2819 e il 2660 a.C. per l'ultima occorrenza di Megalocnus a Cuba.[1] All'epoca i bradipi terrestri che vivevano sui continenti americani si erano estinti già da 10.000 anni o più.[2] Si pensa che i bradipi caraibici siano sopravvissuti per altri 5.000-6.000 anni nei Caraibi, per via del loro isolamento insulare, estinguendosi solo in seguito alla successiva colonizzazione da parte dell'uomo.[3]

Gran parte dell'evoluzione dei bradipi terricoli ha avuto luogo tra il tardo Paleogene ed il Neogene sudamericano, mentre il continente era isolato dal Nord America. Sin dalla loro prima apparizione nella documentazione fossile, i bradipi terricoli erano già distinti a livello familiare. La presenza di isole intermedie tra i continenti americani nel Miocene permise a questi animali di disperdersi in Nord America dando origine a nuove forme e specie. Si pensa che alcune di queste specie di piccole-medie dimensioni abbiano raggiunto le Antille rimanendovi poi isolate. Questi animali erano molto resistenti e versatili, come evidenziato dalla loro diversificazione a livello di specie e di nicchie ecologiche, oltre al loro vasto areale, come documentato dal ritrovamento dei loro resti in Patagonia (Monumento naturale della Cueva del Milodón)[4] e in alcune parti dell'Alaska.

I bradipi e gli xenarthri nel loro insieme rappresentano uno dei gruppi sudamericani che ebbero maggior successo durante il Grande scambio americano. Durante lo scambio, diversi taxa si spostarono dal Sud America al Nord America, dove sono stati identificati almeno cinque generi di bradipi terricoli; questi sono esempi di immigrazione di successo nel nord.

Famiglie

I paleontologi assegnano più di 80 generi di bradipi terricoli a più famiglie:[5]

Megalonychidae

I bradipi terricoli megalonychidi fecero la loro apparizione nel tardo Eocene, circa 35 milioni di anni fa, in Patagonia. I megalonychidi raggiunsero per la prima volta il Nord America spostandosi da un'isola all'altra, prima della formazione dell'istmo di Panama. Alcuni lignaggi di megalonychidi aumentarono di dimensioni con il passare del tempo. Le prime specie più primitive erano di piccole dimensioni e forse in parte arboricole, ma già dal Pliocene (circa 5 a 2000 mila anni fa) la maggior parte di esse aveva raggiunto la metà delle dimensioni del grande Megalonyx jeffersonii del Pleistocene superiore, vissuto durante l'ultima glaciazione. Alcune specie insulari delle Indie occidentali avevano le dimensioni di un grosso gatto; la loro condizione nana caratterizzava sia l'adattamento tropicale che il loro ristretto ambiente insulare. Si crede che le loro piccole dimensioni consentissero loro di condurre uno stile di vita semi-arboreo.[6]

Megalonyx, il cui nome significa "artiglio gigante", era un genere nordamericano molto diffuso che visse oltre la fine dell'ultima glaciazione (Wisconsin), in un periodo in cui la maggior parte della megafauna nordamericana si stava estinguendo. Si trattava anche di un animale piuttosto comune e diffuso i cui resti sono stati ritrovati fino a nord dell'Alaska[7] e dello Yukon.[8][9] Gli scavi in corso nella valle di Tarkio, nel sud-ovest dell'Iowa, potrebbero rivelare qualcosa anche sulla vita familiare di questo animale; un esemplare adulto è stato trovato in associazione diretta con due giovani di età diverse, suggerendo che gli adulti si prendessero cura dei giovani di generazioni diverse.[10][11]

Il primo megalonychide nordamericano conosciuto, Pliometanastes protistus, visse negli Stati Uniti meridionali circa 9 milioni di anni fa, e si ritiene fosse l'antenato di Megalonyx. Sono state nominate diverse specie di Megalonyx; infatti è stato affermato che "quasi ogni buon esemplare è stato descritto come una specie diversa".[8] Tuttavia, una prospettiva più ampia sul gruppo, tenendo conto di età, sesso, variazioni individuali e geografiche, indica che solo tre specie sarebbero valide (M. leptostomus, M. wheatleyi e M. jeffersonii), vissute tra il Pliocene superiore e Pleistocene dell'America settentrionale,[12] anche se gli studi di McDonald elenchino almeno cinque specie. Il bradipo terrestre di Jefferson ha un posto speciale nella paleontologia moderna, poiché la lettera di Thomas Jefferson su Megalonyx, letta all'American Philosophical Society di Filadelfia nell'agosto 1796, segnò l'inizio della paleontologia dei vertebrati in Nord America.[8] Quando Lewis e Clark partirono, Jefferson ordinò a Meriwether Lewis di tenere gli occhi aperti per i bradipi, sperando che qualche esemplare fosse sopravvissuto nella catena occidentale. La stessa specie Megalonyx jeffersonii è stato appropriatamente nominata in onore di Thomas Jefferson.[8]

Megatheriidae

Scheletro di Megatherium americanum, al Natural History Museum di Londra

I bradipi terricoli megateridi sono stretti parenti dei megalonychidi; queste due famiglie, insieme alla famiglia Nothrotheriidae, formano l'infraordine Megatheria. Tuttavia, al contrario dei megalonychidi, i megateridi apparvero solo successivamente durante l'Oligocene superiore, circa 30 milioni di anni fa, anche in Sud America. Il gruppo comprende alcuni dei più grandi animali mai apparsi sulla terra, come Megatherium (il cui nome significa appunto "grande bestia"[13]) ed Eremotherium. La loro stessa struttura ossea era adatta a sopportare il loro grande peso, con ossa spesse e articolazioni ancora più spesse (specialmente quelle sulle zampe posteriori) conferendo ai loro arti un'enorme forza che, combinato con le loro dimensioni e i grandi artigli, fornivano una formidabile difesa contro i predatori.

Il primo megateride nordamericano fu Eremotherium eomigrans, arrivato in Nord America 2,2 milioni di anni fa dopo aver attraversato il ponte di terra panamense formatosi recentemente. Con più di cinque tonnellate di peso, 6 metri di lunghezza e in grado di raggiungere i 5,2 metri d'altezza quando in posizione eretta, era più grande di un maschio di elefante africano. A differenza di altre specie simili, questa conservava ancora un artiglio extra plesiomorfo. Mentre altre specie di Eremotherium avevano quattro dita con solo due o tre artigli, E. eomigrans aveva cinque dita, quattro delle quali con artigli lunghi fino a 30 centimetri.[14]

Nothrotheriidae

Solo recentemente riconosciuti, i bradipi terricoli nothrotheriidi sono spesso associati ai megateridi, e insieme i due formano la superfamiglia Megatherioidea. I membri più importanti del gruppo sono il genere sudamericano Thalassocnus, noto per essere acquatico, e Nothrotheriops del Nord America.

Gli ultimi bradipi del Nord America appartenenti a Nothrotheriops si sono estinti così recentemente che il loro letame subfossile è rimasto perfettamente conservato in alcune grotte. Uno degli scheletri, trovato in un tunnel di lava (grotta) nell'Aden Crater, adiacente a Kilbourne Hole, nel Nuovo Messico, aveva ancora pelle e capelli conservati, ed è ora allo Yale Peabody Museum. I campioni più grandi di sterco di Nothrotheriops si trovano nelle collezioni dello Smithsonian Museum. Un altro Nothrotheriops è stato ritrovato a Shelter Cave, sempre nella Contea di Doña Ana, Nuovo Messico.

Mylodontidae

Scheletro di Paramylodon harlani, al Texas Memorial Museum, Università del Texas a Austin

I bradipi terricoli mylodontidi insieme ai loro parenti orofodontidi formano Mylodonta, la seconda radiazione dei bradipi terricoli. La scoperta dei loro fossili in caverne associate all'occupazione umana ha portato alcuni ricercatori a teorizzare che i primi umani costruissero dei recinti per allevare giovani bradipi come animali da macello.[15] Tuttavia, le date al radiocarbonio non supportano l'occupazione simultanea del sito da parte di esseri umani e bradipi.[16] I resti subfossili, come coproliti, pelliccia e pelle, di questi animali sono noti da diversi siti. L'American Museum of Natural History ha esposto un campione di sterco di Mylodon argentino con una targa che recita "donato da Theodore Roosevelt".[17][18][19][20]

Scelidotheriidae

La famiglia dei bradipi terricoli scelidotheridi venne retrocessa, nel 1995, a sottofamiglia Scelidotheriinae all'interno di Mylodontidae.[21][22] Sulla base dei dati sulla sequenza del collagene che mostrano che i suoi membri sono più distanti da altri mylodontidi rispetto ai Choloepodidae, la Scelidotherinnae è stata nuovamente elevata allo status di famiglia, nel 2019.[23] Insieme a Mylodontidae, l'enigmatico Pseudoprepotherium e i bradipi didattili, gli scelidotheridi formano la superfamiglia Mylodontoidea. Chubutherium è un membro ancestrale e molto plesiomorfo di questa sottofamiglia e non appartiene al gruppo principale di generi strettamente correlati, che includono Scelidotherium e Catonyx.

Orophodontidae

La precedentemente riconosciuta famiglia di bradipi terricoli orophodontidi costituisce un gruppo piuttosto piccolo ma abbastanza distinto. Queste specie sono state classificate come una superfamiglia distinta di mylodonti, gli Orophodontoidea, il sister taxon di Mylodontoidea. Il taxon è ora spesso in disuso con membri del genere riassegnati a Megalonychidae e Mylodontidae.[24]

Filogenesi

Scheletro (sopra) e ricostruzione (sotto) di Nothrotheriops shastensis

Il seguente albero filogenetico della famiglia dei bradipi si basa sui dati della sequenza del DNA mitocondriale e del collagene (vedi Fig.4 di Presslee et al., 2019).[23]


  Folivora  
Megalocnidae
   (Bradipi caraibici)  

Neocnus dousman

Parocnus serus

Neocnus comes

Acratocnus ye

  Nothrotheriidae  

Nothrotheriops shastensis

  Megatheriidae  

Megatherium americanum

  Megalonychidae  

Megalonyx jeffersoni

Bradypodidae (Bradipi tridattili)

Megatherioidea
  Scelidotheriidae  

Scelidotherium sp.

Scelidodon sp.

Choloepodidae (Bradipi didattili)    

  Mylodontidae  

Lestodon armatus

Paramylodon harlani

Mylodon darwinii

Glossotherium robustus

Mylodontoidea

Note

  1. ^ R.D.E. MacPhee, Iturralde-Vinent, M.A. e Vázquez, O.J., Prehistoric Sloth Extinctions in Cuba: Implications of a New 'Last' Appearance Date (PDF), in Caribbean Journal of Science, vol. 43, n. 1, College of Arts and Sciences, University of Puerto Rico, Giugno 2007, pp. 94–98, DOI:10.18475/cjos.v43i1.a9. URL consultato l'11 maggio 2009 (archiviato dall'url originale il 20 luglio 2011).
  2. ^ Stuart Fiedal, Sudden deaths: The chronology of terminal Pleistocene megafaunal extinction, in Gary Haynes (a cura di), American Megafaunal Extinctions at the End of the Pleistocene, Springer, 2009, pp. 21–37, DOI:10.1007/978-1-4020-8793-6_2, ISBN 978-1-4020-8792-9.
  3. ^ D.W. Steadman, Martin, P.S., MacPhee, R.D.E., Jull, A.J.T., McDonald, H.G., Woods, C.A., Iturralde-Vinent, M. e Hodgins, G.W.L., Asynchronous extinction of late Quaternary sloths on continents and islands, in Proceedings of the National Academy of Sciences, vol. 102, n. 33, United States National Academy of Sciences, 16 agosto 2005, pp. 11763–11768, Bibcode:2005PNAS..10211763S, DOI:10.1073/pnas.0502777102, PMC 1187974, PMID 16085711.
  4. ^ C.M. Hogan (2008)
  5. ^ Modified from McKenna & Bell (1997)
  6. ^ J.L. White (1993)
  7. ^ C. Stock, A ground sloth in Alaska, in Science, vol. 95, n. 2474, AAAS, 29 maggio 1942, pp. 552–553, Bibcode:1942Sci....95..552S, DOI:10.1126/science.95.2474.552, PMID 17790868.
  8. ^ a b c d Harrington (1993)
  9. ^ H.G. McDonald, Harington, C.R. e de Iuliis, G., The Ground Sloth Megalonyx from Pleistocene Deposits of the Old Crow Basin, Yukon, Canada (PDF), in Arctic, vol. 53, n. 3, Calgary, Alberta, The Arctic Institute of North America, Settembre 2000, pp. 213–220, DOI:10.14430/arctic852. URL consultato il 16 Agosto 2008 (archiviato dall'url originale il 3 luglio 2020).
  10. ^ Semken and Brenzel, http://slothcentral.com/?page_id=2 Archiviato il 1º gennaio 2009 in Internet Archive.
  11. ^ Semken e Brenzel, One Sloth Becomes Three, in Newsletter of the Iowa Archeological Society, vol. 57, 2007, p. 1.
  12. ^ Kurtén & Anderson, 1980, p. 136.
  13. ^ G. Cuvier (1796)
  14. ^ De Iuliis and Cartelle (1999)
  15. ^ A. S. Woodward (1900)
  16. ^ Darren Naish, Fossils explained 51: Sloths, in Geology Today, vol. 21, n. 6, Geologists' Association, Geological Society of London and Blackwell Publishing, 28 Novembre 2005, pp. 232–238, DOI:10.1111/j.1365-2451.2005.00538.x. URL consultato il 29 Gennaio 2009 (archiviato dall'url originale l'8 ottobre 2012).
  17. ^ C.M. Bell, Did elephants hang from trees? - the giant sloths of South America, in Geology Today, vol. 18, n. 2, 2002, pp. 63–66 (see p. 66), DOI:10.1046/j.1365-2451.2002.00334.x.
  18. ^ T.R. Roosevelt, Letter from Theodore Roosevelt to George Herbert Sherwood, su theodorerooseveltcenter.org, Dickinson State University, 4 gennaio 1915. URL consultato il 12 Ottobre 2019.
  19. ^ Roosevelt Collections, su amnh.org/exhibitions, AMNH. URL consultato il 12 Ottobre 2019.
  20. ^ D. Warren, The ground sloth, su Essays in Idleness, 28 Maggio 2016. URL consultato il 12 Ottobre 2019.
  21. ^ Scelidotheriinae, basic info [collegamento interrotto], su PaleoBiology Database.
  22. ^ T.J. Gaudin, The Ear Region of Edentates and the Phylogeny of the Tardigrada (Mammalia, Xenarthra), in Journal of Vertebrate Paleontology, vol. 15, n. 3, 14 Settembre 1995, pp. 672–705, DOI:10.1080/02724634.1995.10011255, JSTOR 4523658.
  23. ^ a b S. Presslee, G. J. Slater, F. Pujos, A. M. Forasiepi, R. Fischer, K. Molloy, M. Mackie, J. V. Olsen e A. Kramarz, Palaeoproteomics resolves sloth relationships, in Nature Ecology & Evolution, vol. 3, n. 7, 2019, pp. 1121–1130, DOI:10.1038/s41559-019-0909-z, PMID 31171860.
  24. ^ Orophodontidae, su Paleobiology Database. URL consultato il 24 maggio 2021 (archiviato dall'url originale il 13 ottobre 2012).

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