Belin (linguistica)Belin (trascritto da alcune grafie nella forma bellin, pronuncia in italiano [be'lin], in ligure [be'lɪŋ][1]) è un sostantivo maschile della lingua ligure che indica il pene. Il termine è usato come intercalare tipico del ligure, comunemente utilizzato dai liguri anche quando parlano in italiano (nell'italiano regionale ligure). Se ne fa uso in prevalenza per comunicare all'interlocutore una forma di sorpresa, stupore o incitamento, similmente ad accidenti o caspita, ma il suo utilizzo e i suoi significati possono essere molto ampi e variegati. Ad esempio il significato della frase cambia a seconda di dove viene posizionata la parola: «belin che focaccia» sta a significare «che buona questa focaccia», spostando la parola in fondo alla frase come in «che fugassa do belin» il significato muta in «che schifo questa focaccia». Una sfumatura del significato è usata generalmente con tono goliardico, amichevole e familiare nei più vari contesti. Il termine ricorre anche in molte canzoni genovesi.[2] Il termine, oltre a essere utilizzato in tutta la Liguria, è usato nelle altre zone in cui è diffusa la lingua genovese, come nell'Oltregiogo, nella bassa Lunigiana, specialmente nelle zone di confine con la val di Magra, nelle comunità tabarchine di Carloforte e Calasetta in Sardegna. A Bonifacio e in Corsica risulta piuttosto in disuso, mentre è utilizzato anche da Mentone fino a Nizza. Si tratta dell'interiezione o esclamazione più usata nella lingua ligure, tanto nel dialetto genovese, quanto nei dialetti savonese, intemelio e nello spezzino. SignificatiIl termine è usato soprattutto come intercalare durante il discorso o esclamazione. Se usato all'inizio della frase può servire come incipit per una domanda ("Belìn, pioverà mica, stamattina?", alla stregua di "Che ne dici, pioverà questa mattina?"), o sottolineare una sensazione di sorpresa ("Belìn, e chi se l'aspettava?" alla stregua di "Ma dai, e chi se l'aspettava?"), in quest'ultimo caso la parola si può anche porre in mezzo alla frase ("sono uscito da casa e, belin, ha iniziato a diluviare", in modo simile a "sono uscito di casa e, perbacco, ha iniziato a diluviare"). Usato nel mezzo di una perifrasi, serve come pausa rafforzativa, alla stregua di "caspita" ("Sono andato a far la spesa stamattina e, belìn, mi sono dimenticato il portafogli a casa!"). Se usato alla fine della frase può indicare una forma di orgoglio o lagnanza verso l'azione descritta, a seconda del tono ("Sono andato a far la spesa anche stamattina, belìn!": in caso di lagnanza come sinonimo di "uffa"; in caso di tono orgoglioso come sinonimo di "hai visto?") Nonostante l'etimologia, la parola non ha più un vero e proprio senso volgare o offensivo. Può assumerlo discrezionalmente, ma come significato di base si avvicina a "accidenti", "caspita" o "altroché". Al fine, comunque, di limitare l'uso del termine nel linguaggio quotidiano senza tuttavia rinunciare alla tipica musicalità di questo intercalare, alcuni genovesi sono soliti storpiarlo in belì-scimu (bellissimo) o altre varianti come "belinda", "belan", "belandi" o "beleru" (prive di significato). Questo fenomeno ricorre soprattutto tra i madrelingua liguri presso i quali il termine è etichettato a tutti gli effetti come una paròlla do gatto (parolaccia). La parola 'belìn' ha una grande varietà di significati a seconda della sua intonazione. Rispondere a una domanda - per esempio "hai mangiato?" - con belìn può indicare: che si ha mangiato troppo ("altroché!"); che si ha mangiato bene ("alla grande!"); in tono sarcastico per indicare che al contrario si ha mangiato poco ("sì, proprio..."). La comunicazione non verbale, gestualità, tono e mimica facciale sono quindi determinanti nel cogliere le diverse accezioni. Il termine può assumere tono e significato affermativo, stupito, rafforzativo (i più comuni), risentito, iroso, sconsolato, ironico, beffardo e altro ancora. EtimologiaSecondo due ipotesi piuttosto diffuse, la parola deriverebbe da termini molto antichi. Da Belanu (o Belenos, Belemnus), divinità protoceltica della luce, della fecondità e della procreazione ed adorata anche dagli antichi Liguri entrati in contatto e convivenza stanziale con popolazioni celtiche. Un'altra teoria propone che il termine sia stato assimilato direttamente, sia dai Celti sia dai Liguri, dall'incontro con le popolazioni mediorientali, in particolare con i Fenici, attraverso il Mediterraneo. In accadico si trova, infatti, Bel con il significato di "Signore", nome comune fenicio del babilonese Marduk, e innu che significa nostro: Bel innu è dunque letteralmente "Nostro Signore", forse incrociato con bêl bêlim "Signore dei Signori". Attribuito ad una divinità fallica assume per trasposizione il significato popolare di "pene". Per Bel e Innu. La radice protoceltica *ballos deriva dal proto-indoeuropeo * bʰel- ("gonfiarsi") ed associato al greco antico φαλλός phallós e al latino follis. Questo lemma ha dato gli antroponimi, Ballomar (ballo- che significa "arto, membro" e maro che significa "grande"; grande membro) e Andonnoballus (an- intensivo, -donno- che significa "bruno" o "nobile" e ballo; membro bruno o membro nobile). Secondo altre ipotesi, invece, il termine è affine a "budello" o "budellino" (buelu), (bela) inteso come la parte dell'intestino crasso di taluni animali usata per gli insaccati. L'affinità sarebbe dovuta quindi alla forma del budello. Ma la parola budellino (buelin, beelin) sembra da escludere sia per il valore diminutivo/spregiativo[senza fonte]. È da notare che bëlin[3] o bèlin[4], in macelleria, è la punta di culaccia e ci sono macellai che ancora la conoscono come tale. Nel testo del 1894 Dell'idioma e della letteratura genovese; studio seguìto da un Vocabolario etimologico genovese di Carlo Randàccio[5] la parola belin è inserita tra le parole "francesi antiche" con il sinonimo di bélier, che significa ariete, maschio di ovino non castrato utilizzato per la riproduzione. Gli studi più recenti smentiscono l'esistenza delle radici etimologiche citate finora. Secondo il linguista genovese Fiorenzo Toso, docente di Linguistica generale all'Università degli Studi di Sassari e autore del Piccolo dizionario etimologico ligure (Zona, 2015 Lavagna), il termine si è radicato a Genova e dintorni in un periodo piuttosto recente: infatti, nonostante la sua attuale diffusione, è attestato in documenti scritti soltanto a partire dal 1894 (mentre la variante savonese abbellinou – cioè, “minchione, ingenuo, credulone” – compare 52 anni prima). Il professor Toso sostiene che la parola sia arrivata dall'Italia settentrionale padana, dove tra XV-XVI secolo l'espressione belin appare nel dialetto astigiano. Inoltre trova corrispondenza in parole simili diffuse nei territori di Cremona, Brescia, Mantova, Reggio Emilia e Modena: tutte derivate di “bello”, col significato di “giocattolo”, però usate anche per alludere al pene[6]. VariantiEsistono anche le forme eufemistiche belandi e belan (nello spezzino, derivate da bel'àngiou = bell'angelo), così come belìscimu (=bellissimo, diffusa nel ponente) o berrettin, usate soprattutto dalle donne o in contesti in cui si voglia cancellare l'allusione sessuale del termine o in conversazione con persone con cui non si ha particolare confidenza o familiarità. In alcuni varianti locali del ligure, per esempio nel dialetto della Spezia, esiste anche la forma femminile belina, che però si ritrova anche nel genovesato e nell'entroterra, ove esiste anche l'espressione beleina, usata per indicare uno sciocco, uno stolto, indipendentemente dal genere (t'ê 'na beliña = sei uno sciocco - in lingua ligure - "sei una belina" - se si parla in italiano). Modi di direCome il corrispettivo nella lingua italiana, il sostantivo belìn crea una serie infinita di aggettivazioni, forme verbali e modi di dire:
Belìn viene usato anche, come nell'accezione italiana, per una serie di perifrasi metaforiche:
Belin nella letteratura e nella cultura di massa
Note
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