L'Avataṃsakasūtra (in modo più completo il Buddhâvataṃsaka mahāvaipulyasūtra, Il Grande sutra dell'ornamento fiorito dei Buddha) è un sūtra appartenente alla tradizione del Buddismo Mahāyāna.
L'Avataṃsakasūtra è conservato:
nel Canone buddista cinese nello Huāyánbù (vol.10, T.D. 278-309) con il titolo di 大方廣佛華嚴經 (Dàfāngguǎng fó huáyán jīng; da cui il giapponeseDaihōkō butsu kegon kyō, il coreano 대방광불화엄경 Daebanggwang bul hwaeom gyeong; il vietnamitaĐại phương quảng phật hoa nghiêm kinh); o con il titolo abbreviato di 華嚴經 (Huáyán jīng; da cui il giapponeseKegon kyō, il coreano 화엄경 Hwaeom gyeong; il vietnamitaHoa nghiêm kinh);
nel Canone tibetano in un'apposita sezione del bKa’-’gyur al Toh. 44, con il titolo di ཕལ་པོ་ཆེའི་མདོ།, phal-po-che'i mdo.
L'Avataṃsakasūtra ha ispirato i bassorilievi del complesso di stūpa di Barabuḍur in Indonesia.
Storia
Essendo l'Avataṃsakasūtra non un singolo sutra quanto piuttosto la raccolta di differenti sutra che ne costituiscono i capitoli amalgamati nel corso dei secoli, risulta piuttosto difficile risalire alla sua effettiva datazione, la quale è certamente successiva ai singoli sutra che contribuiscono a comporlo.
La raccolta, e anche parte della composizione dei diversi sutra nonché la loro armonizzazione in una singola opera, è comunque databile intorno al III secolo d.C. Una serie di riferimenti all'interno del sutra fa supporre che tale raccolta sia avvenuta nell'area di influenza indiana dell'Asia centrale tra Kashgar e il Regno di Khotan e, da quest'ultima area[1], esso sia stato introdotto in Cina e, successivamente, in Corea, in Vietnam e in Giappone.
A parte alcune traduzioni parziali di alcuni suoi sutra-capitoli che compaiono a partire dal I secolo d.C.[2], la prima traduzione integrale in lingua cinese dell'Avataṃsakasūtra è del V secolo, segnatamente del 420 quando fu completata da Buddhabhadra in sessanta rotoli ed è oggi conservata al T.D. 278. La seconda traduzione completa fu operata da Śikṣānanda (實叉難陀) nel 699, in ottanta fascicoli, ed è conservata al T.D. 279. La terza traduzione, ed ultima, riguarda solo il capitolo finale, il più vasto e famoso, nonché considerato il più importante, il Gaṇḍavyūhasūtra, e fu operata da Prajñā tra il 796 e il 797, consta di quaranta fascicoli ed è conservata al T.D. 293.
L'unica versione tibetana disponibile fu tradotta dal monaco indiano Surendra insieme al traduttore Vairocana Rakṣita nel IX secolo, in sei volumi composti da 45 capitoli. Questa versione coincide con le versioni cinesi di Buddhabhadra e Śikṣānanda.
In questo sūtra il Buddha Śākyamuni si presenta in un costante profondo stato meditativo detto samādhi, il suo insegnamento è esposto quindi dai bodhisattva cosmici, soprattutto Samantabhadra e Mañjuśrī, che lo circondano mentre il Buddha Śākyamuni si limita ad approvare i loro insegnamenti con le parole Sādhu! Sādhu![3].
Questo sūtra, segnatamente il Gaṇḍavyūhasūtra, descrive il mondo così come lo vede un buddha o un bodhisattva molto progredito[4] (āryabodhisattva), possiede quindi, letto secondo uno stato di coscienza "ordinario", un carattere decisamente visionario[5].
La base dottrinale dell'Avataṃsakasūtra è la dottrina mahāyāna della vacuità (śūnyatā), ovvero dell'inesistenza intrinseca di qualsiasi componente della realtà: nulla esiste autonomamente e nulla esiste permanentemente. Tutti i componenti della realtà sono inesistenti in sé e per sé, in quanto in continuo mutamento temporale e in strettissima interdipendenza tra loro. Questa realtà priva di oggetti permanenti e indipendenti consente al bodhisattva, durante la pratica della meditazione (dhyāna), di penetrare ogni "componente" della realtà senza alcun impedimento.
Due sono i testi raccolti nell'Avataṃsakasūtra che hanno un profondo rilievo dottrinale e per questo vengono recitati anche separatamente dal Sūtra stesso:
il Gaṇḍavyūhasūtra (Sutra dell'orecchino) detto anche Dharmadhātupraveṣa o Dharmadātvātāra (Capitolo sull'ingresso dentro il Regno della Realtà);
Il Gaṇḍavyūhasūtra descrive il mondo del Buddha (indicato con il termine di dharmadhātu, spazio della realtà assoluta) totalmente diverso dal nostro mondo ordinario (lokadhātu, spazio "mondano") e inconcepibile per gli uomini:
(EN)
«The realm of the Buddhas is inconceivable: No sentien beings can fathom it The Buddhas cause their minds to develop faith and resolution And great enjoyment without end»
(IT)
«Il regno dei Buddha è inconcepibile: Nessun essere senziente può riuscire a comprenderlo I Buddha inducono loro a sviluppare fede e determinazione e grande gioia senza fine»
(I meravigliosi ornamenti dei Signori dei mondi (Shì zhŭ miào yán pĭn 世主妙嚴品) cap. I dell'Avataṃsakasūtra nella versione di Śikṣānanda. Traduzione in inglese di Thomas Cleary in The Flower Ornament Scripture vol.I. 1984, Shambala Publications, Boston, pag.66)
«non vi sono divisioni temporali quali passato, presente e futuro, poiché sono contratti in un unico momento del presente in cui la vita freme nel suo vero significato [...] il presente: per dirla in altro parole è eternamente presente»
Ma non solo il tempo è differente dall'ordinaria sua concezione, anche lo spazio, nota Daisetz Teitaro Suzuki[7],
«non è una estensione divisa da montagne e foreste, fiumi ed oceani, luci ed ombre, visibile e invisibile. Vi è l'immensità, poiché non c'è contrazione dello spazio in un unico blocco d'esistenza: ma qui abbiamo una infinita fusione o penetrazione reciproca di tutte le cose ognuna con la sua individualità, e tuttavia con qualcosa di universale»
«È un mondo, in particolare, ove le cose accadono a distanza, attraverso un intervento sulla mente, semplicemente perché le cose stesse sono prive di esistenza intrinseca, e dunque non c'è una concreta differenza; o, detto in altri termini (in termini che possono essere differenti dal punto di vista filosofico ma che non lo sono per il sūtra), le cose accadono a distanza secondo il volere del Bodhisattva; egli può attraversare i muri perché non esiste la distanza, né la durezza del muro, dal momento che ogni cosa è un'espansione della coscienza. Tutto viene distintamente percepito grazie alla meditazione.»
Quindi il mondo di questo sūtra, che è il mondo dei buddha, è un mondo magico e di visioni per mezzo delle quali i buddha, e grazie alla loro costante meditazione, possono creare per un'infinita compassione degli elementi di realtà analoghi ai nostri.
Le "immagini" create dai buddha e dagli āryabodhisattva divengono quindi realtà "concreta" come qualsiasi altro dato reale. E come ogni cosa è priva di natura propria, e quindi in grado rivelare la vera natura della Realtà (che è la vacuità), anche la realtà generata dai buddha ha lo stesso fine per quanto, 'generando' i buddha al solo scopo di compiere benefici a favore degli esseri senzienti, tale realtà opererà ancora più evidentemente in tale senso. Il buddha del Gaṇḍavyūhasūtra non è esattamente il Buddha Śākyamuni, ma è il Buddha Mahāvairocana di cui lo Śākyamuni fu una manifestazione 'magica'.
(EN)
«In all atoms of all lands Buddha enters, each and every one, Producing miracle displays for sentien deings; Such is the way of Vairocana.»
(IT)
«In tutti gli atomi di tutte le terre Il Buddha entra, in tutti e in ciascuno Creando miracolose manifestazioni per gli esseri senzienti Questo è il modo di Vairocana.»
(La formazione dei mondi (Shì jiè chéng jiù pĭn 世界成就品) cap. IV dell'Avataṃsakasūtra nella versione di Śikṣānanda. Traduzione in inglese di Thomas Cleary in The Flower Ornament Scripture vol.I. 1984, Shambala Publications, Boston, pag.190)
Ma chi, o cosa è il Buddha dell'Avataṃsakasūtra? Così risponde Paul Williams[9]:
«Il Buddha in sé viene esplicitamente o implicitamente definito dai vari brani di questo vasto sūtra come l'universo stesso, come identico all''assenza di esistenza intrinseca', la vacuità, e come la coscienza onnisciente e onnipervadente del Buddha.»
E cosa è invece il "regno del Buddha", ovvero l'universo dell'Avataṃsakasūtra? Sempre Paul Williams[9]:
«L'universo dell'Avataṃsakasūtra viene chiamato dharmadhātu, il "regno del Dharma". Non si tratta, peraltro dell'universo che noi conosciamo, bensì dell'universo percepito nel modo corretto, l'universo sfuggente che si scorge da una prospettiva visionaria, nel quale tutto è vuoto, e che pertanto viene percepito come un flusso privo di rigidi confini. Il sūtra lo descrive come un universo di splendore, una luminosità priva di ombre: tale è l'immagine che ne ha chi è immerso nella meditazione»
La sua luminosità e assenza di ombre (anābhasa) indica la sua "interpenetrazione", così Daisetz Teitaro Suzuki[7]:
«Per illustrare questo stato di esistenza il Gaṇḍavyūha rende trasparente e luminoso tutto ciò che descrive, perché la luminosità è l'unica possibile rappresentazione terrena che renda l'idea di interpenetrazione universale, che è il tema dominante del sūtra.»
«Si tratta di una concezione olografica, ove ogni fenomeno individuale è contemporaneamente sé stesso e il riflesso di tutti gli altri, essendo a sua volta ciò che è per via degli altri singoli fenomeni. Questo rapporto di interpenetrazione fra tutti i singoli eventi trascende le nozioni dell'uno e del molteplice [...]. Inconcepibile per la mente confusa degli esseri ordinari immersi nella concezione dualistica di un mondo frammentario e frammentato chiamato lokadhātu ...»
È quindi sono solo i buddha e i bodhisattva avanzati che possono esperire il dharmadhātu che possiede comunque una sua realtà concreta:
«Il Dharmadhātu ha una esistenza reale, e non è separato dal Lokadhātu, ma non è la stessa cosa che il Lokadhātu, quando non giungiamo al livello spirituale in cui vivono i Bodhisattva. È realizzabile quando i solidi contorni dell'individualità si dissolvono e il sentimento del finito non ci opprime più.»
Il Daśabhūmikasūtra è raccolto nell'XI capitolo (rotolo 8) nella versione di Buddhabhadra e nel XV capitolo (rotolo 11) nella versione di Śīkṣānanda dell'Avataṃsakasūtra. Precedentemente questo sutra era stato già tradotto, singolarmente, da Kumārajīva. Nella versione tibetana, esso corrisponde al XXXI capitolo dell'Avataṃsakasūtra.
Di seguito l'elencazione e la illustrazione delle daśa bhūmi così come presentata nel Daśabhūmikasūtra:
Pramuditābhūmi ("Terra della Grande gioia")
Così indicata in quanto il bodhisattva si sente prossimo all'"illuminazione" e comprendendo il beneficio che questa reca a tutti gli esseri senzienti prova un sentimento di "grande gioia"; in questa bhūmi si perfeziona ogni virtù, ma in particolare la pāramitā della "generosità" (dāna).
Vimalābhūmi ("Terra della Purezza")
Attraversando la seconda bhūmi, ci si libera dall'immoralità, conquistando la purezza; in questa bhūmi si pratica la pāramitā della "disciplina morale" (śīla).
Prabhākarībhūmi ("Terra che illumina")
Quando si raggiunge questa bhūmi il bodhisattva illumina con la luce (della sua comprensione del Dharma) tutto il mondo che lo circonda; la pāramitā prediletta è la "pazienza" (kṣānti).
Arciṣmatibhūmi ("Terra Radiante")
Questa bhūmi è detta 'radiante' perché qui il bodhisattva con la pratica della pāramitā della vīrya e dei saptatriṃśad-bodhi-pakṣikādharmāḥ (Trentasette fattori della illuminazione) è come una forte luce che brucia tutto ciò che si oppone all'illuminazione stessa.
Sudurjayābhūmi ("Terra impegnativa da superare")
Quando ottiene questa bhūmi il bodhisattva cerca di aiutare gli esseri senzienti a ottenere la maturità, ma non si lascia coinvolgere emotivamente quando tali esseri rispondono negativamente impedendo così a Māra, il tentatore dello stesso Gautama Buddha, di avere la meglio, e ciò è molto difficile; la pāramitā praticata è la concentrazione meditativa (dhyāna).
Abhimukhībhūmi ("Terra in vista della Realtà", o "Terra faccia a faccia")
Dipendendo dalla perfezione della coscienza della sapienza, il bodhisattva non è più vincolato al saṃsāra ma non ha ancora raggiunto il nirvāṇa anche se lo vede "faccia a faccia"; la pāramitā enfatizzata è la saggezza (prajñā).
Dūraṃgamābhūmi ("Terra che procede lontano")
Il bodhisattva giunto a questo punto è in grado di vedere la Realtà per come essa è (Tathātā). Comprende la base di ogni esistente (bhūtakoṭivihāra) ed è in grado di utilizzare gli "abili mezzi" (upāya), per aiutare il prossimo.
Acalābhūmi ("Terra immutabile")
Il bodhisattva ora non è più spinto dai pensieri inerenti alla vacuità (śūnyatā) o quelli inerenti ai fenomeni (dharma). Coltivando la pāramitā del "voto risoluto" (pranidhana) egli è in grado di attraversare liberamente i diversi piani di esistenza.
Sādhumatībhūmi ("Terra del Buon discernimento")
Qui il bodhisattva acquisisce le quattro conoscenze analitiche (pratisaṃvid) e si perfeziona nella pāramitā della "forza spirituale" (bala) .
Dharmameghabhūmi ("Terra delle Nuvola del Dharma")
Il corpo del bodhisattva è ora luminoso, costituito da pietre preziose ed egli è in grado di operare miracoli al di fuori delle leggi della natura a favore di tutti gli esseri senzienti. Egli in questa terra si perfeziona nella "conoscenza trascendentale" (jñāna).
I primi trentotto capitoli della versione di Śīkṣānanda sono stati tradotti integralmente da Thomas Cleary e pubblicati in due volumi nel 1984 dalla Shambala Publications di Boston con il titolo The Flower Ornament Scripture. Il trentanovesimo capitolo, che corrisponde al Gaṇḍavyūha (Rùfă-jiè pĭn, 入法界品), sempre tradotto da Thomas Cleary, è stato pubblicato dalla Shambala Publications di Boston nel 1987 con il titolo Entry into the Realm of Reality.
Struttura del Sutra secondo la versione raccolta nel Canone tibetano
La versione dell'Avataṃsakasūtra raccolta nel Canone tibetano si compone dei seguenti 45 capitoli:
La condotta del Buddha, fregio di ogni monarca di questo mondo.
I primi trentotto capitoli della versione di Śīkṣānanda sono stati tradotti integralmente da Thomas Cleary e pubblicati in due volumi nel 1984 dalla Shambala Publications di Boston con il titolo The Flower Ornament Scripture. Il trentanovesimo capitolo, che corrisponde al Gaṇḍavyūha (Rùfă-jiè pĭn, 入法界品), sempre tradotto da Thomas Cleary, è stato pubblicato dalla Shambala Publications di Boston nel 1987 con il titolo Entry into the Realm of Reality.
Hamar, Imre (2007). "The History of the Buddhāvataṃsaka Sūtra". In: Hamar, Imre (editor), Reflecting Mirrors: Perspectives on Huayan Buddhism (Asiatische Forschungen, Vol. 151), Wiesbaden: Harrassowitz, ISBN 344705509X, pp. 159-161