Antoine Houdar de La MotteAntoine Houdar de La Motte (Parigi, 17 gennaio 1672 – Parigi, 26 dicembre 1731) è stato uno scrittore e drammaturgo francese. Rivestì un ruolo importante nella vita letteraria dei suoi tempi, per i suoi scritti e le sue idee. BiografiaFiglio di un produttore di cappelli (modista), Houdar de La Motte[1], studiò presso i gesuiti, continuando poi a studiare diritto prima di dedicarsi completamente alla letteratura. Nel 1693, la sua prima opera, la commedia Les Originaux,farsa in prosa mista donata al Théâtre de la comédie italienne di Parigi, fu un fiasco tale che Houdar, depresso, pensò di farsi monaco. Entrò all'Abbazia di Notre-Dame de la Trappe ma ne uscì dopo due mesi, prima di aver preso l'abito, sconsigliato fortemente dall'abate. Sei anni dopo, conobbe il successo con il libretto d'opera, L'Europe galante (1697). Incoraggiato da questo debutto, iniziò a scrivere numerosi libretti per compositori come André Campra, Destouches e Marin Marais. Introdusse nell'opera tre innovazioni: il balletto, la pastorale e la commedia-balletto. Scrisse anche sei commedie che ebbero meno successo, anche se Le Magnifique e L'Amante difficile ottennero un certo apprezzamento. In questa occasione apparve sulla scena, per la prima volta, Silvia, l'interprete preferita di Marivaux. Il pezzo ha anche annunciato il gioco d'amore applicato al teatro dal grande drammaturgo. Se la scrittura di Houdart è più breve, approccia la stessa problematica, con un senso di comicità; come il suo rivale in arte drammatica, è femminista. Scrisse quattro tragedie, delle quali, Ines de Castro (1723), basata su una storia di Camões, trionfò alla Comédie-Française ben prima di quella di Montherlant che ne riprese il soggetto. Nel salotto della marchesa di Lambert, del quale La Motte fu uno dei pilastri, assieme al suo amico Fontenelle, e con il quale condivise senza pregiudizio e spirito di indagine, discusse la questione se la versificazione era essenziale per la poesia. Alla fine si stabilì che i versi rendevano il poeta schiavo di regole inutili, complesse e dannose, favorendo cavilli e circonlocuzioni e ostacolando la vera espressione della poesia. Essi raccomandarono di tornare alla chiarezza e fermezza della prosa, soprattutto nel teatro. Houdar La Motte volle dimostrare che la prosa poteva ben servire la poesia. Citò Les Aventures de Télémaque di Fénelon come esempio e mise in prosa una scena di Mitridate di Racine, sostenendo che ne guadagnava da questo trattamento. Eppure, in quanto ammiratore di La Fontaine, scrisse delle favole in versi. Alcune hanno uno stile molto completo, e mostrano un certo pessimismo. Fu uno dei più assidui frequentatori del salotto di Luisa Benedetta di Borbone-Condé, nella cerchia dei cavalieri dell'ordine parodistico Ordre de la Mouche à Mie, e partecipò al salone letterario e alle Grandes Nuits de Sceaux che ella tenne nel suo Château de Sceaux. Houdar de La Motte discusse anche sulla validità delle convenzioni teatrali classiche, tra cui la regola delle tre unità: (FR)
«Je ne prétends [...] pas anéantir ces règles, écrivait-il dans son Discours sur la tragédie; je veux dire seulement qu'il ne faudrait pas s'y attacher avec assez de superstition, pour ne les pas sacrifier dans le besoin à des beautés plus essentielles.» (IT)
«Non pretendo [...] di distruggere queste regole, scrisse nel suo Discours sur la tragédie; voglio dire soltanto che non bisogna attaccarsi fermamente alla superstizione, per non sacrificarle il bisogno della bellezza più essenziale.» Tradusse in versi, nel 1714, senza conoscere il greco antico, l’Iliade pubblicata da Anne Dacier nel 1699. La prefazione a questa traduzione contiene un Discours sur Homère, in cui, dopo aver intrapreso una critica dell'originale di cui evidenzia la volgarità dei personaggi, la loro prolissità dei discorsi, ripetizioni, enumerazioni, ecc, egli dice: "Mi son preso la libertà di cambiare ciò che ho trovato sgradevole." Nelle sue Réflexions sur la critique, precisò: (FR)
«L'Iliade d'Homère, que bien des gens connaissent plus de réputation que par elle-même, m'a paru mériter d'être mise en vers français, pour amuser la curiosité de ceux qui ne savent pas la langue originale. Pour cela j'interroge Homère ; c'est-à-dire que je lis son ouvrage avec attention ; et persuadé en le lisant que rien n'est parfait, et que les fautes sont inséparables de l'humanité, je suis en garde contre la prévention, afin de ne pas confondre les beautés et les fautes. Je crois sentir ensuite que les dieux et les héros, tels qu'ils sont dans le poème grec, ne seraient pas de notre goût ; que beaucoup d'épisodes paraîtraient trop longs ; que les harangues des combattants seraient jugées hors d'œuvre, et que le bouclier d'Achille paraîtrait confus, et déraisonnablement merveilleux. Plus je médite ces sentiments, plus je m'y confirme ; et après y avoir pensé autant que l'exige le respect qu'on doit au public, je me propose de changer, de retrancher, d'inventer même dans le besoin ; de faire enfin selon ma portée, tout ce que je m'imagine qu'Homère eût fait, s'il avait eu affaire à mon siècle.» (IT)
«L'Iliade di Omero che molte persone conoscono più per la reputazione che realmente, sembrava meritare di essere tradotta in francese, per appagare la curiosità di coloro che non conoscere la lingua originale. Per questo chiedo ad Omero; ho letto il suo libro con attenzione e sono convinto che nulla è perfetto, che gli errori sono inseparabili dall'umanità, e metto in guardia contro la prevenzione, in modo da non confondere la bellezza con i difetti. Credo allora che gli dei e gli eroi, presenti nella poesia greca, non sarebbero di nostro gradimento; che molti episodi sembrano troppo lunghi; le arringhe dei combattenti sarebbero considerate antipasti, e lo scudo di Achille sembra confuso e irragionevolmente meraviglioso. Più rifletto su questi sentimenti, più ne ho conferma; e dopo averci pensato, nella misura necessaria al rispetto per il pubblico, mi propongo di cambiare, di rimuovere, di inventare anche se necessario; in definitiva di fare secondo il mio sentire, tutto ciò che immagino Omero avrebbe fatto se avesse avuto a che fare con il mio secolo.» Infatti, La Motte non solo aveva accorciato dalla metà l'opera di Omero, riducendo da 24 a 12 i canti, ma l'aveva abbellita e reso attuale. Anne Dacier non apprezzò il lavoro e rispose con un Traité des causes de la corruption du goût. La Motte ha rispose a sua volta, nelle sue Réflexions sur la critique (1716), in cui, facendo rivivere la Querelle des Anciens et des Modernes avviata da Charles Perrault nel XVII secolo, prese risolutamente le parti del partito dei moderni. A prescindere dai meriti di questa polemica, mantenne sempre uno spirito e cortesia molto contrastante con i metodi dei suoi rivali. Eppure ha adattato un antico testo: La Matrone d'Ephèse, non indignato dall'infedeltà della vedova disposta a sacrificare il corpo del suo vecchio marito per salvare il suo giovane amante. Piuttosto, egli sembra sorridere per lo spirito di questa situazione insolita. Il caso fece scalpore. Jean-Baptiste Rousseau, che non perdonava a La Motte di essere stato eletto all'Académie française, contro il suo parere[2], gli lanciò epigrammi velenosi. Fatti sul tema di piccoli soggetti dove i protagonisti erano facili da riconoscere sotto nomi fittizi. In ultima analisi, Fénelon scelse, per giudicare la discussione, di mettere tutti d'accordo dichiarando "non possiamo elogiare troppo i moderni che fanno grandi sforzi per superare gli antichi. Una così nobile emulazione promette molto; mi sarebbe sembrato pericoloso se avesse disprezzato e smesso di studiare questi grandi originali." La Motte era anche uno dei clienti abituali dei caffè filosofici, che frequentavano il locale della vedova Laurent, del Graudot o il Café Procope. Eletto all'Académie françaisel'8 febbraio 1710, poco dopo essere diventato cieco portando la sua disabilità con stoicismo. A un giovane che lo aveva schiaffeggiato perché gli aveva pestato un piede, disse: "Tu sarai molto dispiaciuto, signore, io sono cieco.". Nel 1726, intrattenne una fitta corrispondenza con Luisa Benedetta di Borbone-Condé dalla quale emerge – benché cieco e paralizzato nelle sue membra - aveva la gotta, e la sua protettrice lo aiutò a procurarsi una sedia a rotelle, e giocavano all'amante e alla pastorella ingenua. Ha un dipinto che lo rappresenta, con Fontenelle e Saurin, nel soggiorno della sorella di madame Tencin, quest'ultima mentre serve loro del cioccolato. Dopo la morte venne inumato nella chiesa di Saint-André-des-Arts a Parigi. OpereHoudar La Motte compose delle Odi, di solito abbastanza erotiche, e tra queste l'Émulation, sur la mort de Louis XIV e À la Paix, ma forse la più importante quella su l'Homme. Pubblicò nel 1719 le Fables nouvelles, che voleva sottolineare che i soggetti sono di sua invenzione, a differenza di quelli di La Fontaine, che era stato ispirato dall'antica favolista. Queste favole, che mancano di poesia e si sviluppano con la stringatezza di una dimostrazione di matematica, sembrano non avere altro scopo che arrivare alla conclusione morale. Alcune di esse, tuttavia, contengono dei versi felici. Egli scrisse anche dei testi per cantate sacre quali Élisabeth Jacquet de La Guerre messa in musica (nel 1708: Esther, Le Passage de la Mer Rouge, Jacob et Rachel, Jonas, Suzanne, Judith; nel 1711: Adam, Le Temple rebâti, Le Déluge, Joseph, Jephté et Samson). La sua reputazione, oggi, si basa sulla eccellente prosa in cui esprimeva le sue opinioni, molto meglio dei suoi versi, difficili e incolori. Ricordiamo, inoltre, che si astenne dal rispondere ad una lettera di Jean-Philippe Rameau che avrebbe voluto mettere in musica uno dei suoi libretti: probabilmente una grande occasione mancata da Houdar de La Motte. Ma, più che per le sue produzioni, è per il suo ruolo che aveva nel movimento di idee e il posto importante che occupava nella vita letteraria del suo tempo, che il nome di Houdar La Motte è sopravvissuto fino ai nostri giorni. "Ha dimostrato, secondo Voltaire, che nell'arte della scrittura ci può essere ancora qualcosa di secondo piano." Opere poetiche
Opere critiche
Opere drammatiche
Note
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