Aissó
Aissó o Aysun, Aissó o Aysun anche in catalano e in spagnolo (seconda metà dell'VIII secolo – al-Andalus, dopo l'827) capo della ribellione contro Bernardo di Settimania che si impadronì della Contea di Osona e di Bages dall'826 all'827[1]. OrigineLa sua identità è controversa: BiografiaDopo che Aysun aveva combattuto a Roncisvalle, ritornò in Catalogna, dove a Gerona era luogotenente nella guerra contro i Franchi; ma verso il 785, venne catturato e inviato prigioniero a Carlomagno, che lo fece rinchiudere in prigione ad Aquisgrana, da dove sempre durante il regno di Carlomagno, riuscì a fuggire e, col nome di Aissò, divenne un collaboratore di Berà.[2] Aissó, nell'826, era nuovamente prigioniero in Aquisgrana, dopo che Berà era caduto in disgrazia nell'820, ma, nello stesso 826, riuscì a fuggire raggiunse la Marca di Spagna, nella regione di Vic, dove le guarnigioni dei castelli gli erano favorevoli (per lealtà a Berà); solo la guarnigione del castello di Roda de Ter gli oppose resistenza; quest'ultimo, una volta organizzata la ribellione a Bernardo di Settimania, fu distrutto dai rivoltosi, tra cui si trovavano molti nobili Visigoti, e tra essi Guillemundus, figlio di Berà e conte di Razès e di Conflent[3]; Dalla regione di Vic Aissó attacco la contea di Cerdagna e si diresse verso quella di Barcellona. Bernardo, sentendosi minacciato si rivolse all'imperatore, che gli inviò un piccolo contingente di Franchi a cui si unirono alcuni Visigoti della Marca di Spagna. Aissó allora chiese aiuto all'emiro di Cordova, ʿAbd al-Raḥmān II ibn al-Ḥakam, che inviò un contingente guidato dal generale Ubayd Allah, detto Abu Marwan, che arrivò a Saragozza[4], nel maggio 827, marciò su Barcellona, a cui pose l'assedio; Probabilmente Aissó si rifugiò a Cordova dove, alcuni anni dopo, sospettato di cospirazione, fu assassinato per ordine dell'emiro. DiscendenzaDi Aissò o Aysun non si conosce né il nome della moglie né alcuna discendenza La fuga di Aissó da AquisgranaDurante la prigionia ad Aquisgrana, Aissó continuava a servirsi dei suoi due servi, Amrùs e Sabrit, che avevano la libertà di recarsi a Gerona e a Barcellona; durante la prigionia Aissó soffriva di oftalmia e, per combattere le sofferenze che gli procurava la malattia, oltre che a far collocare dei tendaggi alle finestre era uso a coprirsi il volto con un cappuccio. Il carceriere che aveva il compito di tenerlo sotto controllo aveva fatto l'abitudine a vederlo sempre in quelle condizioni, per cui Aissó concepì uno stratagemma: quando venne il suo servo Amrùs Aissó gli chiese se se la sentiva di scambiarsi gli abiti e coprirsi il volto col cappuccio che lui solitamente usava. Avendo il servo accettato, in un momento che non vi era gente che guardava i due si scambiarono i vestiti e Amrùs si mise il cappuccio, per non rendersi riconoscibile al carceriere, mentre Aissó, vestito da servo, usciva, senza essere riconosciuto e viaggiando giorno e notte, arrivò a Gerona in quindici giorni.[2] Note
BibliografiaFonti primarie
Letteratura storiografica
Voci correlate
Collegamenti esterni
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