William Bartley IIIWilliam Warren Bartley III (Pittsburgh, 2 ottobre 1934 – Oakland, 5 febbraio 1990) è stato un filosofo statunitense.[1] Fu allievo di Karl Popper.[2] La filosofia di Bartley muove dal razionalismo critico di Popper e da una radicalizzazione della riflessione sui limiti del sapere, in relazione al superamento del verificazionismo con il falsificazionismo. Bartley insiste perciò sull'idea della limitazione delle nostre capacità predittive e sul conseguente rifiuto di ogni razionalismo costruttivistico, proponendo una definizione di razionalista, come di colui che tiene aperte alla critica tutte le sue tesi, le sue teorie e i suoi atteggiamenti, nonché la cornice delle sue premesse, dei suoi pregiudizi ineliminabili. Questo razionalismo pancritico, a differenza dell'assolutizzazione del concetto di critica fatto da Popper, comprende perciò la possibilità stessa di rinunciare alla posizione critica e si oppone ad un altro razionalismo, al panrazionalismo critico di matrice neopositivista (e tipico degli empiristi e degli intellettualisti) secondo cui devono essere accettate soltanto quelle asserzioni giustificabili per mezzo di argomentazioni razionali.[3] Il panrazionalismo critico si fonda quindi, in ultima analisi, su una "fede irrazionale nella ragione", conseguenza di una decisione morale in favore del razionalismo: «chiunque adotta l'atteggiamento razionalistico - sosteneva Karl Popper - lo fa perché ha adottato, in modo cosciente o meno, qualche proposta, o decisione, o credenza, o comportamento; adozione, questa, che possiamo definire "irrazionale"». In realtà che si raggiunga una decisione o si strutturi una teoria attraverso il metodo razionale empirista o che ci si imbatta per caso questo ha ben poca importanza, l'importante non è che essa sia giustificabile, bensì applicabile e quindi soggetta alla critica.[3] Espresse molta preoccupazione per l'ostracismo che la filosofia di Karl Popper subì da tutte le università statunitensi. In Unfathomed Knowledge, Unmeasured Wealth formulò l'idea secondo cui, poiché nessuno è consapevole di tutte le innumerevoli conseguenze anche indirette delle proprie azioni, mai è accaduto che qualcuno abbia saputo veramente che cosa stesse facendo mentre agiva. Sua la definizione o descrizione della libertà come "libertà di dare e libertà di ricevere", ossia di non dare (anche a sé stessi) e di non ricevere (anche da sé stessi): semplice, critica e universalmente applicabile. Note
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