Vittorio Montiglio
Vittorio Montiglio (Valparaíso, 15 gennaio 1903 – Magliano Sabina, 9 novembre 1929) è stato un militare italiano al quale fu conferita la medaglia d'oro al valor militare a vivente, nel corso della guerra di Valona[2]. BiografiaNacque a Valparaiso, nel Cile, il 15 gennaio 1903, figlio di Angelo e di Eleonora Sanguinetti.[1] Educato dai suoi genitori emigrati in Sud America al culto della Patria, all'età di dodici anni, quando il Regno d'Italia dichiarò guerra all'Impero austro-ungarico, decise di ritornare in Italia e arruolarsi nel Regio Esercito.[3] Nel marzo 1917 poté partire per l'Italia con documenti falsi, acquistati pagando trenta pesos cileni,[4] al fine di apparire un volontario della classe 1899, ed imbarcatosi a Buenos Aires sulla Regina d'Italia, raggiunse Genova dopo due mesi.[1] Arruolatosi volontario fu destinato dapprima al 7º Reggimento artiglieria da fortezza, e poi passò al III Reparto d’assalto del 6º Reggimento alpini operante in Val d'Adige, prendendo parte a numerosi pattugliamenti notturni.[1] Nominato aspirante, nel marzo 1918 venne trasferito al battaglione alpini "Feltre" del 7º Reggimento alpini.[1] Promosso sottotenente nel mese di maggio ed assunto il comando di un plotone arditi delle "Fiamme verdi"[N 1] con esso effettuò ardite incursioni nelle trincee nemiche di Coni Zugna ed in una di esse rimase ferito gravemente.[1] Ricoverato in ospedale fuggì per rientrare al reparto e dall'ottobre 1918 prese parte alla battaglia di Vittorio Veneto combattendo sul Monte Grappa.[3] Il 2 novembre fu tra i primi a sfondare lo sbarramento Serravalle– Marco–Rovereto in Val'Adige, aprendo la strada per Rovereto e la città di Trento.[3] Nel maggio 1919 fu promosso tenente ed inviato con il battaglione in Albania, dove si distinse nei combattimenti contro le bande di ribelli, venendo decorato con Regio Decreto del 28 aprile 1925 di medaglia d'oro al valor militare a vivente.[2] Tornato in Patria, insieme con i fratelli Umberto e Giovanni prese parte come legionario all'impresa di Fiume con Gabriele D'Annunzio, in qualità di comandante di un reparto d'azione.[1] Quando ritornò a Udine fu posto sotto processo e subì tre mesi di arresto per falsificazione di documenti personali. Aderì al fascismo, che propagandò in America Latina.[5] Nel 1923 frequentò un corso per pilota d'aeroplano sull'aeroporto di Ghedi, nei pressi di Brescia, e poi fu trasferito in servizio permanente effettivo.[3] Rimase gravemente ferito da due colpi di pistola durante un tafferuglio con elementi comunisti, che gli causarono una invalidità permanente.[3] A Roma il generale Lorenzo Barco, il 24 maggio 1925, lo additò ai giovani soldati come fulgido esempio da seguire.[3] Perse la vita in un incidente automobilistico presso Magliano Sabina[1] la sera del 9 novembre 1929 insieme a Guido Keller e Giovanni Battista Salina,[N 2] quando l'auto su cui viaggiavano uscì di strada.[3] D'Annunzio scrisse così sulla sua morte: fu tradito da Sorte Virile.[3] In suo nome è intitolata la Scuola Italiana di Santiago del Cile. Onorificenze«Nato nel lontano Cile, da famiglia italiana, educato ad alti sentimenti di amor patrio, l’animo conquiso dagli eroismi e dai sacrifici della nostra guerra, la cui eco giungeva a lui attraverso le lettere dei due fratelli volontari al fronte, quattordicenne appena lasciò la casa paterna e sprezzando pericoli e disagi venne, alla sua Patria. Nascondendo colla prestanza del fisico la giovanissima età, si arruolava nell’esercito, e, dopo ottenuta l’assegnazione ad un reparto territoriale, per sua insistenza, veniva trasferito ad un reparto alpini d’assalto, ciò che era nei suoi sogni e nelle giovanili speranze. Sottotenente a quindici anni, comandante gli arditi del battaglione “Feltre”, partecipò con alto valore ad azioni di guerra, rimanendo ferito. Di sua iniziativa abbandonava l’ospedale per partecipare alla grande battaglia dell’ottobre 1918, nella quale si distinse e fu proposto al valore. Tenente a sedici anni, fu inviato col reparto in Albania, dove, in importanti azioni contro i ribelli, rifulsero le sue doti d’iniziativa, non fiaccate dalle febbri malariche dalle quali venne colpito. Nella stessa località, salvando con grave rischio un suo soldato pericolante nelle insidiose correnti del Drin, dava prova di elevata sensibilità umana e di civili virtù. Magnifica figura di fanciullo soldato, alto esempio ai giovani di che cosa possa l’amore alla propria terra. Italia - Albania, giugno 1917- giugno 1920.[6]»
— Regio Decreto 28 aprile 1925. NoteAnnotazioni
Fonti
Bibliografia
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