Dal 1857 è a Firenze, dove frequenta il Caffè Michelangiolo, luogo di ritrovo degli artisti della corrente macchiaiola e, riconosciuto come esperto d’arte medievale, entra come consulente per la Mostra del cinquecentenario dantesco del Museo del Bargello.
Dal 1863 fa parte della commissione incaricata di selezionare le opere per le collezioni del Museo Civico; nel 1866, per evitare un'epidemia di colera, si stabilisce a Lozzolo, nel vercellese, terra che riproduce in numerose opere.
Nel 1872 acquista il Castello di Issogne, di cui cura il restauro e nel 1907 cede allo Stato[1].
Nel 1887 viene eletto nel Consiglio Comunale di Torino e fa costruire in via Napione 2 a Torino la propria residenza, che in seguito dona alla Società Piemontese di Archeologia e Belle Arti: oggi sulla facciata esterna è collocata una targa commemorativa dell'artista[4].
Nel 1889 viene nominato Commendatore della Corona d'Italia e membro della Commissione consultiva per i Monumenti Nazionali d’Antichità e Belle Arti e del Comitato per il Museo Nazionale del Risorgimento; dal 1890 assume l'incarico di direttore del Museo Civico di Torino che detiene fino alla morte, avvenuta il 14 dicembre 1910.
Tra le sue principali iniziative, la separazione tra le sedi delle raccolte d'arte moderna e d'arte antica. E' sepolto nel Famedio del Cimitero monumentale di Torino[5].
Espone alla Società Promotrice delle Belle Arti di Torino nel 1856 con Mattino nella Valle S.Robert, Paludi, Mezzodì della Francia e Savoja, nel 1857 con Via di Meringue, Pini a Cannes, Isola Hyeres, Burrone, Avignone, Vallata di Lemano e Bosco di pini, nel 1860 con Effetto di mattino nella Valle Arceida, nel 1861 con Scirocco in campagna romana, nel 1862 con Pianure lombarde, nel 1863 con Valle del Sasso Nero a Lazzolo, nel 1865 con Dopo la tempesta, nel 1867 con Campagna romana, nel 1868 con Torre di Lazzolo e Zichzethoorn, nel 1869 con Mattino e Sera, nel 1871 con Tempo grigio, nel 1872 con Brughiera in fiore, nel 1873 con In riva al Tevere, nel 1874 con Mattino e La valle del Pussino, nel 1875 con Di mattina, nel 1876 con Mattino e Calma, nel 1877 con Dicembre e Aprile, nel 1878 con Dintorni di Ivrea, nel 1879 con A Fiumicino, nel 1881 con In Maremma, nel 1882 con Nelle pianure di Ardea, nel 1883 con La valletta, nel 1885 con Elba, nel 1888 con Di mattino (Lago di Bracciano), nel 1898 con Cielo mattinale, nel 1901 con Le ombre morenti e infine nel 1902 con Veli mattinali.
Stile
«Vittorio Avondo è fra gli artisti che meglio rappresentano la trasformazione estetica del paesaggio moderno in Piemonte...ciò che rende espressivi i suoi quadri è tutto sangue e midollo delle passioni dell'artista, del suo particolare modo di amare e d'interpretare la natura»
(Pittura e scultura in Piemonte 1842-1891, Antonio Stella, Paravia, Torino, pp.262-263)
Paesaggista piemontese e membro della Scuola di Rivara, fautore quindi del vero naturale, è artista vocato all'innovazione rispetto ai canoni ordinari della riproduzione della natura e per questo inizialmente non apprezzato dai contemporanei; viene definito dalla critica, al pari di Antonio Fontanesi, il rinnovatore della pittura di paesaggio del tardo ottocento[7].
Dopo l'iniziale formazione presso lo svizzero Alexandre Calame, al tempo paesaggista di fama rivolto alla rappresentazione di una natura ideale con effetto romantico scenico, che si può ritrovare nelle prime opere di Avondo molto vicine a quelle di Barthélemy Menn, allievo di Calame, si avvicina stilisticamente alle correnti francesi di Barbizon (La valle del Pussino e Campagna presso Gattinara) e di Crémieu, in particolare a Camille Corot e Charles-François Daubigny, precursore del movimento Impressionista, dai quali apprende la resa dei paesaggi (in particolare della campagna romana, privi di presenza umana) con eleganza, sensibilità (viene definito un pittore poeta, un delicatissimo lirico da Enrico Thovez) e con delicate modulazioni di luce e di colore, senza sfociare nella teatralità.
«Quiete, mistero, solitudine: ecco le caratteristiche dell'arte di Avondo...senza alcuna ricerca di effetti»
(Il Secolo 20. rivista popolare illustrata, Mario Pennuti, Treves, Milano, 1911, pp.351-361)
Intelletto poliedrico, archeologo, restauratore, collezionista e studioso delle antichità medioevali piemontesi, Avondo ha un ruolo fondamentale nella storia culturale della sua regione contribuendo, insieme a Alfredo d'Andrade, Cesare Bertea e Federigo Pastoris, allo studio, tutela e conservazione del patrimonio artistico del territorio.
Opere principali
Meyringen (1854), olio su tela, collezione privata;
Le Alpi (1855), olio su tavola, collezione privata;
Passeggiata di Don Abbondio (1856-1857), olio su tela, Circolo degli Artisti di Torino;
Teofilo Rossi, In memoria di Vittorio Avondo, Torino, Vassallo, 1912.
Marziano Bernardi, Arte piemontese, Torino, Lorenzo Rattero, 1937.
Angelo Dragone, I Paesisti Piemontesi dell'Ottocento, Firenze, Bertieri, 1947.
Rosanna Maggio Serra e Bruno Signorelli (a cura di), Tra verismo e storicismo. Vittorio Avondo (1836-1910) dalla pittura al collezionismo, dal museo al restauro. Atti del Convegno (Torino, 27 ottobre 1995), Torino, Spaba, 1997, SBNCFI0382912.
Pierangelo Cavanna, Vittorio Avondo e la fotografia, Torino, GAM, 2005, ISBN88-88103-44-9.
Fabrizio Corrado e Paolo San Martino, L'enfant prodige di Caffè Michelangiolo.Vittorio Avondo artista, connoisseur e la cultura storicistica dell'Ottocento, n. 129, Storia dell'arte, 2011, pp. 135-144.