TsantsaLe tsantsa, dette anche teste rimpicciolite, sono teste umane preparate in modo particolare, usate a scopo apotropaico, rituale, o commerciale. Le tsantsa più note sono preparate dagli indigeni della Melanesia e del bacino del Rio delle Amazzoni, o da europei o euro-americani allo scopo di ricreare questa pratica. In Amazzonia, i soli popoli noti per preparare tsantsa sono gli Shuar, Achuar, Huambisa e Aguaruna, collettivamente noti come Shuar dell'Ecuador e del Perù.[1] PreparazioneIl procedimento per la preparazione delle tsantsa inizia con l'asportazione del teschio. Con un coltello di bambù, si pratica un'incisione verticale dalla base del collo fino al vertice della testa, facendo attenzione a non danneggiare i capelli. Si scolla la cute dal cranio facendo particolare attenzione al viso. Scollata la cute, il cranio viene gettato via. Si rovescia la testa e si cuciono dall'interno le palpebre. Si rovescia di nuovo la pelle e si cuciono le labbra con lunghe fibre. A questo punto si pone a bollire la testa in acqua contenente cortecce ricche di tannino. La pelle comincia a raggrinzirsi ed assumere una colorazione scura. Dopo un paio di ore, la testa si è ridotta ad un terzo delle dimensioni originarie. Terminata questa operazione, si cuce il taglio iniziale e si ridà forma alla testa. Si preparano quindi dei ciottoli roventi. Il primo, più grande, viene fatto roteare all'interno per eliminare i residui di parti molli. Ciò viene fatto fino a raffreddamento del sasso. Si passa quindi ad un ciottolo rovente più piccolo ripetendo l'operazione. Intanto, con un sasso piatto freddo si sfrega la pelle del volto all'esterno modellandola in maniera da conservare i lineamenti. Questo è un procedimento delicato. Si riempie quindi la testa con sabbia rovente e raschiando l'interno per eliminare ogni residuo di parti molli. La testa si sarà ridotta a un quarto delle dimensioni originali. La pelle viene quindi sfregata con carbone di legna per indurirla e darle la colorazione scura tipica. Si ritiene altresì che questo sfregamento con cenere impedisca al muisak, l'anima vendicatrice, di venir fuori dalla testa. Le tsantsa sono note per il loro prognatismo, la distorsione dei lineamenti del volto e il raggrinzimento delle parti laterali della fronte; si tratta di conseguenze del processo di raggrinzimento. Tra gli Shuar e gli Achuar, il rimpicciolimento delle teste era seguito da un periodo di festeggiamenti. Si mandava il guerriero più giovane al villaggio in modo che avvertisse le donne. I guerrieri iniziavano a danzare intorno alle tsantsa, intonando un canto. I primi guerrieri danzavano e cantavano con un'intensità crescente per circa mezz'ora. Poi venivano sostituiti da altri. In un secondo momento alla danza e al canto si univano anche le donne. SignificatoLa pratica della preparazione delle tsantsa aveva inizialmente un valore religioso; si riteneva che il rimpicciolimento della testa di un nemico potesse imprigionarne lo spirito, costringendolo a servire il cacciatore di teste. Serviva anche ad impedire che lo spirito del morto potesse vendicare la sua morte.[2] Gli Shuar credevano nell'esistenza di tre spiriti fondamentali:
Per impedire a quest'ultimo spirito di usare i suoi poteri, si tagliava la testa del nemico sottoponendola poi al processo di rimpicciolimento. Il processo serviva anche come monito al nemico. Nonostante tutto, il possessore della tsantsa non la conservava a lungo. Molte teste venivano poi utilizzate nel corso di cerimonie e feste religiose che celebravano le vittorie della tribù. Non è chiaro se queste teste venissero buttate via o conservate. Commercio delle tsantsaInizialmente, restrizioni di ordine culturale mostravano come le morti da conflitti tradizionali fossero relativamente rare e poche teste venissero sottoposte al processo di rimpicciolimento. Quando gli occidentali cominciarono a far lievitare la richiesta di tsantsa, tuttavia, si verificò un brusco incremento delle uccisioni nel tentativo di soddisfare la richiesta di tsantsa da parte di turisti e collezionisti.[3][4] Normalmente, in cambio delle tsantsa, gli Shuar chiedevano armi da fuoco: un'arma in cambio di una testa. Ma le armi non erano le sole merci di scambio; durante gli anni trenta del XX secolo, quando le teste venivano liberamente scambiate. Ciò ebbe fine quando i governi peruviano ed ecuadoriano fecero uno sforzo comune e dichiararono il traffico di teste fuorilegge. Incoraggiati da questo commercio, già dal 1870, popolazioni in Colombia, Panama ed Ecuador, senza alcun rapporto con i Jívaros, iniziarono a realizzare false tsantsa. Venivano usati cadaveri prelevati dagli obitori, o teste di scimmia o di bradipo. Alcuni usavano anche pelli di capra. Kate Duncan scrisse nel 2001 che "Si ritiene che circa l'80% delle tsantsa che si trovano nei musei o in mano a privati siano false," comprese tutte quelle femminili o quelle comprendenti il busto oltre alla testa.[2] Thor Heyerdahl racconta nel suo libro Kon-Tiki (1947) i grossi problemi nel penetrare nelle regioni Jívaro (Shuar) dell'Ecuador per ottenere legno di balsa per la sua zattera. Le popolazioni locali rifiutarono di guidare la sua squadra nella giungla poiché temevano di essere uccisi e che le proprie teste venissero rimpicciolite. Dal 1940, è divenuto illegale importare tsantsa negli USA. Nel 1999, il National Museum of the American Indian restituì le tsantsa delle proprie collezioni al governo ecuadoriano.[2] Anche la maggior parte degli altri Paesi ha messo fuorilegge questo commercio. Attualmente, copie di tsantsa vengono prodotte come curiosità per i turisti. Vengono realizzate in pelle o pelli animali modellate per assomigliare agli originali. Le tsantsa nella cultura di massa
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