Trattato teologico-politico
Il Trattato teologico-politico (Tractatus theologico-politicus[1]) è un'opera di Baruch Spinoza, pubblicata anonima nel 1670 ad Amsterdam. Insieme alla versione geometrica dei Principia di Cartesio, edita con l'appendice dei Cogitata Metaphysica, il trattato è l'unica opera di Spinoza non pubblicata postuma. Scopo fondamentale del trattato è la dimostrazione che il libero pensiero e la libertà di espressione non solo non confliggono con la pace sociale e la buona politica, ma anzi le fondano. A questo scopo convergono dissertazioni di esegesi biblica (con esempi pratici di un nuovo metodo), filosofia della religione, filosofia politica.[2] Genesi dell'opera e contesto storicoLa pubblicazione anonima coronava un lavoro iniziato nel 1665 circa, al tempo in cui Spinoza si stava dedicando alla redazione dell'Ethica, che interruppe momentaneamente per scrivere il Tractatus. L'anonimato serviva a distogliere l'odium theologicum dall'autore e dall'editore. L'identificazione dell'autore fu peraltro facile e Spinoza non ebbe particolare cura di ostacolarla[2]. In una lettera a Leibniz scrive: «Se non ti fosse capitato di avere per le mani il trattato teologico-politico e la cosa non ti disturba, potrei mandartene una copia.» Il 19 luglio del 1674 il Tractatus viene colpito da un decreto di condanna delle Corti d'Olanda, insieme al Philosophia Sacrae Scripturae interpres di Lodewijk Meyer, che era apparso in unico volume con la seconda edizione del Tractatus, e al Leviatano di Hobbes, tradotto in olandese già dal 1667 e in latino l'anno dopo. Il giudizio di condanna contro l'opera anonima era già stato manifestato nel maggio 1670 da Jakob Thomasius (Programma adversus anonymum de libertate philosophandi) e, il mese dopo, da Fredericus Rappoltus (Oratio contra Naturalistas), mentre Lambertus van Velthuysen, in una lettera a Jacobus Ostens, dà un giudizio negativo dell'opera e stigmatizza ogni eversione dalla tradizione religiosa.[2] Le Province Unite, al tempo in cui Spinoza inizia a scrivere il Tractatus, si trovano a combattere per mantenere il ruolo di prim'ordine confermato loro dalla pace di Münster (1648), che aveva chiuso la Guerra dei Trent'anni con la riconferma dell'assetto del 1609. L'Inghilterra è il principale avversario in campo economico. L'equilibrio dei rapporti interni era articolato e teso: sul piano religioso si confrontavano cattolici e calvinisti, sul piano politico orangisti e repubblicani. Nella Prefatio, Spinoza afferma di voler far cosa grata al paese in cui ha avuto il privilegio di nascere trattando del fondamento e dell'importanza delle libertà civili, ma è possibile che egli scrivesse perché non riteneva queste libertà così fuori pericolo nei Paesi Bassi.[2] Insieme alla versione geometrica dei Principia di Cartesio, edita con l'appendice dei Cogitata Metaphysica, il trattato è l'unica opera di Spinoza non pubblicata postuma.[3] Struttura dell'operaL'opera, redatta in latino, è divisa in 20 capitoli e una prefazione.[2] Una possibile ulteriore suddivisione[4] è la seguente:
Temi dell'operaI temi affrontati sono:
La critica dei miracoli e della ProvvidenzaNel sesto capitolo introduce la critica dei miracoli, a favore della piena intellegibilità del reale. Spinoza nega anche la Provvidenza intesa come libera e insondabile volontà divina, laddove in Dio tutto è necessario. Egli crede nella storicità di quanto descritto dalla Bibbia e definisce i miracoli non come eventi sovrannaturali, ma come eventi che superano la nostra comprensione umana e di cui ancora si ignora la causa naturale (ad esempio l'arresto del sole al tempo di Giosuè rispetto all'astronomia moderna). Essi quindi non dimostrano né l'essenza né l'esistenza di Dio né aggiungono nulla alla comprensione di Dio e della natura. «Se dunque in natura potesse accadere qualcosa che contraddice le sue leggi universali, ciò contraddirebbe, necessariamente, anche il decreto, l’intelletto e la natura divina; o ancora, se qualcuno stabilisse che Dio fa qualcosa contro le leggi della natura, costui si troverebbe, ad un tempo, a stabilire che Dio agisce contro la sua natura; mentre non c’è nulla di più assurdo.[...] Non si deve dubitare che nella Scrittura si narrino molti miracoli le cui cause si possono facilmente spiegare a partire da principi naturali noti.» «Come gli uomini sono soliti definire divino quel sapere che trascende le capacità umane di comprensione, così sono abituati a chiamare divino, oppure opera di Dio, ogni fenomeno la cui causa è sconosciuta al volgo. Il volgo infatti ritiene che la potenza e la provvidenza divine si manifestino nel modo più luminoso possibile quando accade in natura qualcosa di inconsueto e di contrario all’opinione che per consuetudine esso ha riguardo alla natura stessa, particolarmente se l’evento gli ha portato qualche profitto o gli è riuscito vantaggioso.[…] Il volgo crede, evidentemente, che Dio non faccia nulla quando la natura agisce secondo l’ordine consueto, e viceversa che restino oziose le potenze della Natura e le cause naturali quando agisce Dio. Ci si immagina pertanto le due potenze nettamente separate l’una dall’altra: la potenza di Dio e la potenza delle cose naturali, quest’ultima tuttavia determinata da Dio in qualche particolare modo o anzi (come i più credono ai giorni nostri) da lui creata.» Dio è immutabile ed è improbabile che contraddica le leggi che ha liberamente -quanto necessariamente- scelto (libertà e necessità coincidono). Inoltre, se la natura si identifica con Dio, allora una violazione delle leggi della natura sarebbe una contraddizione interna all'essenza divina. Spinoza, tuttavia, lascia ai teologi il compito di discernere un'improbabile potenza straordinaria di violare le leggi naturali, che si aggiunge alla potenza ordinaria con la quale Dio regge il cosmo.[6] Edizione originale
Edizioni integrali italiane
Note
Voci correlateCollegamenti esterni
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