Tragelaphus sylvaticus
Il tragelafo meridionale (Tragelaphus sylvaticus Sparrman, 1780), noto anche come bushbuck (dal termine afrikaans bosbok, cioè «antilope della boscaglia») o con il nome zulu di imbabala, è un'antilope di media taglia ampiamente diffusa nell'Africa subsahariana,[2][3] dove è presente in una grande varietà di habitat, come foreste pluviali, foreste montane, mosaici di foresta/savana, savane, bushveld e steppe arbustive.[3] Fino a poco tempo fa, con le sue quattro sottospecie veniva classificato insieme al tragelafo settentrionale (T. scriptus) in una specie unica, il tragelafo striato, ma le ricerche genetiche hanno dimostrato l'esistenza di due specie criptiche. Tassonomia
La tassonomia del tragelafo striato, e della tribù Tragelaphini in generale, è sempre stata oggetto di dibattito: occupando un areale tanto vasto, il tragelafo ha dato origine a un gran numero di varianti geografiche e nell'arco degli anni ne sono state descritte oltre 40 sottospecie. Per fare chiarezza, nel 2009 Moodley et al. hanno analizzato il DNA mitocondriale di un gran numero di campioni museali, che sono stati riconodotti a 19 gruppi distinti, alcuni corrispondenti a sottospecie precedentemente descritte, altri appartenenti a razze finora non riconosciute che sono rimaste senza nome. I 19 gruppi sono stati poi ripartiti in due grandi raggruppamenti distinti, settentrionale (scriptus) e (sylvaticus). Secondo Moodley et al., i maschi del gruppo scriptus, dell'Africa occidentale, sarebbero più spesso striati rispetto agli esemplari dell'Africa meridionale e orientale,[3] anche se non è sempre così: tuttavia, anche nella descrizione originaria di T. sylvaticus fatta da Sparrman nel 1780 a partire da un esemplare proveniente dalla regione del Capo, non viene fatta alcuna menzione di striature. Nel 2011, Groves e Grubb hanno proposto di suddividere il tragelafo striato in otto specie – T. scriptus (Pallas, 1766), T. phaleratus (Hamilton Smith, 1827), T. bor Heuglin, 1877, T. decula (Rüppell, 1835), T. meneliki Neumann, 1902, T. fasciatus Pocock, 1900, T. ornatus Pocock, 1900 e T. sylvaticus (Sparrman, 1780) – sempre ripartite in due «gruppi», settentrionale e meridionale, proprio come aveva fatto precedentemente Moodley.[4] L'unica differenza riguardava il tragelafo di Menelik, endemico degli altopiani dell'Etiopia, che Moodley poneva nel gruppo meridionale e Groves e Grubb in quello settentrionale. Tuttavia, come in gran parte della loro opera di revisione della tassonomia degli ungulati, Groves e Grubb si sono basati principalmente sulla geografia e sulla colorazione del mantello per istituire le loro nuove «specie», piuttosto che sulla genetica,[5] e il loro lavoro non è stato riconosciuto dalla maggior parte degli autori.[6] Nel 2018, Hassanin et al. hanno pubblicato uno studio filogenetico molecolare che ha fornito supporto alla separazione del tragelafo striato nelle due specie scriptus e sylvaticus, in quanto le due forme si sarebbero separate tra loro almeno 2 milioni di anni fa e presentano entrambe una notevole diversità genetica all'interno.[7] Attualmente le quattro sottospecie riconosciute di tragelafo meridionale sono:
DescrizioneIl tragelafo meridionale presenta una lunghezza testa-corpo di 117-145 cm nei maschi e di 114-132 cm nelle femmine; l'altezza al garrese è di 64-100 cm per i primi e di 61-85 cm per le seconde, il peso rispettivamente di 40-80 kg e di 24-60 kg; la coda è lunga 19-24 cm. Le corna, presenti solo nei maschi, misurano 25-55 cm.[11] È un'antilope di medie dimensioni, più grande del suo cugino settentrionale. Presenta una grande variazione per quanto riguarda il colore e il disegno del mantello: i maschi più anziani vanno dal marrone scuro al bruno-nerastro, con i fianchi grigiastri, la regione dorsale più castana, solo poche macchie sui quarti posteriori e talvolta sul ventre, e strisce trasversali o longitudinali poco accentuate o addirittura assenti. La testa è di un marrone più chiaro, con la fronte scura, una striscia nera sul naso e due macchie suborbitali bianche. Sulla gola si trova una macchia bianca e altre macchie dello stesso colore, solitamente indistinte, si trovano sul muso e sulle cosce. La coda è folta, relativamente corta, e bianca nella parte inferiore. Le corna sono corte e quasi diritte: divergono solo leggermente e sono fortemente carenate, con un'unica torsione stretta.[11] La femmina, più piccola e priva di corna, ha un manto di colore fulvo scuro con disegni bianchi simili, che si fa più chiaro sulle spalle e sugli arti anteriori.[12] Distribuzione e habitatIl tragelafo meridionale occupa un areale molto esteso, che dal Capo di Buona Speranza, in Sudafrica, arriva fino all'Angola e allo Zambia, per poi risalire lungo la parte orientale dell'Africa fino all'Etiopia e alla Somalia.[13] Vive nelle foreste aperte, nelle steppe arbustive e nelle zone di miombo, in prossimità di fonti d'acqua permanente. In Etiopia la sottospecie meneliki si spinge anche al di sopra della linea degli alberi, fino a 4000 metri di quota. BiologiaI tragelafi si alimentano brucando da alberi e arbusti; solo raramente si nutrono di erba. Gli studi su esemplari in libertà in varie parti dell'Africa sud-orientale mostrano che si nutrono soprattutto di acacie (Senegalia, Vachellia) e altre leguminose, assieme a malvacee (Grewia, Hibiscus), combretacee (Combretum), ramnacee (Berchemia, Ziziphus) e varie altre piante.[14][15] Sono attivi tutto il giorno, ma tendono ad assumere abitudini notturne vicino agli insediamenti umani. I tragelafi sono animali solitari, ma non sono del tutto asociali e più individui talvolta si alimentano nelle immediate vicinanze.[16] Ogni esemplare occupa un'area vitale, dalla quale in genere non si allontana mai, che misura circa 50000 m² nelle aree di savana e un'estensione molto più grande in quelle di foresta. Queste aree di solito si sovrappongono alle aree vitali di altri tragelafi. Alcuni allevatori di grossa selvaggina dell'Africa australe hanno scoperto che il tragelafo può entrare in competizione con un suo stretto parente più grande, il nyala, quando hanno cercato di introdurre le due specie nello stesso recinto. Tuttavia, in natura, le due specie spesso vivono a stretto contatto tra loro (ad esempio nel parco nazionale di Gorongosa, in Mozambico).[17] Note
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