Il nome comune deriva dal fatto che, essendo le sue bacche appetite dalla piccola avifauna migratoria, viene tradizionalmente utilizzato negli appostamenti fissi per la caccia a tali prede. Veniva anche piantato attorno agli impianti per la cattura di tale fauna mediante reti.
Descrizione
S. aucuparia ha un tronco affusolato, con corteccia liscia (che tende a fessurarsi con l'età).[senza fonte]
La chioma ha forma tondeggiante, le foglie pinnate, con coppie di foglioline disposte su una linea centrale con una foglia terminale.
Fiorisce da maggio a giugno con corimbi molto densi di fiorellini giallastri.
Sviluppa piccole bacche rosse che maturano in autunno. Sono commestibili, anche se di cattivo gusto, e attraggono tantissime specie di uccelli (da lì il nome comune della specie).
La specie è molto resistente al freddo.
Infiorescenza
Frutti
Distribuzione e habitat
È originario delle aree centrali e settentrionali dell'Europa, dall'Islanda alla Russia, e dell'Asia[2].
Essendo una pianta specializzata per climi relativamente freddi, nell'Italia del sud (e nei paesi mediterranei) è confinato alle aree interne a partire dai 500/600 m d'altitudine.[senza fonte]
Nella cultura popolare friulana, cadorina e mitteleuropea, le bacche essiccate di sorbo degli uccellatori erano utilizzate come repellente per streghe, lupi mannari e demoni, e come "antidoto" ai malefici e agli incantesimi.[senza fonte]
Nella mitologia norrena, la pianta è ritenuta sacra al dio Þórr e le vengono attribuiti poteri magici, in grado di scacciare le entità malefiche e aumentare la fecondità. In realtà, tale sacralità pare essere una influenza della cultura lappone in cui la pianta è sacra al dio del tuono Horagalles (la cui stessa sposa è chiamata Raudna, cioè “sorbo”).
Dalla bacca si estrae un diffuso conservante alimentare ad azione antifungina: l'acido sorbico, E200[3]. Sempre dal sorbo è possibile ottenere il sorbitolo: poliolo dal sapore dolce usato appunto come dolcificante (sigla E420).
Il legno del sorbo in età classica, era usato dai Liutai per il filetto dei violini, come essenza arborea alternativa all'ebano, non facilmente reperibile in quel periodo in Italia