Sette, sono sette
Sette sono sette (in russo Семеро ихè) una cantata per tenore, coro e orchestra scritta da Sergej Sergeevič Prokof'ev fra il 1917 e il 1918 su testo del poeta Konstantin Bal'mont. StoriaQuando nel febbraio 1917, in seguito all'insurrezione popolare e conseguente rivoluzione, lo zar abdicò, Prokof'ev, al pari di molti altri artisti, accolse gli eventi come l'alba di una nuova era; non si interessò però direttamente alla situazione poiché l'impegno politico aveva sempre suscitato in lui avversione.[1] Nell'ottobre del 1917 il musicista raggiunse la madre a Kislovodsk nel Caucaso. Qui soggiornò fino al marzo dell'anno successivo; lavorò costantemente terminando la Sinfonia classica, le sonate n. 3 e n. 4 per pianoforte e la cantata Sette sono sette che aveva già iniziato qualche mese prima nei pressi di San Pietroburgo. Il musicista si era già affidato a testi di Bal'mont per le Due liriche op. 7, per i Due canti op. 9 e per il titolo delle sue Visions fugitives per pianoforte; Prokof'ev aveva conosciuto le opere del poeta simbolista già nel 1909, quando era rimasto affascinato dall'aspetto misterioso e oscuro del Poema dell'estasi e da allora Bal'mont era diventato il suo poeta preferito e suo caro amico.[1] Per la sua Cantata il compositore scelse un testo di Bal'mont, il poema Richiami dell'antichità (Зовы древности), che si ispirava, molto probabilmente, a un'invocazione caldea incisa con i caratteri cuneiformi sulla parete di un tempio assiro[3] che aveva come protagonisti sette spiriti demoniaci dotati di grande potere sugli elementi della terra. Il musicista riuscì a eseguire ad aprile le Visions fugitives e subito dopo la Sinfonia classica, quindi, vista la situazione incerta nel paese, decise di partire per gli Stati Uniti. Sette sono sette non ebbe la prima rappresentazione in Russia, ma a Parigi all'Opéra il 29 maggio 1924 con la direzione di Kusevickij. AnalisiProkof'ev pose come sottotitolo al suo lavoro Invocazione caldea per orchestra, coro e tenore. Più che un'invocazione questa cantata si potrebbe considerare un'imprecazione[1] di soli sette minuti e ottenuta con un organico vocale e strumentale grandioso. La partitura è costruita su un testo già di per sé duro e fortemente incisivo: ...... Sette, sono sette! La violenza del testo e della musica potrebbero far pensare a un richiamo diretto alla rivoluzione, ma Prokof'ev, come si è detto, era lontano dall'interesse politico. Nella sua autobiogragfia egli ricorda che a quel tempo pensava di dover "produrre idee, non solo musica"[2] come per suggerire alle autorità un suo probabile impegno; in realtà più che partecipazione e coinvolgimento Prokof'ev nella sua cantata dimostra di provare un senso di smarrimento se non proprio terrore, "per non dire la visione profetica del tragico futuro di fronte alla Rivoluzione d'ottobre".[3] La cantata è introdotta da un breve, ma incisivo momento sostenuto da tutte le percussioni dell'orchestra e seguito dal coro; quindi vi è l'entrata del tenore che con tono declamatorio, quasi in un recitativo, canta i primi versi del testo. L'entrata violenta dell'orchestra accompagna quindi il solista a passaggi meno duri e più melodici, sempre mantenuti in un registro acuto e fortemente marcato. Il coro ripete con implacabile insistenza Sette, sono sette! La parte orchestrale riprende poi con un andamento cupo per arrivare con il coro, solo nelle voci femminili, a un sabba sfrenato. La coda finale porta la partitura a una improvvisa calma enigmatica sottolineata dai timpani; il tenore quindi, con toni bassi, conduce il brano a una chiusura avvolta da sensazioni misteriose e quasi mistiche.[4] OrganicoTenore, coro misto. Orchestra composta da: due ottavini, due flauti, tre oboi, corno inglese, tre clarinetti, clarinetto basso, tre fagotti, controfagotto, otto corni, quattro trombe, quattro tromboni, due basso tuba, timpani, campane tubolari, xilofono, piatti, tam-tam, grancassa, tamburo, tamburello basco, due arpe, archi. Note
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