Serratia marcescens
Serratia marcescens Bizio, 1823 è un batterio Gram negativo della famiglia degli enterobatteri. Bartolomeo Bizio scelse il nome del genere Serratia in onore del fisico fiorentino Serafino Serrati. Il nome di specie marcescens è relativo al fatto che il batterio, dopo aver prodotto un pigmento rosso intenso (la prodigiosina), marcisce velocemente in una massa fluida mucillaginosa. DescrizioneS. marcescens è un patogeno umano responsabile di infezioni ospedaliere, in particolare delle infezioni alle vie urinarie e delle infezioni dovute a lesioni della cute.[1] Il bacillo S. marcescens, si sviluppa a temperature tra i 5 e i 40 °C, e in ambienti con pH tra 5 e 9. La sua ubiquità e la preferenza per le zone umide fanno sì che S marcescens si sviluppi principalmente nei bagni, soprattutto nelle fughe tra le mattonelle, dove si manifesta con una colorazione rossastra. L'eliminazione di queste colonie può essere effettuata tramite disinfettanti a base di candeggina, anche se la completa rimozione è spesso difficile. StudiNel 1953 il ricercatore italiano Amato Novelli pubblica uno studio sull'influenza della luce ultravioletta e della clorofilla sulla produzione di pigmento da parte del batterio[2][3] PatogenesiS. marcescens può causare congiuntiviti, cheratiti (infiammazioni alla cornea), oftalmie (infiammazioni dell'occhio) e infezioni al dotto lacrimale. È comune nell'apparato respiratorio e urinario negli adulti, mentre nei bambini attacca principalmente il sistema gastrointestinale. Sono frequenti le infezioni a carico di tasche sottocutanee in portatori di pacemaker.[4] Molti ceppi di S. marcescens sono resistenti a diversi antibiotici a causa della presenza di un tipo di plasmide che trasporta uno o più geni che codificano la resistenza agli antibiotici. Nel corallo S. marcescens è causa di una malattia letale che sta decimando alcune popolazioni di corallo caraibico.[5] Serratia Marcescens e il miracolo di BolsenaSecondo Johanna C. Cullen, ricercatrice della Georgetown University, il presunto Miracolo di Bolsena del 1263 (il sanguinamento di un'ostia consacrata) può avere una spiegazione scientifica, La ricercatrice è riuscita a riprodurre il "miracolo" in laboratorio facendo attaccare le ostie dalla Serratia marcescens. Il suo studio è documentato in un articolo comparso sulla rivista della American Society of Microbiology[6]. Nel 1998 la validità scientifica dell'esperimento fu confermata dal ricercatore del dipartimento di chimica organica dell'Università di Pavia Luigi Garlaschelli[7] e nel 2000 dai ricercatori di biologia molecolare della Tulane University J.W. Bennett e R. Bentley.[8] Tuttavia il corporale di lino custodito presso il duomo di Orvieto, tra il 3 febbraio e il 27 marzo 2015, è stato oggetto di un intervento di natura conservativa in occasione del quale sono stati raccolti dati scientifici. Note
Bibliografia
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