Paolo De Majo nacque a Marcianise il 15 gennaio del 1703 da Giovanni Pietro De Majo e Ovidia Izzo.[1] Insieme al suo fratello maggiore Ludovico (1695-?) si formò nella giovinezza a Napoli presso la scuola artistica di Francesco Solimena,[1][2] che era la più affollata, ambita e prestigiosa[3] che vantasse la Napoli della prima metà del XVIII secolo. Sappiamo ciò anche grazie a Bernardo De Dominici, il quale nelle sue Vite lo citò nel nutrito elenco degli allievi del Solimena, dandone questo giudizio parzialmente positivo: «uno de' scolari che con assiduità hanno assistito alla scuola, e benché non sia giunto al valore de' più eccellenti, ad ogni modo si porta bene, e non gli mancano continuamente delle faccende, vedendosi molte opere esposte al pubblico».[1][4] Le sue opere documentate, su tela e ad affresco, vennero perlopiù realizzate per varie chiese di Napoli (sua città adottiva), Marcianise (sua città natale) e di altri centri campani, lucani e pugliesi; non tutte però sono giunte sino ai nostri giorni.[1] Ad esempio, i bombardamenti su Cassino del 1944 causarono la perdita di alcuni suoi lavori per la celebre Abbazia[1]mentre la grande tela absidale della Chiesa di Gesù e Maria negli anni 1990 è stata trafugata e sezionata in frammenti (in parte recuperati dai carabinieri del nucleo Tutela Patrimonio Culturale) da ladri d'arte.[senza fonte]
Nel 1772 Carlo Vanvitelli lo volle come uno degli insegnanti dell'Accademia Borbonica di Disegno. Uomo dedito all'arte e anche alla fede religiosa, fu amico fraterno di Alfonso Maria de' Liguori. Morì a Napoli nel 1784.[1]
A lungo ignorato dagli studi sulla pittura napoletana del Settecento per l'inferiore originalità tecnica e stilistica rispetto al maestro Solimena e ad altri suoi allievi che pure si ersero a protagonisti della scena artistica napoletana e talvolta italiana di quel secolo (come ad esempio il Giaquinto, De Mura, il Conca, il Vaccaro e il Bonito), sta andando incontro a una rivalutazione da parte di critici e appassionati, volta a evidenziare il suo essere un sensibile interprete di un tardo barocco imbevuto di Arcadia dai teneri slanci devozionali e dagli esiti formali sempre decorosi.[5]
Opere (elenco non esaustivo)
Il Martirio di Santa Barbara (tela, 1733), Chiesa di Santa Barbara di Caivano.[1]
San Gregorio Magno invoca il Cristo per la fine della peste su Roma (tela, 1735), Chiesa di San Gregorio Magno di Crispano.
La Madonna del Rosario (tela, 1739), Chiesa di San Domenico di Bitonto.[1]
Santissima Trinità appare a San Gennaro e Sant'Irene; Madonna con il bambino e le sante Maddalena dei Pazzi e Teresa d'Avila; I Beati carmelitani Angelo Mazzinghi e Giovanna Scoppelli (tele); opere presenti alla Basilica di Santa Maria del Carmine Maggiore di Napoli.