Palazzotto di don Rodrigo
Il Palazzotto di Don Rodrigo è un edificio situato sul promontorio dello Zucco a Lecco in Lombardia. StoriaIl Palazzotto di don Rodrigo fu edificato durante il XVI secolo nella località di Olate su commissione dei nobili Arrigoni di Introbio, i quali furono protagonisti di una lunga faida contro la casata Manzoni, antenati dello scrittore (motivo per il quale egli la indicò come residenza dell'antagonista del romanzo). Raggiungibile percorrendo una tortuosa strada a chiocciola, la villa appariva identica alla descrizione de I Promessi Sposi fino al 1938, quando fu ceduta dall’ultimo proprietario Angelo Ferrario, industriale della seta, alla famiglia Guzzi e interessata da importanti lavori di rifacimento ad opera dell'architetto razionalista Mario Cereghini il quale, a seguito dell'abbattimento dell'edificio originario, progettò l'attuale Villa Guzzi ampliandone la torretta e ricostruendola più bassa. Descrizione attraverso il romanzo«(…) Il palazzotto di don Rodrigo, con la sua torre piatta,elevato sopra le casucce ammucchiate alla falda del promontorio, pareva un feroce che, ritto nelle tenebre, in mezzo a una compagnia d’addormentati, vegliasse, meditando un delitto.» La residenza di Don Rodrigo sorge come una piccola fortezza squadrata su un'altura rispecchiando molto il carattere del padrone considerato non come un temibile padrone bensì come un mediocre tirannello che non si sente all'altezza dei suoi antenati. La villa all'interno del romanzoIl palazzotto di don Rodrigo è presente all'inizio del capitolo V quando Fra Cristoforo decide di recarsi dal nobile nel vano tentativo di farlo recedere dai suoi propositi su Lucia e le sue nozze. L'interno dell'edificio non è mai descritto in modo dettagliato, salvo col dire che è la residenza signorile di un nobile e lasciando intendere che vi sono molte sale e salotti: ci viene mostrata direttamente la sala da pranzo, dove don Rodrigo è a tavola coi suoi convitati nel momento in cui riceve la visita di padre Cristoforo (capitolo V), quindi un'altra sala appartata dove si svolge il successivo colloquio col cappuccino (capitolo VI) e della quale ci verrà detto più avanti che sulle pareti campeggiano i ritratti degli antenati del signorotto (capitolo VII). Il palazzo viene citato ancora alla fine del capitolo VIII, quando Renzo, Agnese e Lucia lasciano il paese sulla barca e osservano il paesaggio, su cui il palazzo del signorotto domina dall'alto con un aspetto truce e sinistro. Il luogo ritorna alla fine della vicenda (capitolo XXXVIII), quando don Rodrigo è ormai morto di peste e in paese è giunto il marchese suo erede, per prendere possesso dei suoi beni: il gentiluomo, personaggio moralmente retto e di vecchio stampo, decide di aiutare i due promessi e li riceve nell'edificio, dove Renzo e Lucia entrano accompagnati da don Abbondio, Agnese e dalla mercantessa. «Il palazzotto di don Rodrigo sorgeva isolato, a somiglianza d’una bicocca, sulla cima d’uno de’ poggi ond’è sparsa e rilevata quella costiera. A questa indicazione l’anonimo aggiunge che il luogo (avrebbe fatto meglio a scriverne alla buona il nome) era più in su del paesello degli sposi, discosto da questo forse tre miglia, e quattro dal convento. Appiè del poggio, dalla parte che guarda a mezzogiorno, e verso il lago, giaceva un mucchietto di casupole, abitate da contadini di don Rodrigo; ed era come la piccola capitale del suo piccol regno. Bastava passarvi, per esser chiarito della condizione e de’ costumi del paese. Dando un’occhiata nelle stanze terrene, dove qualche uscio fosse aperto, si vedevano attaccati al muro schioppi, tromboni, zappe, rastrelli, cappelli di paglia, reticelle e fiaschetti da polvere, alla rinfusa.(...) Fra Cristoforo attraversò il villaggio, salì per una viuzza a chiocciola, e pervenne su una piccola spianata, davanti al palazzotto. La porta era chiusa, segno che il padrone stava desinando, e non voleva esser frastornato. Le rade e piccole finestre che davan sulla strada, chiuse da imposte sconnesse e consunte dagli anni, eran però difese da grosse inferriate, e quelle del pian terreno tant’alte che appena vi sarebbe arrivato un uomo sulle spalle d’un altro. Regnava quivi un gran silenzio; e un passeggiero avrebbe potuto credere che fosse una casa abbandonata, se quattro creature, due vive e due morte, collocate in simmetria, di fuori, non avesser dato un indizio d’abitanti. Due grand’avoltoi, con l’ali spalancate, e co’ teschi penzoloni, l’uno spennacchiato e mezzo roso dal tempo, l’altro ancor saldo e pennuto, erano inchiodati, ciascuno sur un battente del portone; e due bravi, sdraiati, ciascuno sur una delle panche poste a destra e a sinistra, facevan la guardia, aspettando d’esser chiamati a goder gli avanzi della tavola del signore [...]» Bibliografia
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