Occupò la carica di Maestro di cappella presso Salò dal 1581 al 1584. Poi divenne direttore di coro a Reggio Emilia fino al 1586. Nello stesso anno si trasferì a Correggio, ove scrisse moltissimo, benché si sentisse isolato dai maggiori centri musicali come Roma, Venezia, Firenze e Ferrara. Per ovviare a ciò tornò a Modena, ove ricoprì la carica di mansionario (sacerdote che cura anche il coro). In questo periodo ebbe delle difficoltà finanziarie, come accennò in alcune lettere.
Nel 1597 visitò Venezia, ove pubblicò una raccolta di canzonette ed una nutrita serie di altre composizioni, verosimilmente i frutti dei sedici anni precedenti a Correggio ed altre città. Una delle più importanti composizioni, che poi rimarrà la più nota, è l'Amfiparnaso, una via di mezzo tra madrigale e melodramma.
Nel 1598 il duca Cesare d'Este chiamò Vecchi come maestro di corte. A Firenze Vecchi udì il nuovo genere dell'opera nell'Euridice di Jacopo Peri.
In séguito tornò a Modena, ove continuò a servire nella cattedrale fino alla sua morte nel 1605.
Stile
Orazio Vecchi eccelse nella composizione di madrigali, che sviluppò in una forma particolare, la “commedia madrigalistica”, nella quale più madrigali sono riuniti assieme per formare una storia completa e coerente. La forma aveva già avuto fortuna precedentemente con Alessandro Striggio, ma fu il Vecchi a portarla in luce e renderla una delle forme drammatiche più apprezzate nel tardo Cinquecento. Una delle miscellanee più riuscite è senz'altro il citato Amfiparnaso, che fu fonte d'ispirazione per tanti altri madrigalisti successivi, come Adriano Banchieri.
Vecchi compose anche alcuni libri di canzonette, un'alternativa al madrigale, via di mezzo in serietà e complessità tra il precedente e la villanella. Scrisse anche dei madrigali serî, benché in quantità assai inferiore a quelli di Luca Marenzio e della musica sacra. Quest'ultima mostra tendenze stilistiche molto vicine alla scuola veneziana, con scritture a cori battenti e ritmate dal contrasto tra tempi bipartiti e tripartiti.
Lo stile delle sue opere è chiaro e semplice, ma non semplicistico. Nelle opere sacre mantenne rigorosamente sempre un carattere contrappuntistico, mentre la chiara semplicità emerse soprattutto nella musica profana: lui stesso si prefiggeva di trattare nello stesso modo il “piacevole” ed il “grave”, che rappresentano i due poli della vita umana.
Amfiparnaso
Con il titolo, l'autore, si attribuiva la definizione di doppio Parnaso, sia della poesia sia della musica. Secondo le intenzioni del Vecchi, chiarite nel prologo, l'Amfiparnaso nacque come una commediola di maschere, destinata solo ad una audizione e non certo alla rappresentazione.
Il lavoro costituì una esemplare fusione tra teatro e musica, in base allo stile polifonico, quindi entrò nella storia della musica come ultimo e definitivo sviluppo del madrigale dialogico.
Ogni personaggio dell'opera viene espresso da cinque voci, senza alcun accompagnamento musicale, consentendo così di approfondire le varie sfumature psicologiche dei personaggi stessi. I linguaggi usati sono molteplici, infatti l'italiano è mescolato con il veneto, il bergamasco e una sorta di ebraico. Tra gli elementi caratterizzanti la commedia, spiccanono le marcate parodie e satire.[1]
Composizioni (Pubblicate a Venezia)
Musica profana
Canzonette a 3 voci di Horatio Vecchi et di G. Capilupi (1597; ristampa 1606)
Selva di varia ricreatione nella quale si contengono varii soggetti a 3-10 voci, cioè madrigali, capricci, balli, arie, iustiniane, canzonette, fantasie, serenate, dialoghi, un lotto amoroso, con una battaglia a 10 nel fine e accomodatovi la intavolatura di Liuto alle arie, ai balli e alle canzonette (1590)