Battezzato con il nome di Nicola, nacque a Rossano da famiglia aristocratica[1]. Frequentò la scuola annessa alla chiesa di Rossano, divenendo un eccellente calligrafo e innografo; si appassionò alla lettura delle Sacre Scritture e della vita dei Padri del deserto.
Secondo lo storico Lenormant, Nicola si sposò prima di intraprendere la vita da monaco, affascinato dalla bellezza di una ragazza di più umili origini; ebbe una figlia, ma il matrimonio non durò molto. Fece in modo che moglie e figlia non avessero problemi economici e quindi si ritirò nell'eparchia del Mercurion, lungo il corso del fiume Lao nei pressi dell'odierna Orsomarso (un'area ai confini fra Lucania e Calabria così detta perché nei pressi del fiume che era stato dedicato al dio pagano si erano insediati monasteri ed eremi, costituendo una vera e propria "Tebaide".) Nel Mercurion nel periodo del X-XI sec. studiarono personalità che successivamente saranno venerate come santi, tra di esse: San Nilo, San Fantino, San Nicodemo, San Luca, San Macario, San Zaccaria e San Saba e tanti altri.
Qui fu allievo di San Fantino e si dedicò alla vita contemplativa e alla carità; raccolse e copiò numerosi codici. Essendo alla ricerca continua di una maggiore perfezione di spirito si ritirò in un recondito eremo e in una caverna dove c'era un altare consacrato a san Michele Arcangelo vicino Mercurion.
Non fu facile per Nicola diventare monaco e prendere i voti per via della sua originaria appartenenza al Decurionato Rossanese, ma pronunciò i voti nel convento di San Basilio.
Cominciò la sua attività sociale a San Demetrio Corone, fondando un monastero basiliano sulle rovine della chiesetta dedicata ai santi Adriano e Natalia. Dimorò a San Demetrio per venticinque anni, gettando le basi di un'istituzione monastica greca che aveva come compito la riunificazione tra le chiese di oriente e occidente.
«Non basta gridare contro le tenebre, bisogna accendere una luce»
Solo nel 982 un altro basiliano, Vitale Cristoforo, fece risorgere il Cenobio dalle rovine rendendolo uno dei centri più importanti di sapere e civiltà.
In seguito al processo e al supplizio dell'antipapa Giovanni XVI gettò un anatema contro l'imperatore Ottone III e papa Gregorio V, che avevano lasciate inascoltate le sue suppliche di mostrarsi pietosi verso l'usurpatore. Quando nel 999 Gregorio morì, Ottone fu così impressionato da attraversare l'intera Italia meridionale per cercare il cenobio del santo e implorare l'assoluzione. Trovato Nilo, l'imperatore si inginocchiò in lacrime e scoprì il capo. L'eremita, commosso e convinto della sincerità del pentimento, assolse Ottone e gli restituì la corona.[senza fonte]
Morì nel 1004 durante il pellegrinaggio a Roma nei pressi di Tusculum.
Di san Nilo si occupò il suo discepolo prediletto San Bartolomeo abate, che ebbe di lui grande stima dichiarando:
«San Nilo vedeva che tutti gli uomini, tutti gli animali, finanche ogni rettile che si muoveva sulla terra, erano in cecità e totalmente privi di luce e la terra stessa tutta quanta era circondata da una tenebra profonda e da un'immensa caligine.»
(Bartolomeo abate)
Culto
Oltre alla chiesa di San Nilo a Rossano, al santo è dedicato nella città di Gaeta (luogo in cui visse per nove anni) il santuario diocesano di San Nilo, elevato il 16 settembre 2014, nel quale è presente una statua lignea del santo benedetta dal papa Benedetto XVI il 16 settembre 2009.
981 – 996 ca. risiede nel monastero di San Michele di Valleluce presso Montecassino.
996 ca. si trasferisce a Serapo nei pressi di Gaeta.
998 si reca a Roma alla corte di Ottone III; ritorna a Serapo (Gaeta).
1004 (26 settembre) muore nella chiesa di Sant'Agata presso Tuscolo.
Note
^Secondo la Storia di Rossano di Alfredo Gradilone, si trattava dei Malena, dai quali prende il nome un casino tuttora esistente sulla sponda del fiume Otturi.
Bibliografia
Orazio Campagna, San Nilo di Rossano al Mercurion - L’Athos d’Italia, Edizioni Lo Faro, Roma 2000