Per mitologia inuit si intendono le pratiche religiose tradizionali degli Inuit, che possono essere brevemente riassunte come una forma di sciamanesimo basata su principi animisti.
La mitologia inuit ha molte similitudini con le religioni delle altre regioni polari e, a differenza della gran parte delle mitologie, ha continuato ad avere fedeli senza interruzione, dai tempi antichi fino ai giorni nostri.[1][2][3] Sebbene il credo religioso dominante degli Inuit sia diventato il Cristianesimo, molti di loro continuano a mantenere alcuni elementi dei propri culti tradizionali: secondo alcune interpretazioni essi hanno adattato (chi più, chi meno) le credenze tradizionali al cristianesimo, mentre secondo altre hanno adattato il cristianesimo alla loro visione del mondo.
La cosmologia tradizionale degli Inuit non è una religione nella classica accezione teologica del termine ed è simile solo in parte a ciò che comunemente si intende per mitologia:
«L'universo inuit non è governato da nessuno. Non ci sono dee madri e figure paterne. Non ci sono dei del vento e creatori solari. Non ci sono punizioni eterne nell'aldilà, come non esistono punizioni per i bambini o per gli adulti nel presente.»
(Rachel Attituq Qitsualik, scrittrice inuit)
Infatti le storie tradizionali, i rituali ed i tabù degli Inuit sono così intrecciati alla cultura timorosa e precauzionale richiesta dal duro ambiente artico che viene da chiedersi se si possano considerare delle vere e proprie credenze; a questo proposito va citata la risposta che venne data all'antropologo ed esploratoreKnud Rasmussen dalla sua guida e amico Aua, un angakkuq: quando Knud gli domandò riguardo alle credenze religiose diffuse tra gli Iglulingmiut (gente di Iglulik) gli fu risposto: "Noi non crediamo. Noi temiamo". Alcuni autori contestano le conclusioni che si possono trarre dalle parole di Aua in quanto egli era sotto l'influenza dei missionari cristiani, tanto che arrivò successivamente a convertirsi; essi affermano che le persone convertite spesso vedono le cose in un'ottica polarizzata e ricca di contrasti. Il loro studio analizza anche le credenze di svariati gruppi inuit, affermando tra l'altro che tale atteggiamento di paura non era diffuso.[4]
«Prima c'erano gli unipkaaq: miti, leggende, e storie popolari che avvennero nel passato indefinito (taimmani).[5]»
Angakkuq
L'angakkuq, altresì chiamato angakuq era una sorta di guaritore e psicoterapeuta che si prendeva cura delle ferite e offriva consigli, così come invocava gli spiriti per assistere la gente nella loro vita di tutti i giorni o, la maggior parte delle volte, per scacciarli; il suo ruolo era di vedere, interpretare ed esortare l'impercettibile e l'aldilà e spesso faceva uso di tamburi ritmici, canti e danze per svolgere i propri compiti. L'illuminazione (qaumaniq) era frequentemente usata per descrivere un'aura spirituale la cui rimozione, secondo loro, poteva risultare nella morte. Le abilità dell'angakkuq non erano frutto di apprendimento, bensì venivano ritenute un dono congenito che si sarebbe rivelato col tempo.
La funzione dell'angakkuq è ampiamente scomparsa nell'odierna società inuit, ormai cristianizzata.
Anirniq
Gli Inuit credevano che tutte le cose avessero una forma di spirito o anima (in inuktitut: anirniq cioè respiro), come gli umani; questi spiriti si pensava persistessero dopo la morte, una credenza comune presente praticamente in tutte le società umane. Il credo della pervasività degli spiriti è la radice della struttura dei miti inuit, secondo un tradizionale detto: "Il grande pericolo della nostra esistenza risiede nel fatto che la nostra dieta consiste interamente in anime". In virtù di questo, uccidere un animale non è molto differente dall'uccidere una persona: una volta che viene liberata l'anirniq del morto, sia quest'ultimo animale o umano, essa può prendersi la sua vendetta. Lo spirito del morto può solo essere placato dall'obbedienza alle usanze, dall'evitare i tabù e dall'espletamento dei giusti rituali.
La durezza e la casualità della vita nell'Artico ha fatto sì che gli Inuit vivessero costantemente nella paura di potenze invisibili: un periodo sfortunato poteva porre fine ad un'intera comunità, e pregare forze potenzialmente arrabbiate e vendicative per le necessità di tutti i giorni è una conseguenza comune di un'esistenza precaria, persino ai giorni nostri; per gli Inuit, offendere un anirniq significava rischiare l'estinzione.
Era compito dell'angakkuq consigliare e ricordare alla gente i tabù ed i rituali che dovevano rispettare per placare gli spiriti, dal momento che era ritenuto capace di vederli e contattarli.
Sebbene l'anirniq di ogni persona fosse individuale, modellata dalla vita e dal corpo che aveva abitato, allo stesso tempo era parte di un insieme più grande; questo metteva in grado gli Inuit di prenderne in prestito le caratteristiche o i poteri assumendone il nome.
Sin dall'arrivo del cristianesimo tra gli Inuit, anirniq è divenuto il termine accettato per il concetto cristiano di anima; esso rappresenta la radice di altre parole correlate come anirnisiaq (angelo) e anirnialuk (dio, letteralmente il grande spirito).
«Gli umani erano un insieme in tre parti principali: iñuusiq , iḷitqusiq (forse "forza della vita" e "spirito personale") e atiq. Dopo la morte, l'iñuusiq partiva verso est, ma gli altri componenti dell'anima potevano rinascere.[6]»
Tuurngait
Alcuni spiriti erano per natura non connessi a corpi fisici, queste figure erano chiamate tuurngait (o tornait, tornat, tornrait). Alcuni erano spiriti buoni che potevano essere chiamati in caso di bisogno, ma altri erano malvagi e mostruosi ed erano ritenuti responsabili di battute di caccia infruttuose o attrezzi rotti; potevano anche possedere le persone. Un angakkuq con buone intenzioni poteva usarli per guarire malattie o trovare animali da cacciare per nutrire la comunità; poteva altresì combattere, esorcizzare o tenere a bada i cattivi spiriti con appositi rituali. Uno con intenzioni malevole, invece, poteva usarli per scopi personali, o per attaccare altre persone ed i loro tuurngait.
Similarmente a quanto accaduto con altre antiche religioni, la cristianizzazione ha portato il termine tuurngaq (singolare di tuurngait), che una volta significava semplicemente "spirito aiutante", a prendere l'accezione di demone.
Uentshukumishiteu (o Wentshukumishiteu): uno spaventoso mostro marino che viaggia sott'acqua al di sotto della banchisa polare e che può emergere in qualsiasi punto; si nutre di carne umana.[7] Questo spirito protegge ferocemente i cuccioli di varie specie dai cacciatori umani ed è particolarmente affezionato alle lontre. Può viaggiare sotto terra ed attraverso le rocce.[8][9] Si ritiene che una delle sue tane sia sotto Manitutshu, la Montagna dello Spirito, una collina presso le cascate Muskrat sul fiume Churchill, in Labrador.
Akhlut: un mostro che assume le sembianze di un'orca quando vive negli oceani, ed è in grado di uscire sulla terraferma trasformandosi in lupo.
A'akuluujjusi: divinità creatrice considerata la madre di tutto il popolo Inuit.
Qalupalik: mostruosa sirena dalla pelle squamosa e i tratti orridi che attira i bambini vicino ai buchi nel ghiaccio e li trascina sott'acqua. Indossa un amautik, una sorta di marsupio in pelle che le donne Inuit usano per portare i loro bambini sulle spalle.
Tuunbaq: enorme e terrificante spirito dalle sembianze di un orso che si nasconde tra i ghiacci per tendere agguati alle sue prede umane.
^Legends: North America / Arctic Area, su ucan-online.org, United Cherokee Ani-Yun-Wiya Nation. URL consultato il 12 settembre 2009 (archiviato dall'url originale il 6 marzo 2010).
Blake, Dale. Inuit Life Writings and Oral Traditions Inuit Myths. St. John's, Nfld: Educational Resource Development Co-operative, 2001. ISBN 0968880606
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Fienup-Riordan, Ann. Boundaries and Passages Rule and Ritual in Yup'ik Eskimo Oral Tradition. The Civilization of the American Indian series, v. 212. Norman: University of Oklahoma Press, 1994. ISBN 0806126043
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Millman, Lawrence, and Timothy White. A Kayak Full of Ghosts Eskimo Tales. Santa Barbara: Capra Press, 1987. ISBN 0884962679
Inge Kleivan, B. Sonne, Eskimos: Greenland and Canada, Iconography of religions, section VIII, "Arctic Peoples", fascicle 2, Leiden, The Netherlands, Institute of Religious Iconography • State University Groningen. E.J. Brill, 1985, ISBN90-04-07160-1.
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Giulia Bogliolo Bruna, Les objets messagers de la pensée inuit, prefazione di Jean Malaurie, postfazione di Sylvie Dallet, Paris, Edizioni L'Harmattan / Institut Charles Cros, collana Ethiques de la création, settembre 2015.