Dopo aver studiato nella sua città con Arcangelo Cortoni, egli debuttò, a Modena, incredibilmente giovane, come secondo tenore, nel 1770/71, probabilmente nella prima versione del Demetrio di Paisiello[1]. Dopo essersi esibito in diversi teatri italiani, ma soprattutto al San Benedetto di Venezia, in ruoli ancora non da primo tenore, Babini fu scritturato prima presso la Corte di Berlino e, poi, al seguito di Paisiello, presso quella di San Pietroburgo (1777/1781), dove fu molto apprezzato nelle opere del compositore pugliese, anche eccezionalmente in alcune di genere giocoso, genere che egli frequentò invece assai poco in Italia. Secondo The Grove Dictionary of Opera[2], egli si esibì poi, praticamente in tutta Europa, da Lisbona a Madrid, da Vienna a Londra, dove, nel 1786, partecipò alla prima del Giulio Sabino di Cherubini. Particolarmente importanti per lo sviluppo delle sue tendenze artistiche verso la recitazione realistica, sembrano essere stati i ripetuti viaggi a Parigi, nel 1787/1789 e poi nel 1792, e cioè in momenti topici per la rivoluzione, in fase prima di maturazione e di esplosione, e poi di sviluppo.
La sua carriera in Italia continuò con grande successo per tutti gli anni novanta (partecipò fra l'altro alla prima de Gli Oriazi e i Curiazi di Cimarosa, creando la parte dell'eroe vilain, Marco Orazio ), fino al suo addio alle scene nel 1803, quando comunque veniva ancora chiamato ad eseguire prime rappresentazioni da compositori come Zingarelli e Bertoni. Ristabilitosi nella sua città natale, dopo una carriera italiana tutta incentrata su Venezia, egli si diede all'insegnamento sia del canto che dell'arte scenica, e poté annoverare tra i suoi allievi l'ancora adolescente Gioachino Rossini, all'epoca intenzionato a perseguire una carriera di cantante:[3] al giovane artista il vecchio tenore non fece mancare i suoi consigli neppure nella composizione della sua prima precocissima opera, Demetrio e Polibio[4]. Morì il 22 settembre del 1816.
Caratteristiche artistiche
Matteo Babini rappresenta un elemento chiave del recupero, nell'ultima parte del ‘700, del carattere espressivo del canto operistico che si era andato in parte perdendo tra gli acrobatismi canori dei castrati e i sovracuti dei soprani. Tenore baritonale dall'estensione molto limitata che lo faceva trovare a suo agio sostanzialmente in una sola ottava, non particolarmente versato nella coloratura (anche se poi, negli Orazi, l'aria più virtuosistica è la sua), egli diede il suo contributo alla rinascimento dell'arte operistica, sviluppando le sue doti di cantante-attore, che si distingueva nello stile declamatorio dei suoi recitativi, nella verità che sapeva infondere alla sua recitazione, nel fascino che così riusciva ad esercitare infallibilmente sugli spettatori, in ciò indubbiamente favorito anche dalla sua notevole presenza scenica (era alto, biondo, snello e di bellissimi lineamenti). Secondo Giovanni Morelli,[5]
lo stimolo per la ricerca della verità drammatica il Babbini lo trovò sicuramente durante i soggiorni parigini del 1787-9 e del 1792. Si può infatti constatare come dopo quegli anni, il repertorio del tenore si sia dirottato invariabilmente dai drammi metastasiani verso interpretazioni a soggetto storico con suggestioni contemporanee, romano repubblicane e verso la cantata monodramma rousseauviana (che portò con enorme successo nei maggiori teatri italiani). Quale interprete d'avanguardia e cantante erudito, Babbini si adoprò a cercare «le costumanze dei popoli e le vicende degli eroi»[6], e proprio nella prima veneziana degli Oriazi cimarosiani si esibì in scena adottando costumi storici, «di che il pubblico rimase così soddisfatto che nel seguito i teatri ne presero invariabile norma»[7].
Con la sua ricerca della espressività attraverso la verità interpretativa , da conseguire anche per mezzo del rinnovamento, Babini si affiancò ai suoi compagni di tanti spettacoli, Crescentini, Grassini, Banti, Pacchiarotti, e anche quel Giacomo David, con il quale gli capitò tante volte di alternarsi nell'esecuzione delle medesime parti, nell'azione di restyling del canto lirico che pose le basi per la successiva rinascita rossiniana; di essa del resto toccò probabilmente a lui di effettuare un vero e proprio simbolico varo con le lezioni che ebbe modo di dare ad un ragazzino precoce che voleva fare il cantante d'opera e che sarebbe diventato invece il compositore più famoso d'Europa.
^Tale data è riportata, on line, dall'Enciclopedia Treccani; la data 1773 riportata invece dal Grove Dictionary (vol. I, pag. 267) è evidentemente errata, in quanto il nome di Babbini risulta ripetutamente citato, tra i comprimari, in libretti del biennio precedente (tra cui quello della prima assoluta della Merope di Giacomo Insanguine, e della prima bolognese de L'Astratto di Niccolò Piccinni (cfr. Ruoli creati, infra).
^Rossini raccontò in vecchiaia a Ferdinand Hiller delle sue velleità giovanili di diventare cantante ed del suo incontro con il grande tenore (cfr. Morelli, p. 32).
^Richard Osborn, Rossini. His Life and Works?? (seconda edizione), New York, Oxford University Press, 2007, p. 12, ISBN 978-0-19-518129-6.
^Pietro Brighenti, Elogio di Matteo Babini detto al Liceo filarmonico di Bologna da Pietro Brighenti nella solenne distribuzione dei premj musicali il 9 luglio 1819, Bologna, 1821, p. 11.
Rodolfo Celletti, Storia del belcanto, Discanto Edizioni, Fiesole, 1983
(EN) Sadie, Stanley (a cura di), The new Grove Dictionary of Opera, Oxford University Press, 1992, voll. 4, ad nomen
Giovanni Morelli, “«E voi pupille tenere», uno sguardo furtivo, errante, agli «Orazi» di Domenico Cimarosa e altri”, saggio contenuto nel Programma di sala del Teatro dell'Opera per le rappresentazioni de Gli Orazi e i Curiazi, Roma, 1989.