Massacro di Mountain Meadows
Il massacro di Mountain Meadows fu un sanguinoso episodio verificatosi venerdì 11 settembre 1857[1][2][3][4][5][6][7] durante la presidenza di James Buchanan, al culmine di una serie di attacchi iniziati il 7 settembre a margine della rivolta mormone nei pressi dell'area montuosa nota come Mountain Meadows, area situata nello Stato statunitense dello Utah e lungo l'Old Spanish Trail[3][6][8]: a compiere il massacro furono circa cinquanta[5] mormoni, i quali, travestiti da indiani e con la complicità di veri indiani della tribù dei Paiute, assalirono la carovana Baker-Fancher, una carovana di pionieri inermi provenienti dall'Arkansas e diretti in California.[1][2][3][4][6][8] Vi furono circa 120 morti[3][5][6][8] e tra le vittime vi furono anche donne e bambini.[3][6][8][9][10] Principali responsabili del massacro furono John Doyle Lee (condannato a morte per il fatto nel 1877),[1][3][6] William H. Dame, Isaac C. Haight e Philip Klingensmith. La ricostruzione dei fatti è basata sui racconti dei bambini sopravvissuti al massacro, in quanto i diari dei pionieri andarono distrutti.[3] I motivi di contrastoTra i motivi che portarono ad un'escalation di eventi sanguinosi vi fu l'invio nello Utah (colonizzato dai Mormoni nel 1847 ed annesso agli Stati Uniti nel 1850, con il capo mormone Brigham Young come primo governatore) da parte del presidente James Buchanan di uomini di legge che sarebbero stati coinvolti in alcuni scandali.[11] Una volta rimossi dai loro incarichi, alcuni di loro avrebbero infatti affermato di essere stati cacciati con la forza dai coloni Mormoni, che si stavano ribellando a Washington.[11] Temendo una rivolta mormone, il presidente statunitense Buchanan decise di inviare in segreto l'esercito per soffocare eventuali ribellioni sul nascere.[11][12] Nel corso di questi eventi, che portarono alla ribellione nota come Guerra dello Utah, il 5 agosto 1857 il governatore Brigham Young instaurò la legge marziale, che impediva tra l'altro di attraversare lo Utah senza un permesso.[12] Tra le conseguenze della legge vi fu la riluttanza da parte dei cittadini dello Utah di vendere cibo ai viaggiatori.[12] I fattiIl viaggio della carovana Baker-FancherLa carovana di pionieri coinvolta nel massacro, composta da circa 140-150 persone[3][12] (donne, uomini e bambini), quaranta carri[12], centinaia di cavalli[3] e mille capi di bestiame[3], era partita dall'Arkansas diretta in California nella primavera del 1857[3]. La carovana era guidata da John T. Baker e da Alexander Fancher e per questo è passata alla storia come "Carovana Baker-Fancher".[11] La maggior parte era partita da una località nei dintorni di quella che è oggi la città di Harrison, nell'Arkansas.[12] Altri gruppi, che si unirono alla carovana nel corso del viaggio, provenivano dal Missouri, dall'Illinois, dall'Ohio, dal Tennessee e dal Texas nord-orientale.[12] Dopo aver attraversato il Kansas e il Nebraska nei primi giorni di settembre del 1857, i pionieri erano giunti a Cedar City, nello Utah, passando per Salt Lake City.[12][13]
L'attaccoI pionieri decisero così di proseguire in direzione sud-ovest[13], ma, una volta giunti nei pressi di Mountain Meadows, il 7 settembre[12] o l'8 settembre[3] 1857 furono attaccati da un gruppo di Indiani[3][12] e di Mormoni travestiti da Indiani, che uccisero 7 uomini[3] e ne ferirono altri 16[3]. Il massacro dell'11 settembre 1857Dopo circa quattro giorni di strenua resistenza da parte dei pionieri, che nel frattempo erano rimasti senz'acqua e senza munizioni[3], la mattina dell'11 settembre 1857 un gruppo di Mormoni guidato dal vescovo John D. Lee (il quale recava tanto di bandiera bianca[3][5][6][13] e si spacciò per ministro degli affari indiani)[3][6], riuscì con l'inganno a convincere i pionieri a deporre le armi[3][5][6][13], offrendo loro una scorta per uscire dall'area[3][5][6][13]. Così, il gruppo formato da donne e bambini si lasciò scortare da alcuni mormoni, dopodiché altri mormoni armati scortarono il gruppo di pionieri formato da uomini e ragazzi.[1][12][13] Al tempo stesso, gli indiani fecero razzie delle provviste dei pionieri.[3] Dopo un miglio di cammino fu dato un segnale (l'urlo "Fate il vostro dovere!", forse dato da Lee[3]), al quale i mormoni armati aprirono il fuoco sul gruppo di uomini e ragazzi, mentre un gruppo di indiani della tribù dei Paiute assalì il gruppo formato da donne e bambini.[3][13] Furono lasciati vivi 18 bambini[6][14], che i mormoni portarono con sé assieme alle vettovaglie[6]. Tra questi, vi era però una bambina di 11-12 anni che - secondo quanto riferito in seguito da una bambina più piccola, Nancy Saphrona Huff, che a Mountain Meadows aveva visto uccidere i genitori, tre fratelli ed una sorella[6] - non fu risparmiata, nel timore che potesse essere una scomoda testimone[6]: fu l'ultima vittima del massacro[6]. Ai corpi dei pionieri non fu data una degna sepoltura: il giorno seguente, furono spogliati completamente da John D. Lee, Isaac Haight e Philip Klingensmith[1] e lasciati in pasto agli animali al pascolo.[3]. Soltanto due anni dopo, su sollecitazione dei parenti delle vittime, le ossa di almeno 29 delle 120 vittime furono rinvenute da alcuni soldati della Cavalleria degli Stati Uniti guidati dal generale James Henry Carleton (1814-1873), che si occuparono della loro sepoltura, scavando sul posto una fossa comune.[3][12][15] Sul luogo, fu poi apposta una lapide che reca la scritta "Qui riposano le ossa di 120 uomini, donne e bambini dell'Arkansas, trucidati l'11 settembre 1857".[3] Vittime e superstitiElenco delle vittime accertateUomini e ragazzi sopra i 14 anni[9]
Donne e ragazze sopra i 14 anni[9]
I 17 bambini scampati al massacro[16]
Le conseguenze del massacroIl destino dei sopravvissutiI 17 bambini sopravvissuti al massacro furono inizialmente adottati da alcune famiglie mormoni locali.[2][3][12][13] Due anni dopo l'evento, tuttavia, questi bambini poterono ricongiungersi a dei loro parenti nell'Arkansas grazie ad una sovvenzione del governo.[3][13][14] Ad occuparsi del trasferimento nella loro terra d'origine fu il Capitano James Lynch.[3] Indagini, processo e condannePer anni, il massacro fu attribuito esclusivamente agli Indiani e il vero andamento dei fatti messo sotto silenzio.[12] In seguito, le indagini condotte dal generale James Henry Carleton portarono alla conclusione che a commettere il massacro furono in realtà dei Mormoni[17] Circa vent'anni dopo il massacro, il vescovo mormone John D. Lee fu processato da un tribunale presieduto dal giudice Boreman e, in qualità di reo confesso, condannato a morte.[1][3][5][6][12] Fu fucilato il 23 marzo 1877[1][12] nel luogo del massacro[6][14]: prima di essere giustiziato invocò Dio di essere testimone della sua innocenza[6] e pronunciò le parole "Colpitemi al cuore, ragazzi! Non straziate il mio corpo!"[1]. In precedenza, già nel 1870, Lee era stato scomunicato insieme ad Isaac Haight, un altro dei principali responsabili del massacro.[2][5] Monumenti in memoria delle vittimeNel 1932 fu eretto a Mountain Meadows, attorno al luogo di sepoltura dei pionieri rimasti uccisi nel massacro un muro in memoria delle vittime[12]. Un altro monumento, voluto dai discendenti delle vittime e finanziato dal governo dello Utah, fu innalzato il 15 settembre 1990[12]: si trova lungo l'autostrada U-19 e circonda il luogo del massacro.[12] Il massacro di Mountain Meadows nei media e nella cultura di massaLetteratura
Musica
Come all you sons of liberty, unto my rhyme give ear
In Indian colors all wrapped in shame this bloody crew was seen
[...]
Cinema e fiction
Note
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