Legge ad personamLa locuzione[1] lex ad personam (pl. leges ad personam), o legge ad personam, indica una legge o un atto normativo avente forza di legge emanato con lo specifico intento di favorire (o anche sfavorire), direttamente o indirettamente, un cittadino, un'azienda o un ristretto gruppo di soggetti (ad personam), quindi una forma di clientelismo. Le leggi ad personam violano il fondamentale principio di eguaglianza dei cittadini innanzi alla legge. StoriaNell'antica Roma la legge che portava vantaggio a un singolo interesse non era definita ad personam, ma di privilegium, nel suo significato anceps, ovvero duplice, possibilmente tanto favorevole quanto odiosum. Le leggi delle XII tavole stabilivano (tavola IX), soprattutto in quest'ultimo senso, privilegia ne irroganto, per vietare provvedimenti punitivi indirizzati verso un unico cittadino. Un classico della letteratura è Cicerone, che nel 58 a.C. con il "Cicero pro domo sua" 10,26 pronunciò la celebre frase "Licuit tibi ferre non legem, sed nefarium privilegium." - "Tu non promulgasti una legge, ma un infame privilegio", riferito al tribuno della plebe Clodio e alla lex Clodia da lui emanata contro lo stesso Cicerone, la prima legge ad personam che si conosca emanata in un sistema (latamente) democratico. Nel mondoItaliaQuesta locuzione è entrata nell'uso comune in Italia anche a seguito del primo decreto legge, DL. 694/1984, a favore di un'azienda privata (il 20 ottobre 1984); da quel giorno politici e giornalisti ne hanno fatto un largo uso, in particolare durante la XIV legislatura della Repubblica Italiana. Cionondimeno, le leggi ad personam possono comunque produrre effetti giuridici vincolanti sia nei rapporti intersoggettivi di diritto privato che essere opponibili alle pubbliche amministrazioni. Da un punto di vista formale, esse presentano tutti i crismi dell'astrattezza, della generalità e dell'imperatività della norma giuridica. Sono esempi teorici di queste norme: l'incarico di una docenza universitaria al consorte di una personalità politica, o la concessione di una pensione speciale al vedovo, o ancora l'assegnazione nepotistica delle nomine dirigenziali di una società a controllo pubblico. La prevenzione di tale fenomeno di scadimento della tecnica legislativa di uno Stato democratico è delegata esclusivamente all'assunzione di responsabilità politica da parte dei decisori eletti dal popolo, e purtuttavia è priva di una specifica norma applicabile che ne dichiari esplicitamente illegittimo l'uso. Ciò è possibile perché non esiste uno specifico criterio contenutistico di identificazione e di classificazione delle norme[2], vale a dire una norma regolamentare che escluda l'approvabilità (se non la stessa proponibilità) di altre proposizioni normative la cui portata possa ridursi ad una singola persona fisica o giuridica. Nella storia politica italiana il fenomeno delle leggi ad personam ha spesso infiammato l'opinione pubblica.[3] Già nel corso della XIII Legislatura vi furono forti polemiche in occasione della conversione del decreto-legge 24 maggio 1999, n. 145, istitutivo del giudice unico di primo grado. La nuova disciplina prevedeva l'incompatibilità tra gip e gup per tutti i processi a partire dal 2 gennaio 2000. In Commissione Giustizia veniva però approvato un emendamento che comportava l'immediata entrata in vigore dell'incompatibilità. Ciò suscitò allarmi da parte della magistratura, che vedeva a rischio vari procedimenti. In particolare era a rischio l'avvio del processo IMI-SIR, con imputati Silvio Berlusconi e Cesare Previti. Secondo quanto riportato da La Repubblica[4] e L'Espresso, diversi parlamentari della maggioranza imputavano queste modifiche alle pressioni ricevute dall'opposizione, che sarebbero state dovute a dei compromessi fra Massimo D'Alema e Silvio Berlusconi, il quale avrebbe minacciato il blocco di alcuni lavori parlamentari. Secondo il ministro invece il mancato rinvio sarebbe dovuto per il possibile incorrere d'incostituzionalità. A seguito delle polemiche sorte la legge di conversione (Legge 22 luglio 1999, n. 234) mantenne il rinvio di alcuni mesi della entrata in vigore dell'incompatibilità. Nel corso della XIV Legislatura e della XVI Legislatura, sotto i governi Berlusconi II, Berlusconi III e Berlusconi IV sono stati approvati numerosi atti legislativi che hanno sollevato aspre critiche in quanto ritenute leggi ad personam.[3] Dette contestazioni hanno affermato che la maggioranza di centrodestra abbia ricorso a tale espediente per alleggerire la posizione processuale di Berlusconi stesso. È stato rilevato come le seguenti leggi abbiano ridotto le pendenze giudiziarie o abbiano in qualche modo favorito gli interessi del Presidente del Consiglio:
Secondo un'inchiesta de La Repubblica, le leggi approvate dal 2001 al 2012 dai governi di centrodestra che hanno prodotto benefici effetti per Berlusconi e le sue società sarebbero state diciassette[5]. Oltre ai dieci provvedimenti sopra menzionati, il quotidiano romano considera quali leggi ad personam ulteriori sette atti legislativi[6]:
Antonio Di Pietro ha inoltre definito "legge ad coalitionem"[7][8] la legge elettorale del 2006[9] che, data la morfologia delle formazioni politiche all'atto delle elezioni governative, si riteneva dovesse permettere ai partiti della coalizione di centrodestra di ottenere un numero di seggi fortemente superiore rispetto a quanto sarebbe avvenuto con la precedente normativa, effetto tuttavia rovesciato nelle successive elezioni politiche del 2008 a causa di una nuova intervenuta conformazione partitica. Ulteriore legge ad coalitionem può essere considerato[senza fonte] il decreto legge 5 marzo 2010, n. 29, recante: "interpretazione autentica di disposizioni del procedimento elettorale e relativa disciplina di attuazione". Nelle presentazione delle liste elettorali per le elezioni regionali 2010 i rappresentanti del PDL avevano depositato la documentazione necessaria oltre il termine previsto, il che aveva causato l'esclusione delle liste del PDL dalla competizione elettorale queste regioni. Con questo provvedimento si è cercato di sanare il ritardo, prevedendo che "il rispetto dei termini orari di presentazione delle liste si considera assolto quando, entro gli stessi, i delegati incaricati della presentazione delle liste, muniti della prescritta documentazione, abbiano fatto ingresso nei locali del Tribunale". Devono inoltre considerarsi degli atti non di natura legislativa, quali:[senza fonte]
Note
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