«Vorrei cantar quel memorando sdegno ch’infiammò già ne’ fieri petti umani un’infelice e vil Secchia di legno che tolsero a i Petroni i Gemignani. [...] Ma la Secchia fu subito serrata ne la torre maggior dove ancor stassi, in alto per trofeo posta e legata con una gran catena a’ curvi sassi; s’entra per cinque porte ov’è guardata e non è cavalier che di là passi né pellegrin di conto, il qual non voglia veder sì degna e glorïosa spoglia.»
Il poema narra la storia del conflitto tra i liberi comuni di Bologna e Modena al tempo di Federico II di Svevia. Durante la battaglia di Zappolino,[1] i bolognesi, dopo un'incursione nel territorio di Modena, furono respinti e inseguiti fino alla loro città; i modenesi si fermarono a un pozzo a dissetarsi e portarono via come trofeo di guerra una secchia di legno.
Al rifiuto dei modenesi di riconsegnare la secchia, i bolognesi dichiarano loro guerra. Ad essa partecipano, distribuiti tra le due parti, gli dei dell'Olimpo: Apollo e Minerva si schierano a fianco di Bologna, mentre Marte, Venere e Bacco con Modena. Anche re Enzo, figlio dell'imperatore Federico II, parteggia per loro. Un elemento nuovo introdotto dal Tassoni è l'entrata in campo di un esercito di donne, guidato da Renoppia.
La guerra per la secchia rapita si protrae per qualche tempo fra battaglie, duelli, tregue e tornei, intercalati da episodi comici e burleschi che hanno spesso come protagonista il conte di Culagna. Innamoratosi di Renoppia, sfida a duello il prode Melindo e lo vince, secondo quanto predetto dalla profezia che aggiudica la vittoria al più debole e vile; e tenta di avvelenare la moglie, ma beve la pozione per errore ed è costretto a confessare la malefatta. Alla fine il conflitto si conclude grazie a trattative condotte da un legato pontificio, che stabiliscono le seguenti condizioni: i bolognesi possono tenersi re Enzo, fatto prigioniero durante la battaglia di Fossalta; i modenesi, la secchia.
Il conte di Culagna
L'immaginario conte di Culagna è forse il personaggio più noto dell'opera e ne rappresenta bene lo spirito volto, per esplicita ammissione del Tassoni, al puro intrattenimento del lettore. Ecco come viene presentato:
«Chi dal monte il dì sesto, e chi dal piano dispiegò le bandiere in un istante; e 'l primo ch'apparisse a la campagna fu il conte de la Rocca di Culagna.
Quest'era un cavalier bravo e galante, filosofo poeta e bacchettone ch'era fuor de' perigli un Sacripante, ma ne' perigli un pezzo di polmone. Spesso ammazzato avea qualche gigante, e si scopriva poi ch'era un cappone, onde i fanciulli dietro di lontano gli soleano gridar: - Viva Martano -.
Avea ducento scrocchi in una schiera, mangiati da la fame e pidocchiosi; ma egli dicea ch'eran duo mila e ch'era una falange d'uomini famosi: dipinto avea un pavon ne la bandiera con ricami di seta e d'or pomposi: l'armatura d'argento e molto adorna; e in testa un gran cimier di piume e corna.»
L'uomo si innamora di Renoppia e per farlo pensa di uccidere la moglie. Rivela il piano al compagno romano Titta, che di rimando lo adula:
«"Conte, tu se' 'nu Papa, e tt' ajo detto che nun c'è chi te pozza stare a petto"»
Il conte fanfarone ignora che Titta è l'amante della moglie del nobile: il cavaliere di nascosto mette la donna al corrente del piano mentre il conte va a procurarsi il veleno. Ritornato a pranzo, il conte di nascosto avvelena il piatto della moglie spacciandolo per pepe, quando però egli si volta la contessa scambia i piatti; sarà il marito a subire l'effetto del composto, che peraltro non è veleno ma un purgante ed emetico la cui azione causerà all'uomo una pessima figura in piazza.
Edizioni
A causa delle difficoltà ad ottenere l'imprimatur dalle autorità ecclesiastiche, condizione obbligatoria per vedere il testo stampato e diffuso, Tassoni consentì la riproduzione manoscritta dell'opera nel 1616. Essa ebbe grande successo, circolando in centinaia di esemplari nelle corti di tutta Italia, fino a quando non apparve l'edizione a stampa a Parigi nel 1622.[2]
Alessandro Tassoni, La Secchia rapita, 1ª ed., Parigi, presso Tussan du Bray, 1622. URL consultato il 2 dicembre 2019.
Alessandro Tassoni, La Secchia rapita, revisionato su diretta sollecitazione della Congregazione dell'Indice[3], Ronciglione [ma Roma], 1624.
Alessandro Tassoni, La Secchia rapita, edizione definitiva, con le Dichiarazioni del signor Gasparo Salviani, e il primo Canto dell'Oceano, Venezia, presso Giacomo Scaglia, 1630. URL consultato il 4 dicembre 2019.
^in Giovanni Pacini, Le mie memorie artistiche, Firenze, 1865, p. 88. L'opera fu rappresentata nel teatro di Viareggio appena costruito per iniziativa dello stesso Pacini. Questi riferisce inoltre che al momento della stesura delle sue memorie, Sellerié era direttore della scuola di musica di Montellier.
Bibliografia
Giorgio Caravale, Libri pericolosi. Censura e cultura italiana in età moderna, Bari-Roma, Laterza, 2022, ISBN9788858147511.
Barbara Zandrino, Il gusto della deformazione e la degradazione dell'eroico nella «Secchia rapita», in Lettere italiane, vol. 18, n. 2, aprile-giugno 1966, pp. 180-193, JSTOR26249243.