Il vocabolario sumerico del sacroLa nozione di "sacralità del cosmo" viene individuata in cuneiforme con il segno [1] (me, termine e nozione da considerare sempre plurale; in accadico acquisisce la forma semitica con la 'ŭ' quindi mû (anche parṣu), ma la nozione semitica, a differenza di quella sumerica, li rende prevalentemente come "riti")[2][3]. I me sono quelle condizioni che consentono a qualsivoglia ente o situazione di essere conforme a ciò "che deve essere"[4]. Così il re (lugal) è tale solo quando i me della sovranità gli sono consegnati, altrimenti è un uomo comune come gli altri [5]. Una città occupata dal nemico poteva perdere i suoi me finché qualcuno non li ristabiliva. I me possono dunque essere sospesi o violati e questo spiegherebbe la presenza di calamità naturali o sociali; la loro assenza giustifica la ragione del male che si instaura nel mondo[6]. Henri Limet[7] evidenzia come questa nozione appaia nel mito del viaggio della dea Inanna a Eridu presso il dio Enki[8]. Yvonne Rosengarten[9] rende questo termine come "prescrizioni" intendendo con questo ciò che essendo stato formulato sul piano astratto viene poi a concretizzarsi. I me (quindi sempre al plurale), ovvero le "prescrizioni", vanno intesi nel contesto di ciò che organizza il cosmo, quindi anche la città e la cerimonia religiosa. I me sono governati dalle divinità principali: An ed Enlil. Costoro li trasmettono agli altri dèi "esprimendo il destino" e generando un universo ordinato e ammirevole. Quando i me si eprimono per mezzo di cerimonie ne fanno acquisire il ruolo di rito, esso stesso è i me in azione. Precedentemente Thorkild Jacobsen[10] aveva reso il termine me come verbo "essere"; Benno Landsberger [11] come "potenza divina"; mentre Johannes Jacobus Adrianus van Dijck[12] come «immanenza divina nella materia morta e viva, immutabile, sussistente ma impersonale, di cui dispongono solo gli dèi.»[13]. I me sono quindi le prescrizioni/modelli/essenze (quest'ultima, l'interpretazione di Pietro Mander[14]) originari a cui si sottomettono le divinità che poi li indicano alle divinità inferiori, fino agli uomini. Tali prescrizioni decidono il destino di ciascuno: il buon andamento del cosmo corrisponde all'uniformarsi ai me, alle prescrizioni. Ognuno vi si deve conformare in quanto esse esprimono l'assoluta bellezza e bontà. Così Mircea Eliade: «Poiché gli dèi sono responsabili dell'ordine cosmico, gli uomini devono eseguire le loro ingiunzioni, le quali si riferiscono alle norme, ai 'decreti', me, che garantiscono il funzionamento, cioè determinano, il destino di ogni essere, di ogni forma di vita, di ogni impresa divina o umana. La determinazione implicita nei 'decreti' si compie mediante l'atto del nam-tar, che costituisce e proclama la decisione presa.» Questi decreti coinvolgendo il destino di ogni essere al fine di garantire l'ordine cosmico ineriscono quindi all'espressione del sacro «Considerando infine, nel loro insieme, tutti gli epiteti di me appartenenti sia al campo dell'estetica, sia a quello della religione non sarebbe troppo temerario concludere che la bellezza delle 'prescrizioni', poste in vigore sin dalle origini, conosciute e trasmesse dalle divinità, incarnate nel reale per mezzo della determinazione dei Destini, fosse celebrata come se dovesse sostanzialmente rendere sensibile la presenza del Sacro nel mondo.» Julien Ries così riassume: «I testi sumeri registrano più volte una parola che si rivela d'importanza capitale nel pensiero religioso: questa parola è me. I sumeri l'hanno tradotta in quattro modi: decreti divini; determinazioni; modelli; forze divine. La Rosengarten suggerisce un'altra traduzione: prescrizioni. Le prescrizioni sono giuste, sublimi, feconde; si tratta di un denominatore comune che renderà armonica l'azione di tutti gli dèi nel mondo. Vi sono tre tipi di me: le prescrizioni che la dea Inanna si fa concedere dal dio Enki a proposito della città di Uruk e che sono relative al governo della città; le prescrizioni del cielo e della terra, me cosmici che assicurano il dominio del mondo da parte degli dèi; le prescrizioni che si applicano ai riti del culto. An e Enlil sono gli dèi celesti per eccellenza: i me sono inerenti alla loro natura e sono subordinati. I me trasmettono le decisioni degli dèi riguardo all'Universo. I Sumeri concepiscono il cosmo come interamente governato, bello e buono. Tutti i destini sono stabiliti dagli dèi. Gli dèi An, Enlil, Enki pronunciano i me: così mettono in vigore le prescrizioni. La totalità dei me è nelle mani degli dèi: dèi e uomini devono sottomettervisi. I me sono detti kù-g, vale a dire puri e sacri.» La nozione di "sacro", ma inteso come originario, viene individuata in cuneiforme con il segno (sumerico: Kù (g), accadico: elēlum, ellum)[15] . A tal proposito tale nozione è presente in qualità di aggettivo, ad esempio nei cilindri di Gudea, ad indicare qualcosa "sacro" nel suo aspetto primordiale. Herbert Sauren[16] nota che tra le ottanta divinità di Lagaš solo le due primordiali, An e la dea Gatumdu (Dea Madre, Dea Terra), sono qualificate con tale nozione essendo ritenute, secondo Sauren, gli elementi costitutivi del cosmo ovvero ricchi di sacralità divina primordiale. La nozione di "divinità" viene espressa in sumerico con l'ideogramma (dingir) posto prima del nome del dio a significare la sua divinità. Il fatto che questo ideogramma indichi anche il termine "cielo" come la divinità preposta alla volta celeste, ha fatto ritenere alcuni autori [17] di genere "astrale" la religione sumerica, ma tale ideogramma viene anteposto anche per le divinità ctonie o infere [17] e non è quindi delimitabile al solo ambito celeste[17]. Rispetto all'ideogramma indicante la divinità Pietro Mander osserva: «il grafema rappresenta un punto da cui si irradiano delle linee in otto direzioni dello spazio (ovvero: le bisettrici dei quattro punti angoli del mondo): esso è quindi da riferire al concetto studiato da Eliade e indicato con l'espressione "ombelico del mondo", ovvero il concetto di un centro di irradiazione da cui scaturisce una realtà, così come il feto si forma attorno all'ombelico [...]. I significati "spiga", "grappolo" per il grafema AN corroborano questa interpretazione: infatti le spighe e il grappolo di datteri si dipartono rispettivamente dallo stelo e dal picciolo in maniera analoga al feto dell'ombelico (ovvero come appare il neonato rispetto al cordone ombelicale). [...] An era concepito come realtà divina celeste che costituiva la fonte, il principio delle divinità.» Rispetto alla nozione del "Centro" così Mircea Eliade: «Da quanto precede risulta che il "vero mondo" è sempre nel "mezzo", al "Centro", cioè sul punto di rottura del livello, e di comunicazione tra zone cosmiche. [...] Ci sembra quindi di dover concludere che l'uomo delle società premoderne aspira a vivere il più possibile al Centro del Mondo» La divinità sumerica è immortale, in possesso dei me, è sacra (ku.g), mangia, beve, si rallegra e si lamenta, decide il destino degli uomini, possiede uno sguardo profondo che turba chi lo osserva, rispetto agli uomini essa è più intelligente e fisicamente forte [5]. La caratteristica centrale della divinità è la sua radiosità, il suo terrificante splendore, in cuneiforme [18] (sumerico: melam, meli(m); accadico: melammû, melummum[19]). In particolare indica la radiosità che promana dal volto e dalla testa della divinità [20]. Il numero delle divinità sumeriche elencato nelle liste di Fara e Abu Salabikh è di circa 500. Come è stato già riportato, le tre divinità principali del mondo religioso sumerico sono An, Enlil ed Enki rispettivamente dèi del Cielo, della Terra e dell'Abisso delle acque dolci[21]. Note
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