Hassan Pakravan
Hassan Pakravan (Teheran, 4 agosto 1911 – Teheran, 11 aprile 1979) è stato un funzionario e generale iraniano, direttore della SAVAK dal 1961 al 1965. Ucciso dal neo-nato regime islamico. BiografiaUna delle sue prime decisioni come capo della SAVAK fu quella di astenersi da qualsiasi forma di tortura durante gli interrogatori.[1] Come ufficiale di sicurezza di alto rango, il generale Pakravan conosceva il caso dell'ayatollah Khomeini prima della rivoluzione. Secondo la figlia di Pakravan : "Hassan era capo della sicurezza durante le rivolte del 1963 fomentate dai mullah contro la rivoluzione bianca dello Shah. Fece arrestare Khomeini, ma quando i militari raccomandarono un processo rapido che avrebbe portato alla sua esecuzione per tradimento, il generale Pakravan intervenne personalmente e minacciò di dimettersi. Lo Shah, tra consigli contrastanti, chiese a Pakravan di trovare un modo per salvare la vita di Khomeini. Pakravan cercò l'aiuto di uomini che avevano familiarità con le questioni religiose e tornò dallo scià con la soluzione: se Khomeini fosse stato elevato al rango di ayatollah, sarebbe diventato intoccabile. Lo Scià accettò il piano. Pakravan si recò alla residenza dell'ayatollah Shariat Madari a Qom e ottenne da loro che pronunciassero la formula che rese Khomeini un ayatollah. La vita del chierico fu così risparmiata. Qualche tempo dopo, fu mandato in esilio, prima in Turchia e poi in Iraq."[2] Arrestato il 16 febbraio 1979, immediatamente dopo la caduta del precedente regime e la vittoria degli islamici, "la sua biblioteca personale, che contava migliaia di libri con una particolare attenzione per la storia e la filosofia, e la sua collezione di memorie di viaggio risalenti al XVI secolo, vennero saccheggiati insieme al resto dei suoi beni".[2] Secondo il giornale Kayhan, il processo ebbe luogo nelle prime ore dell'11 aprile 1979. Durò circa 15 minuti, senza avvocato e senza possibilità d'appello. Condannato per "tradimento" e "corruzione sulla terra", venne fucilato. I famigliari non poterono vedere il corpo per diverso tempo, e lo seppellirono sotto falso nome per evitarne la profanazione.[2] Note
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