Grande moschea di Cordova
La Grande moschea di Cordova, oggi Cattedrale di Nostra Signora dell'Assunzione, è una delle principali espressioni dell'arte moresco-islamica e dell'architettura gotica e rinascimentale dell'Andalusia. È con l'Alhambra di Granada, l'Alcázar di Siviglia, la Aljafería di Saragozza e la Giralda di Siviglia la più prestigiosa testimonianza della presenza islamica in Spagna dall'VIII secolo al XIII secolo.[1] StoriaLe originiLa costruzione sorge sul sito in cui si ergeva l'antica chiesa visigotica di San Vincenzo,[2] non lontana dal Guadalquivir. Gli scavi archeologici diretti dall’architetto Félix Hernández nel 1930 confermarono l’esistenza nel sottosuolo della Moschea-Cattedrale di un complesso episcopale databile tra il secolo IV e VI. Furono portati alla luce i resti archeologici della basilica visigota dedicata a San Vincenzo Martire, della sede episcopale e del seminario. Quando i musulmani occuparono Cordova nel 756 la chiesa fu inizialmente suddivisa e utilizzata contemporaneamente da musulmani e cristiani. Successivamente l'emiro ʿAbd al-Raḥmān I fece demolire la chiesa cristiana e intraprese la costruzione della grande moschea. La moscheaL'edificio iniziale, cominciato nel 785 da ʿAbd al-Raḥmān I[2], comprendeva un cortile quadrato (il patio de los naranjos) circondato da un muro di cinta sul quale si apriva in tutto il suo splendore la sala di preghiera, di forma rettangolare, composta da undici navate, ciascuna avente dodici arcate, disposte di fronte al cortile. Le navate erano separate da eleganti colonne di marmo di diversa provenienza (tra cui edifici romani a Cordova e la preesistente chiesa visigota). In modo eclettico i costruttori islamici presero dai Bizantini l'idea dei mosaici, dagli Egizi la sala a colonne, dai Visigoti l'arco a ferro di cavallo, dall'architettura romana dell'acquedotto di Segovia gli archi sovrapposti nei quali videro la stilizzazione dei rami di palma, così da costruire la moschea come un gigantesco palmeto di pietra (856 colonne in un rettangolo di 175 metri per 135). La selva di colonne crea "ritmici allineamenti e fughe a perdita d'occhio, cadenzati giochi di profondità, mutevoli e sempre esatte prospettive geometriche, congeniali ad un popolo che inventò l'algebra". Hishām I fece realizzare parecchie ristrutturazioni interne: le gallerie destinate alle donne che venivano a pregare e una vasca per le abluzioni. La Moschea fu ingrandita più volte dai successori di ʿAbd al-Raḥmān I (ʿAbd al-Raḥmān II 833-48; al-Ḥakam II 962-966; ʿAbd al-Raḥmān III 929-958; Almanzor 988), finendo per coprire 23.000 m² e diventare la più grande moschea del tempo e seconda solo dopo l'edificazione di quella di Sāmarrāʾ, capitale abbaside pro tempore. Ampliamenti di ʿAbd al-Raḥmān II e al-Ḥakam IILa lunghezza delle arcate fu raddoppiata da ʿAbd al-Raḥmān II nell'848 e allungata un'ultima volta da al-Ḥakam II nel 961. In entrambi i casi l'allungamento delle navate avvenne sul lato opposto all'entrata principale e per questo motivo il miḥrāb, anch'esso collocato sul quel lato, dovette essere ogni volta ricostruito. Quello attuale, montato con l'aiuto di artisti bizantini, è un'enorme cupola monolitica a forma di conchiglia, in marmo bianco superbamente decorato; ai lati del mihrab si trovava lo spazio detto maksurah, che durante i momenti di culto era riservata al califfo e ai suoi cortigiani.[2] La sala di preghiera terminante nel mihrab, detta kebla, era anche nota come capilla del Zancarron - ossia cappella del grande piede - per via della presenza di un osso, attribuito a Maometto, ivi conservato.[2] Il miḥrāb non è orientato verso la Kaʿba della Mecca (quindi a SE) ma verso sud e, per salvarlo dall'accusa di un così corposo errore, la leggenda vuole che ʿAbd al-Raḥmān, nostalgico della città di Damasco da cui era stato cacciato dagli Abbasidi, avesse voluto appositamente orientare il miḥrāb della moschea di Cordoba nella stessa direzione di quello della moschea di Damasco. Spiegazione però del tutto inverosimile perché è dovere di ogni orante musulmano rivolgersi verso la Kaʿba nel corso della sua salat obbligatoria quotidiana. Ampliamento di AlmanzorL’ultimo degli ampliamenti del periodo islamico viene realizzato sul finire del X secolo dall’ Hajib Almanzor. Per dimostrare il suo potere e per far fronte alla continua crescita demografica di Cordoba l’Hajib decide di realizzare il più esteso intervento di ampliamento coinvolgendo sia l’edificio di culto che il patio. A differenza di quelli che l’hanno preceduto questo intervento non si sviluppa verso meridione a causa della vicinanza del Guadalquivir. L’espansione, che porta alla costruzione di otto nuove navate, verrà pertanto realizzata sul lato orientale dando luogo alla forma rettangolare che oggi ammiriamo. Il mihrāb fu collocato in una posizione centrale. In quel momento la moschea contava 1293 colonne. Nel 2010 la zecca spagnola ha dedicato una moneta commemorativa da 2 euro alla grande moschea di Cordova. La cattedraleQuando Cordova fu riconquistata dai cristiani di Ferdinando III di Castiglia, nel 1236, la moschea fu convertita in cattedrale e dedicata a Maria Assunta.[2] L'apertura tra il cortile e la sala di preghiera fu murata, conservando una sola porta d'entrata (la Puerta de las Palmas, che nel 1531 fu arricchita da alcune statue che ricordano la particolare dedicazione della chiesa[2]). Inoltre vennero abbattute alcune file di colonne per lasciar libero lo spazio per la Cappella Reale (1371),[2] decorata con stucchi mudéjar. Il CruceroNel XVI secolo il clero di Cordova decise di dotare la città di un edificio molto più sontuoso e alla moda del tempo. Il progetto consisteva nella demolizione di una parte importante del centro dell'edificio, rompendo la prospettiva della foresta di colonne, e l'inserimento al suo posto di una cattedrale cristiana (il Crucero).[2] Il progetto fu inizialmente contrastato e oggetto di forti polemiche e soltanto dopo l'intercessione dell'imperatore Carlo V ne fu avviata la costruzione. I lavori, curati dalla famiglia di architetti Hernán Ruiz, durarono dal 1523 al 1599,[2] e comportarono la realizzazione di una navata in stile plateresco,[3] ben più alta del resto della struttura e sormontata da una cupola dalla sezione ovale.[3] Il risultato è una architettura riccamente decorata che fonde gli stili gotico, rinascimentale e barocco, ma che può far rimpiangere la perduta unitarietà dell'originaria costruzione arabo-islamica. È riportato da J. B. Alderete che lo stesso Carlo V successivamente disse: «Avete costruito qualcosa che si può vedere ovunque, distruggendo qualcosa che invece era unico al mondo». In ogni caso, fu probabilmente grazie all'inserimento della chiesa che l'edificio poté salvarsi da ulteriori amputazioni. DescrizioneEsternoEsternamente, la struttura si presenta al giorno d'oggi con la forma di un grande quadrilatero di circa 180 m di lunghezza per 130 m di larghezza.[2] L'interno, diviso da 19 navate longitudinali e 36 trasversali,[2] è una foresta di 856 colonne sormontate da capitelli in stili diversi, realizzate in materiali provenienti da diverse aree Mediterranee.[2] Sulle colonne si appoggiano delle arcate doppie in mattoni e pietra bianca (sovrapposte l'una sull'altra con uno spazio intermedio) che permettono di avere un soffitto molto alto e donano all'edificio un'impressione di leggerezza. Le mura esterne sul lato settentrionale sono aperte dalla porta detta del perdono (1377), dotata di tre archi in stile arabo. A destra di questa porta, accanto al muro di cinta, si trova la torre campanaria detta Alminar, costruita come minareto tra il 1593 e il 1664 sul lato opposto rispetto a quello che ospitava la sala di preghiera dei musulmani. La torre si eleva per 93 m di altezza, in cima alla quale è collocata una statua dorata raffigurante San Raffaele. Sullo stesso lato delle mura, una nicchia di devozione popolare ospita un quadro di Romero de Torres (1928), opera dedicata alla Virgen de los Faroles.[2] Patio degli aranci (Patio de los Naranjos)Il patio de los Naranjos si trova nella parte settentrionale della cattedrale che fungeva da luogo delle abluzioni della moschea di Abderramán I. Il patio è stato ampliato durante le diverse tappe della costruzione. Deve il suo nome ai 98 alberi di aranci che si trovano al suo interno piantati sul finire del secolo XVIII. Tra le fontane ospitate nel patio, una vasca del X secolo.[2] Il patio è un grande giardino chiuso da mura di circa 130 metri per 55.[2] Sui tre lati occidentale, settentrionale e orientale si sviluppano delle gallerie porticate in cui si aprono sei porte che comunicano con l’esterno. Nelle gallerie sono esposte le travi e le assi del soffitto a cassettoni originario, in opera prima del restauro del secolo XIX. InternoOriginariamente l’interno dell’edificio era, ad eccezione della Qibla, un’unica sala ipostila di 19 navate, utilizzata come spazio per la preghiera. Oggi invece una parte dell’interno è occupata dalle cappelle perimetrali (tra cui quella di San Pablo, chiusa da cancellate del Cinquecento),[2] dalla Cappella Reale (detta anche di San Ferdinando),[2] dalla cappella di Villaviciosa (detta anche secondo mihrab)[2] e dal nucleo cruciforme centrale. Nucleo cruciformeL'impianto basilicale è a croce latina immissa con cupola sulla crociera del transetto. La costruzione della capilla Mayor, all'interno della quale si trova l'altare maggiore della cattedrale, iniziò nel 1547 e fu curata dalla famiglia di architetti Hernán Ruiz.[3] Il progetto dell’altare maggiore (1618-’46) venne commissionato ad Alonso Matías che ne curò il disegno affidando l’opera all’architetto Sebastián Vidal e realizzato in marmo e bronzo. Il corpo principale è composto da tre strade delineate da quattro colonne con capitelli compositi e un ordine superiore in cui la parte centrale è più alta di quelle laterali e conclusa da un timpano arcuato interrotto con sculture al centro. Il tabernacolo, collocato nella nicchia centrale a tutto sesto dell’ordine inferiore, è affiancato dalle tele dei Santi Acisclo e Vittoria. Nel registro superiore, al centro è collocata la tela raffigurante l'Assunta affiancata dalle tele dei Santi Martiri Eulogio o Pelagio y Flora e Digna coronate dalle effigi della Giustizia e Speranza che reggono una ghirlanda, opere dello scultore Pedro Freile de Guevara, autore anche degli altri ornamenti scultorei dell’altare tra i quali le Allegoria della Religione e dell'Abbondanza. I dipinti, commissionati ad Antonio Palomino nel 1713, sostituiscono quelli originali di Vela Cobo e sono inseriti in cornici con timpani curvi spezzati. Sotto l’episcopato di Francisco Reinoso, negli anni 1523-1539 l’architetto Juan de Ochoa concluse in stile manierista gli spazi del coro[3] con volta a botte ribassata in cui sono raffigurati l'Assunta, San Acisclo e Santa Vittoria e lunette con Davide, Salomone, Daniele e Samuele e le Virtù negli angoli; il transetto venne coperto da una cupola ovale su pennacchi decorati dai quattro Evangelisti a cui si aggiungono le figure degli otto Padri della Chiesa e della Ss. Trinità. Di fronte all’altare maggiore sono posizionati gli stalli in legno di mogano intagliato del coro realizzati a partire dal 14 marzo 1748 da Duque Cornejo[3] e terminati nel 1753. La Cattedra Episcopale, sulla parete di fondo, occupa lo spazio di tre stalli ed è concepita come se fosse un altare strutturato in due corpi e tre strade: nel registro superiore è rappresentata l'Ascensione del Signore a grandezza naturale. Corona la struttura l'Arcangelo Raffaele. Al di sopra degli stalli laterali sono posizionati due monumentali organi rinascimentali. Cappelle perimetraliCappelle addossate alla parete ovestDa nord a sud:
Cappelle addossate alla parete sudDa ovest a est:
Cappelle addossate alla parete estDa nord a sud:
Cappelle addossate alla parete nordDa ovest a est:
NoteBibliografia
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