Don Giustiniano Palomba nacque da un'antica famiglia gentilizia di latifondisti agrari, i Palomba, nell'omonimo palazzo di famiglia. I suoi genitori furono Don Giovanni Francesco Palomba e Donna Orsola Pacifico, originaria di Forenza. Venne così chiamato in onore del prozio materno Don Giustiniano Pacifico, canonico della Chiesa Madre di San Nicola di Forenza. Oltre a lui, dal matrimonio nacquero Raffaele, Maria Gerarda, Nicola, Pasquale, Domenica Vincenza e il fratello gemello Gennaro Maria Domenico (7 settembre 1751-10 luglio 1828), che intraprese la carriera ecclesiastica.[1] Sposò Donna Angela Maria Parrini (1755-1838), di nobile famiglia melfitana.[2]
Dopo aver svolto la fase primaria della sua istruzione nella natia Avigliano, intraprese studi di diritto presso l'Università de' Regi Studi di Napoli, divenendo avvocato, in armonia con la tradizione giuridica famigliare. Frequentando gli ambienti culturali partenopei ebbe modo di essere affiliato alla loggia massonica La Perfetta Unione del principe Raimondo di Sangro, entrando contemporaneamente, nel 1793, nella Società Patriottica Napoletana di Carlo Lauberg, dove si coltivavano idee di matrice giacobina e rivoluzionaria. Nel 1794, in seguito alle inquisizioni in merito alla sospettata congiura giacobina che esplose a Napoli, rientrò ad Avigliano, dove fondò, insieme al gemello Gennaro e ad altri esponenti della locale aristocrazia di idee giacobine, una loggia.[3] Contribuì direttamente alla proclamazione della Repubblica Napoletana ad Avigliano, ove il 19 gennaio 1799 venne innalzato l'albero della libertà.[4] Successivamente si ricongiunse ai fratelli Gennaro e Nicola ed al figlio Francesco Paolo nella capitale partenopea.[5][6] Qui, dalla propria dimora sita alla Pignasecca, i Palomba bombardarono la plebe filo-borbonica, guidando poi le file rivoluzionarie prendenti il controllo della città. Il 22 gennaio dello stesso anno, nel corso dei combattimenti imperversanti contro i sanfedisti, fu proprio suo figlio Francesco a morire, trapassato da una fucilata presso il Castel Sant'Elmo.[5]
Successivamente tornò ad Avigliano, dove, il 5 febbraio dello stesso anno, fu eletto Segretario della Municipalità repubblicana presso il dipartimento del Bradano e successivamente Ufficiale della doganella del Sale.[2] Continuò ad essere parte attiva dello scenario politico repubblicano anche durante i successivi combattimenti,[6] ai quali presero parte anche i suoi figli Antonio e Raffaele, finché sopraggiunse la vittoria sanfedista ad opera dell'armata del cardinale Fabrizio Ruffo. Giustiniano fu arrestato e condotto nelle carceri di Matera, dove venne condannato a morte, affrontando con gran fermezza il patibolo il 31 marzo 1800.[3]
Con la sua morte ed il successivo o contemporaneo decesso dei suoi figli si estinse il ramo dei Palomba di Avigliano, che produsse i suoi discendenti nelle famiglie gentilizie dei Telesca e dei Tasca di Melfi.
Salvatore Vincenzo Giulio Teodoro Ferdinando Tasca 1851 Segretario Comunale Capo di Ruvo del Monte, Rapolla e Melfi sp. Lucietta Telesca
Note
^A differenza dei fratelli, per la sua partecipazione agli eventi rivoluzionari Gennaro venne condannato all'esilio perpetuo e venne poi amnistiato in seguito alla pace di Firenze
Tommaso Pedio, Giacobini e sanfedisti in Italia meridionale: Terra di Bari, Basilicata e Terra d'Otranto nelle cronache del 1799, Adriatica, 1974
Franco Sabia, Baroni, borghesi e contadini ad Avigliano in Popolo, plebe e giacobini, a cura di Nicola Calice, Picerno, Edizioni del Centro Annali, 1989
Raffaele Giura Longo, Società, politica e cultura in Basilicata alla vigilia della rivoluzione in Patrioti e insorgenti in provincia. Il 1799 in Terra di Bari e Basilicata, a cura di Angelo Massafra, Bari, Edipuglia, 2002
Ruggiero Di Castiglione, La massoneria nelle Due Sicilie e i "fratelli" meridionali del 700, Gangemi Editore, 2013 ISBN 978-8849224009
(a cura di) Angelo Massafra, "Patrioti e insorgenti in provincia: il 1799 in terra di Bari e Basilicata", atti del Convegno di Altamura-Matera, 14-16 ottobre 1999, Edipuglia, 2002, p. 96, p. 454, p. 462, p. 463, p. 536