Nel 1977-78 comandò la Regione Militare Centrale (Roma), prima di assumere, nel gennaio del 1978, la direzione del SISMI (Servizio Informazioni Sicurezza Militare) fino all'agosto del 1981.
Santovito non giunse al SISMI privo di esperienza, in quanto aveva già ricoperto altri incarichi nell'intelligence: fu prima capo ufficio nel reparto "R" e nel biennio 1965-66 fu destinato al reparto "D" del SID[1].
Con lo scandalo della P2, Santovito entrò nell'occhio del ciclone, anche se due successive inchieste lo scagionaronodel tutto. Si assentò per un periodo di licenza poi tornò al servizio attivo, uscendone definitivamente per raggiunti limiti di età.Il generale respinse sempre ogni addebito, rifiutandosi allo stesso tempo di svelare segreti di ufficio (anche se, paradossalmente, l'accusa più recente, che gli valse l'arresto, riguardava la presunta "rivelazione di segreti di Stato").[senza fonte]
Di fatto, il generale Santovito fu arrestato a Roma la sera del 2 dicembre 1983[4], subito rimesso in libertà agli arresti domiciliari per gravi motivi di salute, a disposizione del sostituto procuratore Domenico Sica, che lo accusò di propagazione di notizie di un dossier riservato coperte da segreto di Stato, divulgate tramite un articolo di un settimanale in cui si parlava di collegamenti internazionali del terrorismo. Il documento, catalogato come riservato, era infatti destinato al presidente del Consiglio dell'epoca. A mettere in contatto un giornalista di Panorama con Santovito sarebbe stato il faccendiere Francesco Pazienza[4][5], raggiunto da un mandato di cattura per concorso nella rivelazione di segreti di Stato. La sopraggiunta morte nel '84 di Santovito non permise di approfondire le motivazioni e la natura dell'inchiesta[5].
^Camera dei Deputati, atti della Commissione parlamentare d’Inchiesta sulla P2, vol. 2.quarter/3/ VII/ bis, Relazione parlamentare d’inchiesta sulla strage di via Fani sul sequestro e l’assassinio di Aldo Moro e sul terrorismo in Italia.