Giovanni MarigaGiovanni Mariga (Padova, 24 settembre 1899 – Carrara, novembre 1979) è stato un anarchico e partigiano italiano. Era figlio di Antonio e Carolina Bettella. Diverse fonti anarchiche e/o liberalsocialiste[1] sostengono che a Giovanni Mariga fu assegnata la Medaglia d'Oro al valore militare per il suo valore e coraggio durante le azioni partigiane ma che egli, coerentemente con le sue idee, la rifiutò. Il Dizionario Biografico degli Anarchici Italiani sostiene che la Medaglia di Bronzo al valore militare, pur non essendo mai stata sollecitata da Mariga, non gli fu assegnata perché nel contempo era stato condannato all'ergastolo per aver partecipato all'uccisione di un ex federale fascista. A tale uccisione egli si dichiarò sempre estraneo durante i vari gradi di giudizio nel processo che seguì.[2] BiografiaLa Grande guerra e il primo dopoguerraDurante la prima guerra mondiale Mariga partecipò alla battaglia di Vittorio Veneto ed ai combattimenti in Trentino. Durante il conflitto cominciò ad interessarsi di politica e ad avvicinarsi all'anarchismo: «Subito dopo la guerra ero ancora bersagliere ed ero stato dislocato con la mia compagnia ad Ancona, nella caserma Villa Rei. Un giorno governanti e generale decisero di mandarci con altre truppe alleate a sedare una rivolta in Albania, ma, giunti al porto, quando gli ufficiali diedero ordine di montare sul piroscafo, noi ritornammo in massa in caserma. In effetti, nei giorni precedenti l'imbarco, alcuni compagni (commilitoni anarchici), avevano portato in caserma, con una di quelle autoblindo che uscivano per la spesa del rancio, Errico Malatesta. Costui, vestito da bersagliere, nonostante i suoi sessant'anni circa, si mise a fare discorsi antimilitaristi: invitò la truppa alla diserzione e condannò tutte le guerre[3]» Terminata la guerra, Mariga tornò a Padova e fece amicizia con un cameriere triestino che lo introdusse viepiù nell'ideologia anarchica. Giovanni Mariga fece la sua scelta di vita divenendo un militante anarchico e partecipando a numerose azioni contro i fascisti. Questi ultimi lo rinchiusero in carcere, dove rimase fino al 1943, per circa quindici anni. La Seconda guerra mondiale e la lotta partigianaIn Lunigiana e nel Carrarese le varie forze antifasciste, riuscendo a mettere in secondo piano le proprie divergenze, soprattutto fra comunisti ed anarchici (causate dai tragici fatti di maggio a Barcellona nella guerra di Spagna), si unificarono nella comune lotta contro i nazi-fascisti. Tale politica non venne attuata in altre aree della penisola italiana. Un altro esempio, pur contraddittorio, di unificazione delle forze antifasciste, si ebbe nella XIII zona operativa del piacentino, di cui Emilio Canzi, il notissimo "colonnello anarchico",[4][5] ebbe il comando. Incarcerato momentaneamente dai comunisti filostalinisti, fu presto reintegrato nel suo ruolo. Nelle zone in cui gli antifascisti di varie tendenze operarono in sintonia, si ebbero casi di anarchici posti al comando di brigate composte in massima parte o esclusivamente da comunisti e viceversa. Indicativo a tale proposito quanto accadde a Ugo Mazzucchelli, anarchico collegato al CLN e successivamente massimo dirigente locale dell'ANPI, di tendenza socialcomunista. «Davanti all’esigenza di porre fine al più presto alla guerra fascista gli antifascisti apuani seppero comporre le diversità e le divergenze politiche, così che anarchici, socialisti, comunisti, repubblicani e cattolici si ritrovarono nelle file delle due brigate Gino Menconi[6] e Patrioti Apuani, nelle Squadre di Azione Patriottica (SAP) della Federazione Anarchica Italiana (FAI) e nelle tante formazioni che operarono sulle Apuane e lungo il litorale. Ma quanto la resistenza apuana fosse un fatto popolare è dimostrato dalla manifestazione organizzata dalle donne di Carrara per opporsi all'ordine di evacuazione della città, emesso dal locale comando tedesco. Tale manifestazione costrinse il comando nazista a rinunciare ai suoi propositi. Quanto i nazifascisti temessero il movimento partigiano apuano lo si può dedurre dalla ferocia con la quale cercarono di stroncarlo, privandolo dell'appoggio popolare: la tragica marcia del maggiore Reder, iniziata il 12 agosto 1944 a Sant’Anna di Stazzema e conclusasi a Marzabotto il 1º ottobre dopo aver coperto di sangue le Apuane e l'Appennino, doveva seminare il terrore nelle popolazioni e fra i partigiani, ma ottenne l’effetto contrario[7]» Gli anni della ResistenzaGiovanni Mariga tornò in libertà nel giugno 1944, dopo una nuova, anche se breve, detenzione nel carcere di Massa. Si arruolò e combatté nella Brigata Elio Wockievic[8][9], formazione legata alla Brigata Lunense,[10] formata in gran parte da anarchici. Mariga divenne ben presto vice comandante di brigata col nome di battaglia di Padovan. In seguito passò alla Brigata Garibaldi di Carrara, comandata da Memo. Nella stessa zona le brigate anarchiche erano assai numerose: oltre alle già citate, erano presenti sul territorio anche il battaglione Lucetti e la "Brigata anarchica Michele Schirru", che agivano frequentemente di concerto. Nella stessa Brigata Lunense combatteva come comandante di sezione un altro anarchico, Sergio Ravenna. Dopo il 4 gennaio 1945, Mariga passò la Linea Gotica ed entrò nella Special Force di Firenze, militando nella formazione di sabotatori "Tullio". Partecipò a numerose azioni antifasciste, tra cui quella dell'8 novembre 1944 a Carrara (in tale azione furono uccise una spia e numerosi militari tedeschi): «8 novembre '44: a Carrara, la mattina dell’8 novembre Giovanni Mariga “Il padovan”, partigiano della formazione Elio, su disposizioni del CPLN e del Comando di Brigata uccise una donna rea di aver fatto la spia e provocato l’arresto di 18 antifascisti nei giorni precedenti. Fu la scintilla che fece esplodere il malcontento in città. Le formazioni della Muccini apuana, che poi prese nome Gino Menconi (dal comunista Gino Menconi caduto in combattimento e nei due giorni successivi), occuparono Carrara. Le due parti, entrambe impossibilitate a tenerne stabilmente il controllo, si incontrarono e trovarono un accordo in base al quale il centro apuano fu proclamato come una sorta di "città aperta". Venne concordato uno scambio di prigionieri, la libertà di movimento entro i limiti urbani, furono stabilite le rispettive zone d’influenza, e i tedeschi garantirono l’approvvigionamento della città[11]» . Un eroe della ResistenzaRiportiamo alcune azioni di Mariga e della brigata partigiana di cui fu vicecomandante: nel giugno del 1944 la brigata Elio sferrò un attacco al carcere di Massa e liberò oltre cinquanta reclusi, tra cui Belgrado Pedrini, Giovanni Zava e Gino Giorgi[12]. Tre mesi dopo, Elio e Padovan (nome di battaglia di Giovanni Mariga), travestiti da militari tedeschi, bloccarono una colonna di camion nazisti che transitavano sulla via Aurelia. Molti militari germanici vennero disarmati e furono liberati i loro prigionieri, fra cui un prete. Il travestimento dei partigiani ingenerò confusione fra i tedeschi, i quali, non capendo più quali erano i veri e i finti commilitoni, si spararono fra di loro, mentre i partigiani e i prigionieri si poterono mettere in salvo indisturbati. Dopo la liberazione di Carrara, Padovan e la propria brigata precedettero gli Alleati nella liberazione di Sarzana e di La Spezia e fecero prigionieri 125 soldati tedeschi. Le azioni portate avanti da Padovan e compagni furono possibili anche grazie ad un cospicuo armamento, frutto soprattutto dei molti furti compiuti ai danni dei [ nazifascisti, armi di cui lo stesso Elio fornì inventario:
Il secondo dopoguerraMentre personaggi come Mario Roatta riuscivano a sfuggire attraverso cavilli legali ed amnistie a condanne a morte per crimini di guerra commessi in Jugoslavia, risulta emblematico quanto accadde sia a Giovanni Mariga che a Belgrado Pedrini. Il loro iter giudiziario ricorda quello dell'ex-comandante comunista Francesco Moranino, con la differenza che attorno a Mariga e Pedrini non si scatenò la battaglia politica che si svolse in occasione del "caso" Moranino. Come Belgrado Pedrini[14], Giovanni Mariga fu arrestato nell'immediato dopoguerra e venne accusato con altri quattro compagni anarchici di aver giustiziato un ex segretario fascista di Santo Stefano di Magra. Processato e condannato prima a 20 anni di carcere e poi all'ergastolo in appello, Mariga si dichiarò sempre estraneo ai fatti imputatigli e, dopo 22 anni di carcere, Sandro Pertini, fra i più noti comandanti partigiani socialisti ed allora presidente della Camera dei deputati, si adoperò per fargli ottenere la grazia. Giovanni Mariga tornò a Carrara con Belgrado Pedrini, Giovanni Zava e Sergio Ravenna, fondò il "circolo anarchico Bruno Filippi" e proseguì la sua azione di militanza anarchica. Morì in un incidente stradale nel novembre 1979[15]. Note
Bibliografia
Voci correlateCollegamenti esterni
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