Giovanni Lizzio
Giovanni Lizzio (Catania, 24 giugno 1947[1] – Catania, 27 luglio 1992) è stato un poliziotto italiano, vittima di Cosa Nostra. BiografiaNato a Catania, sposato e padre di due figlie, l'ispettore capo Giovanni Lizzio iniziò a lavorare come poliziotto a Napoli[2]. Dopo alcuni anni venne trasferito nella sua Catania, in servizio presso la squadra mobile[3]. Nei molti anni di servizio, indagò in maniera capillare sia sulle cosche mafiose tradizionali che su quelle emergenti[4], divenendo, in virtù delle sue vaste conoscenze in merito, una sorta di archivio vivente per l'intera questura[2][4], oltre che uno dei poliziotti più conosciuti nella città etnea grazie ai molti arresti di mafiosi effettuati[2]. Al momento dell'omicidio, nel 1992, Lizzio era passato da un anno al nucleo anti-racket della questura di Catania[3][5]. In quegli anni la maggior parte degli imprenditori catanesi pagava il pizzo[2], ma grazie alle indagini di Lizzio molti estorsori erano stati arrestati[3]. In particolare, una decina di giorni prima di essere assassinato, l'ispettore-capo Lizzio aveva eseguito una serie di arresti contro un clan mafioso cittadino.[3][6] L'omicidioGiovanni Lizzio fu ucciso il 27 luglio 1992, appena 8 giorni dopo la strage di via D'Amelio e proprio mentre in città vari prefetti discutevano su come impiegare l'esercito arrivato a seguito dell'operazione Vespri siciliani[7]. Lizzio fu il primo poliziotto ad essere ucciso a Catania[5][8]. Alla base dell'omicidio, oltre alla sua attività investigativa anti-racket, ci fu anche la volontà dal capo dei Corleonesi, Salvatore Riina, di allargare la strategia stragista da Palermo alla stessa Catania[9]. Lizzio venne assassinato mentre era nella sua alfa romeo 75, fermo al semaforo in via Leucatia. 2 sicari in moto gli si avvicinarono e gli spararono vari proiettili. Trasportato in ospedale, Lizzio morì poco dopo.[10] Le indagini e i processiLe indagini sull'omicidio conobbero una svolta soltanto l'anno successivo, a seguito delle accuse del collaboratore di giustizia Claudio Severino Samperi, che condussero al maxi-blitz con 156 arresti contro il clan Santapaola denominato "Orsa Maggiore" e consentirono di incriminare il gotha della mafia catanese (Benedetto Santapaola, Giuseppe Pulvirenti, Calogero Campanella e Aldo Ercolano) come mandanti del delitto Lizzio, che aveva una duplice funzione: "punire" l'investigatore per aver denunciato Giuseppe Pulvirenti (braccio armato del boss Santapaola) per il reato di estorsione ed allargare a Catania la campagna di attentati contro i rappresentanti dello Stato promossa da Salvatore Riina[11]. Nel 1996 il processo "Orsa Maggiore" si concluse con la condanna all'ergastolo per Santapaola come unico mandante dell'omicidio Lizzio mentre gli altri imputati Aldo Ercolano e Calogero Campanella vennero assolti[12]. Le indagini vennero riaperte a seguito della collaborazione con la giustizia di Natale Di Raimondo e Umberto Di Fazio, che si autoaccusarono di aver partecipato all'omicidio, ed iniziarono due processi contro gli esecutori materiali: nel giugno 1998, nel processo con il rito abbreviato, vennero condannati Di Raimondo e Di Fazio a 12 anni di reclusione con lo sconto di pena previsto per i collaboratori di giustizia mentre Francesco Squillaci e Giovanni Rapisarda ebbero trent'anni di carcere[13]; Rapisarda venne poi assolto in Appello. Nel processo con il rito ordinario vennero invece assolti Filippo Branciforti e Francesco Di Grazia[14]. Note
Bibliografia
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