Gaglioffi
La famiglia Gaglioffi è stata una famiglia nobile italiana, protagonista della storia dell'Aquila tra il XIV e il XV secolo. StoriaLa famiglia è originaria di San Vittorino, borgo posto all'estremità della conca aquilana sul luogo della preesistente città di Amiternum. Il capostipite è ritenuto essere il mercante Giacomo, vissuto tra il XIII e il XIV secolo e soprannominato Gaglioffo, da cui derivò poi il nome della famiglia.[1] Il padre di Giacomo, Tommaso Del Curiale, era stato cavaliere del re del Regno di Napoli Carlo I d'Angiò. All'inizio del Trecento, Giacomo si trasferì all'Aquila stabilendosi nel locale di riferimento e facendo fortuna con il commercio della lana che veniva venduta ai mercanti fiorentini lungo la via degli Abruzzi.[1] Con l'incremento delle proprie ricchezze, il Gaglioffo consolidò la sua presenza aquilana acquistando altre case nel locale di Bazzano oltre che nella prestigiosa piazza del Mercato;[1] come evidenziato dallo storico Alessandro Clementi, riprendendo quanto scritto in precedenza da Anton Ludovico Antinori, la famiglia fu la prima ad «uscire dalla logica sub-municipalistica dei locali per entrare in quella della Universitas, più grande della Civitas».[1][A 1] Giacomo sposò poi Giovanna Fidanza ed ebbe da lei sei figli: Giovanni, Ludovico, Pietruccio, Francesca, Mita e Chiara. Morì nel 1335 lasciando un cospicuo testamento da cui si desumono, tra le altre cose, «3540 onze di fiorini d'oro e altre 40 in carlini d'argento; [...] animali minuti in Puglia 8951; vari crediti; le case nell'Aquila in locale di S. Vittorino; in S. Vittorino nella Villa di S. Giovanni; in Chieti nella Comestabulia di Porta di Pescara; [...] molti terreni».[2] Per volontà di Giacomo, qualche anno dopo la sua morte venne realizzato in città il Monastero dell'Eucaristia, aperto nel 1349 e adiacente al palazzo di famiglia.[3] Oltre che con Firenze, i Gaglioffi consolidarono progressivamente i loro legami con la corte angioina a Napoli e, nel 1343, Giovanni ricevette il titolo di cavaliere.[4] L'ascesa politica della famiglia – accresciuta da alcuni legami coniugali con i Camponeschi, la famiglia dominante all'Aquila – si rese evidente con il miles Niccolò che, nel 1408, venne nominato ciambellano regio, ricevendo in quella data anche il titolo di governatore di Todi.[5] Niccolò morì senza eredi, cosicché il suo titolo fu ereditato dal cugino Antonbattista (primogenito di Filippo, a sua volta figlio dello zio Giacomo) che lo sfruttò per consolidare la sua posizione con lo Stato Pontificio per mezzo dei rapporti con il vescovo Amico Agnifili: tra i sette figli di Antonbattista, Giovanbattista divenne abate dell'abbazia di San Giovanni Battista di Lucoli e Vespasiano fu arcidiacono della cattedrale cittadina.[6] Nel 1485 proprio Giovanbattista e Vespasiano furono artefici di un tentativo di secessione dal Regno di Napoli, allorché, approfittando della prigionia del conte Pietro Lalle Camponeschi e sobillata dai Gaglioffi, la città si dichiarò sotto le dipendenze non più del re Ferrante d'Aragona bensì del papa Innocenzo VIII.[6] Il colpo di stato concesse a Giovanbattista di guadagnare la carica di vescovo dell'Aquila ma fu smantellato quasi immediatamente, durando solamente fino al 1486 e causando la dura repressione degli Aragonesi. Ferrante, dopo aver fatto uccidere Vespasiano, dichiarò ribelle Giovanbattista ed esiliò molti altri membri della famiglia: nel 1492 Filippangelo tornò all'Aquila nel tentativo di vendicare la morte del fratello, venendo barbaramente ucciso, mentre nel 1493 fu la volta di Giovanbattista, che fu ucciso a Roma.[7] Anche il maggiore dei sette fratelli, Costantino, fu trattenuto in esilio forzato fino alla morte (avvenuta prima del 1495) componendo, nel periodo della prigionia, alcune opere poetiche.[7] Il 13 luglio 1493, per volontà di re Ferrante, il capitano di città procedette a confiscare le proprietà dei Gaglioffi, inferendo un colpo mortale alla famiglia.[7] Tra gli esiliati, vi fu Girolamo Gaglioffi, figlio di Filippangelo, che si rifugiò in Francia presso la corte di Carlo VIII.[8] Con la conquista dell'Aquila da parte delle truppe francesi, nel 1495 Girolamo tornò quindi in città e, grazie ai suoi servigi di corte, il 25 marzo fu nominato camerlengo; ottenne inoltre il diritto di battere moneta, privilegio condiviso nel Regno con la sola Napoli.[8] Nel 1496 gli Aragonesi tornarono al potere obbligando nuovamente Girolamo all'esilio, questa volta a Venezia, da dove tentò più volte di rientrare in città sfruttando un accordo segreto con il capitano Ludovico Franchi. Nel 1501 il Gaglioffi riuscì a riconquistare L'Aquila, già sofferente dalle lunghe lotte intestine e dalla crescente epidemia di peste, restaurando una politica anti-feudale e perseguendo gli oppositori filo-aragonesi; in breve tempo Girolamo – che aveva ottenuto il titolo di conte di Popoli e Montorio, abitualmente concessi al signore della città – riuscì a risollevare la situazione comunale portando anche il Comitatus alla sua massima espansione storica.[8] Nel 1503 al riaccendersi delle ostilità tra Francia e Spagna, cercò l'appoggio della Repubblica di Firenze dopodiché dovette cedere all'avanzata della fazione aragonese, ritirandosi dapprima a Cittaducale quindi in terra francese, dove nel 1505 morì senza eredi determinando di fatto l'estinzione del casato.[8] Alla morte di Girolamo i possedimenti della famiglia passarono alle cugine Dianora e Diamante, attraverso le quali confluirono nel patrimonio dei Marsciano.[8] BlasonaturaLa blasonatura della famiglia Gaglioffi è la seguente: d'azzurro a due caprioli d'argento.[9] Una seconda versione dello stemma del casato reca la seguente blasonatura: di rosso al capriolo d'oro, accompagnato da tre coppe coperte dello stesso. Albero genealogicoDi seguito è riportato l'albero genealogico della famiglia Gaglioffi dal capostipite Giacomo "Gaglioffo", figlio di Tommaso Del Curiale, vissuto tra il XIII e il XIV secolo, fino all'ultimo discendente Girolamo Gaglioffi, deceduto nel 1505:[5]
Note
Bibliografia
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