Francesco Scala (pittore)Francesco Scala (Adria, 1643 – Ferrara, 21 dicembre 1698) è stato un pittore italiano. BiografiaPrimi anniDi famiglia contadina, ed egli stesso dedito alla coltivazione della terra, ebbe tuttavia occasione di frequentare il conte Pinamonte Bonacossi, allestitore teatrale a Ferrara, per il quale suo padre lavorava come fattore. Fu questa frequentazione, e in particolare l'esposizione all'ambiente delle scene teatrali, cui accedeva in quanto parte del seguito del conte, ad instillargli la passione per l'arte e ad iniziarlo alla pittura.
Manifestata la sua inclinazione al conte, fu preso sotto la sua ala protettrice, e da questi avviato alla bottega del grande affrescatore Francesco Ferrari, il quale curava gli allestimenti scenici teatrali[1]. Il periodo ravennateA Ravenna ebbe occasione di venire a contatto con il padre Agostiniano Cesare Pronti, il quale era rinomato per le sue capacità d'uso della prospettiva. Dato che Pronti e Ferrari collaboravano spesso, Francesco ebbe modo di mettere a confronto le due tecniche, e di apprendere dal frate molti nuovi elementi, che ne completarono la formazione. Al termine del periodo del Ferrari a Ravenna, dunque, essendosi affezionato artisticamente ed umanamente all'Agostiniano, chiese ed ottenne di rimanere con quest'ultimo. Il ritorno a FerraraUna volta ritornato, Francesco diede immediatamente buona prova di sé, conquistando diverse committenze private, e soprattutto lavorando alla decorazione del palazzo del conte e delle sue case di campagna di Gaibanella e Monestirolo. Ma dove ebbe davvero modo di dimostrare le sue capacità fu nella pittura degli scenari di teatro, di cui i contemporanei dissero che erano "così secondo il vero coloriti, che mai non sembrano finti, tanto al vero assomigliano".
Altra sua opera notevole di questo periodo sono gli affreschi della chiesa della Morte (Oratorio della Santissima Annunziata), ordinatigli dal ricco mercante Pietro Pacchieni, che ne era il commissario. Pur essendo lo spazio a disposizione piuttosto ridotto, Francesco ebbe la capacità di allargarne i confini utilizzando sapientemente elementi architettonici e giochi di prospettiva, tanto che il risultato finale fu giudicato grandioso e maestoso. Completato questo lavoro, Francesco fu indotto, "più per carità, che per ricompensa" a lavorare nella chiesa di San Giuseppe degli Agostiniani Scalzi.
Il quadro principale presente nell'edificio religioso è la rappresentazione di un terremoto, dipinto dal Catanio. Francesco decorò gli spazi di muro laterali, rappresentandovi danni strutturali in maniera così abile, da sembrare effettivamente delle crepe da terremoto. Nella parte bassa dell'affresco sono riportate le parole Domine terraemotum comprime.
Gli ultimi anniPur mantenendo un alto livello di produzione artistica, Francesco continuò ad avere forti difficoltà nella vita sociale. L'umore nero dei primi anni si approfondì, rendendolo progressivamente sempre più sciatto nella persona, schivo e silenzioso. La sua misantropia aumentò al punto che per giorni scompariva alla vista dei suoi collaboratori e viveva sulle impalcature, all'insaputa di tutti. La situazione finalmente esplose quando nel 1697 fu preso a servizio dal canonico Giulio Cesare Grazzini, perché affrescasse una stanza da letto della sua casa in via degli Angioli a Ferrara. Il risultato fu la realizzazione di una coppia di angeli evidentemente sproporzionati, i quali ovviamente non incontrarono il gradimento del committente. In quegli stessi giorni, la moglie di Francesco era venuta a Ferrara con l'intenzione di riappacificarsi e vivere insieme, ma questo aveva evidentemente squilibrato il pittore, che era di tutt'altro avviso, e che cominciò a dare segni di follia. Costretto dal conte a vivere con la moglie, fu colpito da depressione, prima, e da furore, poi, cosa che costrinse quanti gli erano vicini a tenerlo incatenato in casa per qualche tempo. Sottoposto a cure calmanti, fu una notte colpito improvvisamente da quella che fu definita "epilessia" (probabilmente un ictus) che lo rese paralitico nella parte destra del corpo, e gli tolse la parola. Con il corpo scosso da convulsioni, senza altro modo più di esprimersi che alti ruggiti, non si trovò altra soluzione che ricoverarlo del reparto destinato ai malati di mente dell'Arcispedale Sant'Anna di Ferrara. Negli ultimi giorni del 1698 ebbe un breve intervallo di sanità mentale, che gli consentì di attendere alle pratiche religiose dei moribondi. Dopo ciò, si spense progressivamente, morendo il 21 dicembre per un colpo apoplettico. Fu sepolto nel cimitero di S. Lucia Vecchia alla Fagianaia, senza che nessuno di quanti in vita avevano apprezzato la sua arte si mostrasse al funerale. L'unico che si ricordò di lui fu il conte Bonacossi, il quale, pur essendo impegnato a Modena per gravi questioni, dispose che si realizzasse per la sua tomba la seguente iscrizione (la quale però non risulta sia stata poi effettuata): D.O.M Note
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