Discorsi a tavola
I Discorsi a tavola (in tedesco: Tischreden) sono una raccolta di conversazioni e massime di Martin Lutero, trascritte dagli ospiti nella sua casa tra il 1531 e il 1546. Gli argomenti sono vari e comprendono insegnamenti sulla condotta cristiana in varie situazioni e ambiti della convivenza, riflessioni su questioni teologiche ed ecclesiastiche, interpretazioni della Bibbia, e testimonianze autobiografiche. Nel loro complesso i Discorsi a tavola offrono una preziosa fonte di informazioni sulla vita e il pensiero del riformatore tedesco, e più in generale sulla cultura e le vicende dell’epoca. Pubblicati per la prima volta nel 1566 da Johannes Aurifaber, nel corso dei secoli hanno ricevuto varie edizioni e revisioni critiche. Storia editorialeAlla fine degli anni venti del Cinquecento, un gruppo piuttosto numeroso di persone era solito raccogliersi, verso le cinque di sera, attorno alla tavola di Lutero. Oltre ai parenti, ai pensionanti della moglie Caterina e agli studenti poveri che ricevevano vitto e alloggio, si trattava di una cerchia di discepoli, teologi, educatori, notabili locali e viaggiatori in visita. Nel 1534 la comunità dei commensali di Lutero contava più di venticinque membri[1]. Nell'estate del 1531 uno dei pensionanti, Conrad Cordatus, iniziò a prendere appunti delle conversazioni durante i pasti[2] e il suo esempio fu presto seguito da altri. Sino alla morte di Lutero, del 1546, contribuirono alla compilazione dei Discorsi a tavola una ventina di autori, tra cui Conrad Cordatus, Veit Dietrich, Nikolaus Medler, Johannes Schlaginhaufen, Ludwig Rabe, Georg Rörer, Johannes Krafft e, dopo una breve interruzione nel 1534-1535[3], Anton Lauterbach, Hieronymus Weller, Johannes Mathesius, Kaspar Heydenreich, Hieronymus Besold e Johannes Aurifaber[4]. Iniziò così a circolare una serie di appunti manoscritti, a volte come trascrizioni testuali di conversazioni, altre volte in forma di riassunti, sino a quando nel 1566 Aurifaber, dopo averli selezionati, rimaneggiati con proprie integrazioni e ordinati per tema[5], ne pubblicò un'edizione a stampa dal titolo (in traduzione) Discorsi a tavola o Colloquia del dott. Martin Lutero, così come egli li ha tenuti nel corso di molti anni, di fronte a dotti, ospiti e commensali, ordinati secondo gli articoli fondamentali della nostra dottrina cristiana, accompagnato dall'epigrafe Giov. 6: Raccogliete le briciole rimanenti, affinché nulla vada perduto[6]. Per secoli i Discorsi a tavola si identificarono con questa versione e con le sue revisioni da parte di Andreas Stangwald (1571) e Nikolaus Selnecker (1577)[7]. I Discorsi a tavola ottennero subito una grande popolarità e vennero ripubblicati numerose volte nel giro di pochi anni[8]. Nel 1743 la collezione di Aurifaber fu incorporata nell'opera omnia di Lutero curata da Johann Georg Walch[9]. Non si trattò di una decisione scontata: «Walch sapeva che molti protestanti erano imbarazzati da alcune delle cose nei Discorsi a tavola – ad esempio, il linguaggio grossolano impiegato a volte da Lutero e la libertà con cui criticava la composizione e i contenuti di alcuni libri della Bibbia. Si temeva che i protestanti in generale e i luterani in particolare sarebbero stati esposti ad attacchi offensivi da parte dei polemisti cattolici se i Discorsi a tavola fossero stati inclusi nell’edizione dell’opera di Lutero. Furono fatti tentativi per negare la loro autenticità e sostenere che si trattasse di una fabbricazione e falsificazione ostile.» Un primo tentativo di edizione critica si ebbe con i quattro volumi a cura di Karl Eduard Förstemann e Heinrich Ernst Bindseil, pubblicati a Lipsia tra il 1844 e il 1848[10] e basati sul confronto tra le versioni a stampa di Aurifaber, Stangwald e Selnecker[11]. A seguito della scoperta di altri manoscritti originali e di un intenso studio filologico, nel 1887 Albert Friedrich Hoppe, professore del Concordia Seminary di St. Louis (Missouri), ultimò una versione riveduta e corretta alla luce dei diari di Cordatus e Lauterbach, che entrò a far parte della nuova edizione della raccolta di Walch[12]. Tra il 1912 e il 1921 Ernst Kroker curò una nuova e più completa edizione in sei volumi per un totale di 7075 trascrizioni numerate[N 1] nell'ambito della Weimarer Ausgabe (edizione completa delle opere di Lutero, 1883-2009, in 127 volumi in quarto)[13]. Kroker criticò severamente il lavoro di Aurifaber, che non recepì direttamente nel testo principale ma che riportò solo come glossa per consentire la comparazione critica. Usò ampiamente i manoscritti[N 2], della cui trasmissione tentò di ricostruire la storia, e di ogni trascrizione pubblicò la versione a suo giudizio migliore, dando conto delle altre in nota. Infine, abbandonò l'ordine tematico di Aurifaber e delle precedenti edizioni strutturando il testo in una ventina di sezioni relative ognuna a un determinato manoscritto[5]. TraduzioniNel 1652 una selezione dei Discorsi a tavola, corrispondente a circa due terzi dell'edizione di Aurifaber, fu pubblicata a Londra in inglese dal capitano Henry Bell[14]. Bell era stato un soldato di ventura, impegnato in Brandeburgo negli anni 1606-1618; condannato per falso a dieci anni di prigione nel 1631, aveva trascorso il tempo traducendo una copia dell'opera uscita a Francoforte nel 1574[15]. Forse per incuriosire i lettori, egli volle scrivere e includere nel volume una prefazione fantasiosa, piena di racconti inverosimili sul ritrovamento quasi miracoloso del libro[16]. Nel 1646 la House of Commons ordinò che la traduzione di Bell fosse pubblicata in questi termini[17]: «poiché il Capitano Henry Bell ha stranamente scoperto e trovato un libro di Martin Lutero, chiamato I Suoi Discorsi Divini, che per lungo tempo fu molto meravigliosamente preservato in Germania; il quale libro, il detto Henry Bell ha con grandi costi e fatiche tradotto in inglese dalla lingua tedesca, traduzione e contenuto della quale sono stati approvati dai Reverendi divini dell’Assemblea, come risulta dal certificato che essi hanno apposto: La traduzione di Bell venne pubblicata nuovamente nel 1791, nel 1818 e ancora nel 1840[18]. Nel 1832 venne edita, sempre a Londra, la traduzione anonima di una selezione di frammenti, accompagnata da una prefazione che metteva in guardia il lettore dal rischio di trascrizioni apocrife («il libro [...] contiene molte cose che è irragionevole supporre che Lutero possa aver mai detto, persino in momenti di rilassamento») e volgari («Il dottor Martin era un uomo di spiccato buon senso, ma, insieme, di innato umorismo giocoso, che non sempre teneva sotto sufficiente controllo»)[19]. Nel 1848 William Hazlitt, figlio dell'omonimo scrittore, pubblicò un'altra traduzione, più volte ristampata, in un «inglese eccellente»[20] ma relativa solo a un quarto circa dei materiali raccolti nell'edizione di Aurifaber[20]. Nel 1915 Preserved Smith tradusse e pubblicò la prima edizione non più basata solo sull'Aurifaber ma anche sui manoscritti resi accessibili dalla ricerca archivistica e filologica in Germania[21]. Da ultimo, Theodore G. Tappert curò un'ampia selezione basata sulla Weimarer Ausgabe, pubblicata nel 1967 come volume 54º dell'opera omnia di Lutero in inglese Luther's Works[22]. La prima traduzione in francese di gran parte dei Discorsi a tavola risale al 1844 e fu compiuta da Gustave Brunet. Pochi anni prima lo storico Jules Michelet ne aveva tradotto e pubblicato un'ampia selezione con il titolo Mémoires de Luther écrits par lui-même (1835)[23]. La prima in italiano invece, a cura di Leandro Perini, uscì per i tipi di Einaudi nel 1969[24]. Stile, contenuti e contestoI Discorsi a tavola raccolgono sia aforismi caratterizzati da concisione ed efficacia espressiva, sia testi di maggiore ampiezza argomentativa; alcune trascrizioni riportano affermazioni di Lutero isolate dal contesto, a volte brevi e aneddotiche, mentre altre conservano il carattere originale di frammenti di conversazione. Dal punto di vista della forma letteraria, più che di veri e propri "discorsi" si dovrebbe parlare di "apoftegmi", cioè di detti brevi e sentenziosi inquadrati in una piccola cornice narrativa[25]. Il tono generale è quello vivace della lingua parlata, tutt'altro che solenne, anzi quotidiano e familiare, a volte volgare. La conversazione alla tavola di Lutero si svolge in parte in latino e in parte in tedesco, com'era comune tra gli studiosi dell'epoca, passando continuamente dall'una all'altra lingua anche nello spazio dello stesso periodo: si tratta di un idioma maccheronico tedesco-latino che appartiene anche alle lettere di Lutero[26]. I temi sono vari. Si trovano informazioni sulla vita di Lutero, sulle sue condizioni personali ed esperienze religiose, discussioni di problemi teologici e questioni ecclesiastiche, commenti sulla situazione politica, insegnamenti sulla condotta cristiana in varie situazioni della vita, professioni e ambiti della convivenza civile[28]. Oltre a questo, i discepoli che sedevano alla tavola di Lutero con il taccuino in mano non trascuravano nemmeno le conversazioni sugli argomenti più bassi: desiderosi di trasmettere alla posterità ogni battuta del maestro, nulla era per loro troppo banale[29]. I Discorsi a tavola comprendono perciò anche battute di spirito e osservazioni estemporanee e non ponderate. Di ciò lo stesso Lutero era consapevole[30]: «Nei libri di Sant’Agostino si trovano molte parole che furono pronunciate dalla carne e dal sangue, e devo confessare che io dico molte parole che non sono parole di Dio, sia quando predico sia a tavola.» A quanto riporta Cordatus, Lutero non era infastidito dall'abitudine di trascrivere le conversazioni a tavola, ma è possibile che pensasse all'eventualità della loro pubblicazione quando ebbe a dire[30]: «Prego i miei pii ladri, per amor di Cristo, di non permettersi di pubblicare a cuor leggero niente di mio (ancorché io sappia che lo farebbero con un cuore giusto e leale) né durante la mia vita né dopo la mia morte (…) Ripetutamente li imploro di non farsi carico dell’onere e del pericolo di tale lavoro senza il mio consenso pubblicamente prestato.» In un'occasione Melantone si fece consegnare da Cordatus gli appunti, che restituì con una nota di ammonizione: «Non giova, Cordato, trascrivere tutto su carta, ma conviene passare sotto silenzio qualcosa»[31]. Per quanto riguarda i quindici anni coperti dai Discorsi, si tratta di un periodo della vita di Lutero relativamente privo di eventi di portata storica. In quanto eretico e fuorilegge, era costretto a rimanere ai margini dalla lotta politica e religiosa che seguì la promulgazione dell'editto di Worms[32]; il suo ruolo nella Riforma dopo il 1525 non fu più quello dell'uomo di azione, ma del teologo, consigliere e mediatore[32]. Questo tardo Lutero può risultare meno attraente del giovane teologo che a Worms aveva sfidato l’Imperatore e il Papa. È una figura «irascibile, dogmatica e insicura», secondo Hans J. Hillerbrand, che può destare stupore per la violenza delle affermazioni sugli anabattisti, che devono essere impiccati come sediziosi, e sugli ebrei, che devono essere espulsi e le cui sinagoghe devono essere bruciate[32]. «Si trattava di parole poco ireniche provenienti da un ministro del Vangelo, e nessuna delle spiegazioni che sono state avanzate – il deterioramento della sua salute e il dolore cronico, l'attesa dell'imminente fine del mondo, la profonda delusione per il fallimento della vera riforma religiosa – sembra soddisfacente.» Comunque il prestigio e l'autorevolezza di Lutero erano indiscussi negli ambienti protestanti dell'epoca, e soprattutto lo erano tra i discepoli. Cordatus raccontò che le parole vive del Maestro erano da loro apprezzate «più altamente degli oracoli di Apollo»[33]. Il carisma di Lutero emerge anche dal seguente brano, nel quale Mathesius restituisce in modo vivace lo svolgimento della conversazione presso la sua tavola[34]: (DE)
«Ob aber wol vnser Doctor offtmals schwere vnnd tieffe gedanken mit sich an Tisch nam, auch bißweiylen die gantze malzeyt sein alt Kloster silentium hielt, das kein wort am tische gefiel, doch ließ er sich zu gelegner zeyt sehr lustig hören, wie wir denn sein reden Condimenta mensae pflegten zu nennen, die vns lieber waren denn alle würtze vnd köstliche speise. (IT)
«Sebbene il nostro Dottore sovente portasse con sé a tavola pensieri gravi e profondi, e talvolta mantenesse per tutto il pasto il suo vecchio silentium monastico, sicché a tavola non si proferiva parola, altre volte al momento opportuno si esprimeva in modo molto divertente, con discorsi che noi chiamavamo condimenta mensae [condimenti della tavola] e che erano da noi preferiti a qualsiasi cibo speziato e prezioso. Edizioni
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