Croce di Mastro Guglielmo

Croce di Mastro Guglielmo
AutoreMastro Guglielmo
Data1138
Tecnicatempera su tela di lino applicata su tavola di castagno,
Dimensioni299×214 cm
Ubicazioneconcattedrale di Santa Maria Assunta, Sarzana
Il crocifisso nella collocazione odierna

La Croce di Mastro Guglielmo o Croce di Sarzana è una croce dipinta, datata epigraficamente al 1138 e conservato nella concattedrale di Santa Maria Assunta di Sarzana in provincia della Spezia. Si tratta del più antico esempio di croce dipinta datato[1].

Storia

L'opera venne realizzata per l'antica cattedrale di Luni, oppure fu commissionata per la chiesa di Sant'Andrea di Sarzana; ipoteticamente poteva essere collocata sull'Iconostasi che separava la navata dal presbiterio o zona riservata al clero. In realtà non esistono prove di una simile collocazione e il dettaglio miniaturistico delle scene della Passione dipinte ai lati del corpo del Cristo crocifisso, oltre alle iscrizioni che descrivevano le scene (oggi quasi completamente illeggibili) porterebbe a pensare ad una collocazione che permettesse la fruizione ravvicinata di questi particolari: fruizione non necessariamente destinata ai fedeli, ma più probabilmente al clero che recitava le funzioni.

Nel 1470 la pieve di Sant'Andrea fu sottoposta a lavori di ristrutturazione e la Croce di Guglielmo venne trasferita in un luogo imprecisato. Ricomparve alcuni anni dopo nel vicino oratorio di Santa Croce. Da lì passò nella cattedrale di Santa Maria Assunta, collocata sopra la porta della sacrestia.

Lì la trovò durante la visita pastorale del 1572 il vescovo Giovanni Battista Bracelli che afferma “invenit iconam seu potius aliquas figuras Crucifixi, Beatae Mariae, Nicodemi et aliorum sanctorum vetustissimas et minime condecentes“[2]. Dodici anni dopo, nel 1584, durante la sua visita apostolica monsignor Angelo Peruzzi la vide esposta sull'altare della Purificazione della Beata Vergine Maria ed affermò che detto altare “habet iconam cum imagine Crucifixi, in actu quo Nicodemus corpus D.N. Jesu Christi levavit de cruce, cum multis aliis imaginibus, ita quod redditur valide ornatum“[3].

Nel 1602 venne attribuito all'immagine il miracolo di aver guarito un bambino di nome Agostino, in seguito al voto fatto dalla madre. Data la devozione dei fedeli l'immagine dovette essere collocata in un luogo più adeguato: nello stesso anno del miracolo fu spostata, su proposta dei canonici della cattedrale, nella cappella dedicata a san Giovanni Battista, della famiglia Cattanei. L'altare venne consacrato nel 1607[4]. Alla liturgia ufficiale si affiancò la pietà popolare: venne creata una confraternita dedicata al Santissimo Crocifisso che aveva cura della cappella e propagava la devozione verso l'immagine sacra. La celebrazione della messa avvenne per un certo periodo tutte le mattine di fronte al dipinto[5].

Dalla seconda metà del XVIII secolo la devozione al Crocifisso si legò a tre reliquie della Passione che si trovano nella concattedrale di Sarzana: la reliquia della Santa Croce, quella del Preziosissimo Sangue di Gesù ed alla Santa Vergine del Coro[6]. La tradizione popolare riporta altri miracoli attribuiti all'immagine sacra.

Una copia fedele della croce di Mastro Guglielmo si trova sull'altare maggiore della Abbazia di Heiligenkreuz in Austria: questa è stata realizzata dall'artista italiano Renato Manfredi nel 1980–1981 nell'ambito della ristrutturazione dell'area dell'altare della chiesa[7][8] e appesa sopra l'altare il Venerdì santo (17 aprile) del 1981.[9]

Descrizione

Sulla croce è rappresentato il Cristo crocifisso, accompagnato dai Dolenti e da riquadri di varia dimensione con Storie della Passione. Inoltre, sotto il titulus crucis, compare una firma dell'autore del crocefisso scritta in un distico di esametri leonini che recita: ANNO MILLENO CENTENO / TER QUOQ(ue) DENO / OCTAVO PIN/X(it) / GUILLE(l)M(us) ET H(aec) METRA FINX(it), ovvero Nell'anno 1138 Guglielmo dipinse (quest'opera) e compose questi versi. Risulta così che l'autore fosse un certo Guglielmo, detto anche convenzionalmente "Mastro Guglielmo", di cui null'altro si sa a parte il nome, anche se si può inferire che possedesse una certa cultura, potendo scrivere una dedica in versi latini, cosa non accessibile a tutti in quel periodo storico.

La figura del Cristo è raffigurata come trionfante (Christus triumphans), un'iconografia derivante da avori di epoca carolingia, tipica dell'ambiente della Riforma gregoriana, che si ripresenta nelle altre croci dipinte di area centro-italiana: Lucca, Pisa, Firenze, Arezzo, Spoleto e forse Roma.

La pittura venne realizzata su un supporto in legno di castagno, essenza legnosa tipica delle opere del XII e inizio XIII secolo. Fra gli strati preparatori, poi, si individuano, secondo la tradizione tecnica più consolidata, una tela ingessata, alcune strisce di pergamena per le zone di maggiore fragilità strutturale, e una stesura molto compatta e perfettamente finita di gesso e colla. Dopo l'esecuzione, presumibilmente all'inizio del XIV secolo, la figura del Cristo (ad eccezione del ricco perizoma) venne ridipinta. Venne rispettato però, pur nell'aggiornamento stilistico, la fisionomia, segno di una considerazione già devozionalmente orientata dell'originale. La figura originale è in parte leggibile grazie alla radiografia e alla riflettografia effettuate sul dipinto all'epoca del suo ultimo restauro, concluso dall'Opificio delle Pietre Dure, nel 1998 e pubblicato nel 2001. Il restauro è stato realizzato da Roberto Bellucci, con la collaborazione di Ciro Castelli, Mauro Parri e Andrea Santacesaria per la parte lignea; con la direzione di Marco Ciatti e Cecilia Frosinini.

Il committente, potrebbe essere identificato con un certo Guglielmo Francesco, figlio di Alberto Rufo e legato allo sviluppo economico della città, oppure con un membro della famiglia Villano.

I riquadri

All'estremità del braccio sinistro della Croce è dipinto il volto del profeta Geremia, con un cartiglio che riporta un testo del libro delle Lamentazioni[10], che allude alla prigionia del re Sedecia presso i Caldei, profezia di Gesù Cristo preso ed ucciso dai peccatori. Nella liturgia il testo delle Lamentazioni era impiegato il venerdì e sabato santo. Sopra la rappresentazione dei simboli evangelici dell'angelo e del leone.

All'estremità inferiore del braccio destro è rappresentato il profeta Isaia che tiene tra le mani un cartiglio con un testo tratto dal canto del servo di Jawè[11] che si riferisce all'agnello sacrificale, figura che negli Atti degli Apostoli[12] il diacono Filippo attribuì a Gesù: il passo viene impiegato nella liturgia della Settimana Santa. Sopra la rappresentazione dei simboli evangelici dell'aquila e del bue.

Nello spazio tra la cimasa ed il nimbo di Cristo, è riportato il titulus crucis in latino: Iesus Nazarenus Rex Iudeorum

Le Storie della Passione

Nelle Storie della Passione sono presenti gli episodi:

  • Bacio di Giuda: Cristo isolato al centro della composizione, con alle spalle i soldati, fa un cenno con la mano destra a Pietro che aggredisce Malco con un coltello. Giuda, di fianco, lo bacia.
  • Flagellazione e tradimento di Pietro: Cristo è al centro della composizione con le sue mani legate alla colonna, con a lato, più piccoli, i flagellatori nell'atto di colpire e sopra di loro due angeli di profilo con ampi mantelli; all'estremo lato destro si trova la piccola figura di Pietro che rinnega Gesù.
  • Via del Calvario: Cristo al centro del riquadro guarda fuori della città, seguito dalla folla e dalle donne (tra queste Maria). La scena è statica, solo un Giudeo indica con la mano al Cristo la via dolorosa.
  • Gesù calato dalla Croce: la figura del Cristo esanime è al centro della scena, con Giuseppe di Arimatea che lo sorregge e Nicodemo che toglie i chiodi in basso; sono presenti anche i discepoli e le donne.
  • Deposizione al sepolcro: conclude il ciclo della Passione, con Nicodemo e Giuseppe che depongono Gesù nella tomba alla presenza delle donne e di Maria.
  • Marie al sepolcro: inizia il ciclo della gloria, con l'angelo che annunzia la resurrezione indicando alle donne ed a Maria la tomba vuota ed il sudario.
  • Ascensione, collocata nella cimasa della Croce: gli undici Apostoli con la Vergine al centro tra due Angeli. Al centro, sopra la testa della Vergine, la mandorla entro la quale è raffigurato il Cristo in trono, figura di dimensione maggiore rispetto alle altre[13].

Stile

L'autore è conosciuto solo grazie a questo dipinto, ma già Garrison (1949) lo aveva messo in relazione ad alcune miniature del Passionario P della Biblioteca Arcivescovile di Lucca. Caleca, poi (1994) ipotizza convincentemente un parallelo con alcuni affreschi frammentari nella navata della chiesa di San Frediano a Lucca. Il suo stile permette di attribuirgli un'origine lucchese e una formazione artistica che si avvalse anche di rapporti esterni alla regione. Pietro Toesca ha proposto[14] di confrontare il dipinto con il Trittico del Redentore di Tivoli, appartenente all'arte benedettina del XII secolo, mentre Luigi Coletti ha avvicinato l'opera ad altre croci dipinte nella zona di Pisa, dove si ritrovano le storie della Passione di Cristo sul fondo del tabellone, e di Lucca, dove le croci conservate nelle chiese di San Michele, dei Servi e di Santa Giulia presentano il motivo iconografico dei simboli evangelici ai capicroce laterali.

La figura del Cristo, secondo il Torriti, "presenta una dilatata grandiosità, una possente ricerca vitale e una libertà di movimento che sembra ormai sciogliere le rigide forme orientali."[15].

Considerazioni iconografiche

La cappella della Croce

La Croce fu dipinta in un periodo nel quale l'iconografia sia orientale, sia occidentale aveva il compito di trasmettere contenuti di fede e spiritualità. L'immagine ha in questo periodo una funzione didascalica, come una sorta di “Bibbia per i poveri”, che non potevano leggere. Non era importante che gli spettatori cogliessero il significato dei fatti rappresentati, ma che questi richiamassero alla memoria il dato di fede espresso, anche per la forte analogia fra immagine e gesto liturgico.

Cristo è dipinto come vivo sulla Croce con i cinque segni della Passione, senza la corona di spine ma con il nimbo gemmato. Il dipinto colloca il Cristo vivente, e non morto, secondo l'iconografia del Crocifisso trionfante, nel contesto delle scene pittoriche che lo circondano e gli danno un particolare significato. Nei capicroce laterali, alla sommità delle scene della passione dipinte nella parte inferiore della tavola, sono presenti numerose citazioni bibliche.

La presenza di Maria

Nelle scene raffigurate Maria appare come hodigitria, colei che mostra la via: la sua mano destra indica sempre la figura del Cristo. Maria è raffigurata con il mantello (mophorion) con preziosa bordatura e ornato di tre stelle. Nella raffigurazione dell'Ascensione è raffigurata come orante. Attorniata da due angeli e dagli apostoli sotto il Cristo, in modo analogo ad un affresco del monastero di Bawit in Egitto, datato al VI secolo.

La liturgia pasquale

Alcuni elementi del ciclo pittorico riprendono particolari dei testi dell'ufficio liturgico bizantino: il ruolo attivo come mediatrice di Maria, il rilievo dato alla figura di Giuda e a quelle di Nicodemo e di Giuseppe di Arimatea, la raffigurazione della morte di Cristo con l'immagine dell'agnello ricavata dal testo di Isaia, la presenza delle donne al sepolcro. Il pittore fissa nell'immagine il mistero che la liturgia ha presentato nei momenti profetici e storici, lo dota di sentimenti e lo annuncia. Ne deriva che questa icona esprime una religiosità legata alla celebrazione del mistero liturgico della Pasqua della Chiesa[16].

La devozione al Sangue, radicata anche grazie ad una reliquia in buono stato di conservazione, fin dalla prima metà del XIII secolo fu accompagnata dalla tradizione orale di una relatio, di un evento che facesse rivivere una relazione fra il Santo Volto, il Sangue e S. Nicodemo, al tempo del vescovo locale Guglielmo.[17]

Il 24 settembre 1666, il frate cappuccino Guglielmo da Pieve di Teco curò la pubblicazione della Messa in latino in onore del Preziosissimo Sangue.

Note

  1. ^ Mariagiulia Burresi, Lorenzo Carletti, Cristiano Giacometti, I pittori dell'oro. Alla scoperta della pittura a Pisa nel Medioevo, Pacini Editore, Pisa 2002, p. 20. ISBN 88-7781-501-9
  2. ^ Archivio vescovile Lunense, Visita Apostolica di G. Battista Bracelli, foglio 42 tratta da W. G. van Ketel, Del Crocifisso di mastro Guglielmo a Sarzana: la sua vicenda storica e il suo vissuto come oggetto sacro, Università degli studi di Genova, facoltà di lettere e filosofia, a.a.1983-1984
  3. ^ Archivio vescovile Lunense, Visita Apostolica di Monsignor Angelo Peruzzi, parte I, carta 26 recto e verso tratto da La visita apostolica di Angelo Peruzzi nella Diocesi di Luni-Sarzana (1584), volume primo, a cura di E.Freggia, Roma, 1986, pag 22
  4. ^ Secondo i patti la cappella doveva essere quindi abbellita a cura dei canonici e se ne doveva conservare il nome; una targa marmorea doveva ricordare l'accordo. Dopo la cerimonia nella quale il dipinto venne spostato, tuttavia, la cappella fu conosciuta come "cappella del Crocifisso" e nel 1717 il cardinale Lorenzo Casoni, legato pontificio di papa Clemente XI ne fece rimuovere gli stemmi e gli ornamenti legati alla famiglia. La cappella venne restaurata ancora tra il 1991 e il 1998.
  5. ^ In un intervento del vescovo del 21 gennaio 1617 si legge che: "Essendo stato riferito che ogni mattina si celebra la prima messa nella Cappella del Santissimo Crocifisso della Nostra Cattedrale di Sarzana e che per l'angustia d'essa Cappella ben spesso accadono e possono accadere degli scandali (...) comunichiamo ad ogni sacerdote di celebrare la prima Messa all'altare Maggiore".
  6. ^ Il codice manoscritto “il Sacrista istruito” dato fra il 1741 e il 1842, indica il modo di compiere alcune preghiere: "Quando si espone la reliquia del Preziosissimo Sangue, al mattino si scopre anche il Crocifisso e la Vergine del coro (...) terminata la Messa cantata tanto il Crocifisso che la Vergine del coro si chiudono". Sempre in queste istruzioni si afferma che ogni venerdì la Messa conventuale deve essere cantata nella cappella del Santissimo Crocifisso.
  7. ^ Willi, Agnes: Über alle erhöht, Heiligenkreuz: Be&Be, 2009, p. 33. ISBN 978-3-902694-02-7 (DE)
  8. ^ Stift Heiligenkreuz: "Bravo, lieber Herr Renato Manfredi, bravo!". 15 novembre 1912. URL consultato il 3 luglio 2017. (DE)
  9. ^ Willi, Agnes: Über alle erhöht, Heiligenkreuz: Be&Be, 2009, p. 7 e 33. (DE)
  10. ^ Il testo nel cartiglio riporta: Spiritus oris nostri, Christus Dominus, captus est in peccatis nostris, ovvero "Il nostro respiro, l'unto del Signore, è stato preso nel loro trabocchetto" (Lamentationes, 4,20).
  11. ^ "Sicut ovis ad occisionem ducetur", tradotto come "Era come un agnello condotto al macello".
  12. ^ Atti degli Apostoli, 8,32.
  13. ^ La mandorla indica una presenza divina estranea ed invisibile al mondo sensoriale, percepibile solo dallo spirito ed evidenzia la divina regalità del Cristo.
  14. ^ Pietro Toesca, Storia dell'Arte Italiana, Volume I, il Medioevo, Torino 1913-27, pag. 934
  15. ^ Piero Torriti, Ritorno a una vecchia città, 1977, p.72
  16. ^ Piero Barbieri, La croce di mastro Guglielmo e la sua venerazione nella diocesi di Luni-Sarzana, peg 26
  17. ^ Mons. Piero Barbieri, La devozione al Sangue di Cristo nella diocesi di Luni-Sarzana (PDF), su cattedraledisarzana.it, pp. 53, 64, 186. URL consultato il 3 maggio 2019 (archiviato il 9 aprile 2016).

Bibliografia

  • Pinxit Guillielmus. Il restauro della croce di Sarzana, a cura M. Ciatti, C. Frosinini e R. Bellucci, Edifir Firenze, Ospedaletto (Pisa) 2001.
  • E. Garrison, Romanesque Panel Paintings, Florence 1949, pp. 165–167
  • Anna Rosa Calderoni Masetti, Il passionario P della Biblioteca Capitolare di Lucca e le croci dipinte toscane del XII secolo, in "Quaderni della ricerca scientifica" : 1. Congresso Nazionale di storia dell'arte (Roma, 11 - 14 sett. 1978), 106, 1980, p. 501-514
  • A. Caleca, La pittura Medievale in Toscana, in "La pittura in Italia. L'Altomedioevo", Electa, Milano 1994, pp. 163–180
  • Piero Barbieri, La croce di mastro Guglielmo e la sua venerazione nella diocesi di Luni Sarzana, 1970 circa, manoscritto conservato presso l'archivio vescovile di Sarzana, citato da Le arti a Sarzana, pag 73.
  • Franco Bonatti e Piero Donati, Le Arti a Sarzana, Società Editrice Bonaparte Sarzana, Cinisello Balsamo 1999.
  • Ippolito Landinelli (fedelmente copiato dal M. Gio Vincenzo de Grossi patrizio sarzanese), Storia di tutte le cose più notabili appartenenti alla città di Sarzana e a tutta la provincia, inizi del XVII secolo (copia del 1776), manoscritto conservato presso l'archivio storico del comune di Sarzana, tratto da Pinxit Guillielmus. Il restauro della croce di Sarzana, pagg 17-26.
  • Bonaventura de Rossi (fedelmente copiato dal M. Gio Vincenzo de Grossi patrizio sarzanese), Collectanea copiosissima di memorie e notizie istoriche con gran tempo e fatica aotenticamente dessonte per me Bonaventura de Rossi di Sarzana da moltissime Scritture ed Istorie e da vari Archivi e Librerie per seriamente descrivere tanto la città di Luni quanto di Sarzana e di tutti i Luoghi e Terre principali di Lunigiana distinta in diversi Capitoli a benefizio della Patria e di tutta la Provincia, fine XVIII secolo (copia del 1776), manoscritto conservato presso l'archivio storico del comune di Sarzana, tratto da Pinxit Guillielmus. Il restauro della croce di Sarzana, pagg 17-26.
  • Soccini [il nome non è specificato], Memorie notabili di cose accadute in Sarzana e suo distretto et anche in altre parti d'Italia che cominciano nell'anno 1620, 1620-1659 (trascritte verso il 1750 da Francesco Maria Ferrarini e ritrascritte dal notaio Alessandro Magni Griffi verso il 1850), manoscritto conservato presso la Biblioteca Universitaria di Genova, tratto da Giovanni Sforza,Un cronista sarzanese sconosciuto, Giornale Ligustico, pag 179.

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