Ceramica di GnathiaLa ceramica di Gnathia o ceramica di Egnazia è una sottoclasse della ceramica apula, che si sviluppa dalla decorazione secondaria dello stile ornato[1] ed è datata dal 375-370 a.C. alla fine del III secolo a.C. Numerosi esemplari decorati in questa tecnica policroma rinvennero con gli scavi condotti a Egnazia nel 1848 così che il nome dell'antica città rimase a designare la classe ceramica e la tecnica che la caratterizza;[2] benché non si conosca esattamente il centro di produzione originario si ritiene che potesse essere Taras; numerosi esemplari sono stati prodotti e trovati Paestum e in Campania; ne esiste una varietà siceliota (come quella di Lipari), che si distingue per l'uso del blu, datata all'ultimo quarto del IV secolo a.C. e al primo quarto del III.[1] Lo stileLa superficie dei vasi è ricoperta con una vernice nera sulla quale scene figurate e ornamentali sono dipinte in bianco, spesso con tocchi di giallo e di rosso paonazzo. Questi ultimi colori, applicati al nero già esistente sono fissati da una seconda cottura del vaso. All'inizio della produzione potevano essere presenti incisioni.[1] Di epoca più recente sono gli esemplari sui quali, ad imitazione dei vasi metallici, venivano praticate baccellature verticali, o quelli privi di decorazione figurata e decorati unicamente con ornamenti fitomorfi, talvolta dipinti su fasce a vernice nera che interrompono la baccellatura verticale.[2] Le forme tipiche sono le stesse presenti nella ceramica apula a figure rosse, ma tendono ad una maggiore eleganza.[1] Tra i più antichi autori individuati si ricorda il Pittore delle rose da cui discendono tre gruppi che operano alla fine IV secolo a.C. Il caposcuola del primo gruppo è il Pittore di Lecce 1075 e alla sua bottega appartiene il Pittore della bottiglia del Louvre a cui si deve l'introduzione della baccellatura verticale. Il secondo gruppo è chiamato Gruppo di Dunedin e il terzo comprende il Gruppo del ramoscello di alloro e il Gruppo di Knudsen.[3] Ne fa parte anche il Pittore di Lipari. Note
Bibliografia
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