Castello dell'Uscibene
Il Castello dell'Uscibene, detto anche Palazzo Scibene o palazzo dello Scibene[1], è uno storico palazzo arabo-normanno di Palermo, oggi in stato di abbandono. È situato nel quartiere Altarello di Baida. StoriaLa sua costruzione sarebbe databile secondo alcune interpretazioni tra il 1130 ed il 1154 in pieno periodo ruggeriano, ma è anche possibile che la sua costruzione sia ritardabile di alcuni decenni nel periodo compreso tra il 1154 ed il 1189. Si tratta di un luogo di sollazzo estivo della curia situato nella parte ovest della città, probabilmente venne abitato da alcuni arcivescovi palermitani. Il monumento è il frutto di una storia stratificata di trasformazioni e di restauri che lo hanno interessato dall'Ottocento ad oggi. Nel 2018 un dibattito tra le istituzioni e la città, ha rimesso in primo piano l'esigenza di un progetto di restauro del monumento, che comprenda il restauro dell'intero complesso architettonico e la valorizzazione del paesaggio urbano e agricolo che lo contiene. Dibattito animato anche da contributi scientifici, sull'intero complesso architettonico, che restituiscono una ricca presenza di personaggi importanti per la storia del restauro siciliana, quali Francesco Saverio Cavallari, Francesco Valenti, Mario Guiotto e Giovan Battista Filippo Basile, uniti a osservazioni e rilievi dello stato attuale, studio ancor più significativo se inquadrato alla luce del rinnovato riconoscimento dei monumenti «arabo–normanni» di Palermo da parte dell’UNESCO[2]. si tratta in origine di un piccolo padiglione privato della famiglia Scibene collegato con la sottostante azienda agricola (oggi vignicella dei gesuiti) (intervento di Francesco Lopiccolo al Convegno sullo Scibene del 2014 presso fac. ingegneria). la tenuta agricola passata alla nobiltà normanna fu donata agli arcivescovi di Palermo che provvidero alla realizzazione della cappella e del palazzo sopra il padiglione realizzando così un'ampia terrazza panoramica verso il mare. successivamente gli arcivescovi abbandonarono il luogo per un altro spazio di villeggiatura (Baida) e la tenuta fu affittata decadendo progressivamente. nel tempo (1568 c.a) i gesuiti acquisirono la tenuta maggiore (scibene inferiore) e provarono ad acquisire la tenuta superiore con il padiglione e il palazzo vescovile entrando in rotta di collisione con il principe di Villafranca che ne ottenne il possesso. restaurò l'edificio impiantò il giardino sia realizzando una camera dello scirocco nell'antico jiwan, sia ripristinando il laghetto e impiantando due monumentali fontane di "crocchiole" cioè conchiglie (ricerche di Angheli Zalapì). il giardino era "aperto al pubblico" suscitando le ire dei gesuiti che alla fine riuscirono ad impadronirsene e il luogo fu abbandonato probabilmente come sede del "peccato". DescrizioneAl centro è presente una fontana simile a quella del castello della Zisa e si trova in una sala cruciforme, vi sono anche delle piccole volte di tipo orientale poste anche in altri edifici contemporanei. Ad una estremità dell'edificio c'è una piccola chiesa con volte a botte. in realtà il tetto era ligneo con maggiore altezza sul santuario (ril Cavallari , Goldsmidt ecc) a seguito di crolli e ristrutturazioni il tetto della navata è stato abbassato (esisteva ancora al tempo del Goldsch.) e dopo il crollo il soprintendente dell'epoca progettò un tetto "innovativo" sul santuario: volta a botte in c.a recentemente con un restauro "filologico" è stato definitivamente restaurato l'ingresso. CriticitàL'edificio è in totale stato di abbandono, stritolato dalla vegetazione e dai detriti. Necessiterebbe di interventi di manutenzione e ripristino. Inoltre la cappella è stata posta sotto sequestro per mancata tutela nel 2014.[3] Il monumento è stato riaperto in occasione dell'evento Le vie dei tesori tenutasi nel 2017, che ha riaperto per la prima volta il monumento al pubblico.[4] l'edificio oggi (2022) è in fase di restauro sebbene non si sia tenuto conto dei rilievi di Cavallari, di Basile, di Goldschmidt.
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