Battaglia di al-Raydaniyya
La battaglia di al-Raydāniyya (in arabo معركة الريدانية?, Maʿrakat al-Raydāniyya; Turco Ridaniye Muharebesi) fu combattuta il 22 gennaio del 1517 in Egitto tra le forze ottomane e quelle mamelucche burji. A guidare le prime era il Sultano ottomano Selim I, mentre le seconde (che uscirono sconfitte in modo decisivo) erano al comando del Sultano Ṭūmān Bāy II. Al termine degli scontri, Ṭūmān Bāy II fu giustiziato dal vincitore e fatto appendere in un gabbione sistemato sotto la porta della città, la Bāb Zuwayla, per essere poi inumato dopo 3 giorni di ostentazione ammonitrice ai cairoti.[4] Secondo una tradizione, il Gran Visir ottomano, Hadim Sinan Pascià, restò ucciso in azione, dopo che il Sultano aveva detto: "Vinceremo la battaglia, ma perderemo Sinan". Descrizione della battagliaṬūmān Bāy II volle abbandonare Ṣalāḥiyya, e attaccare gli Ottomani, stanchi a causa della marcia nel deserto,[5] ma all'ultimo momento cedette alle pressioni dei suoi Emiri, accampandosi fuori dalla città di Raydāniyya. Gli Ottomani raggiunsero al-Arish, riuscendo a marciare indisturbati tra Ṣalāḥiyya e Bilbays e Khanqa, e il 20 gennaio raggiunsero Birkat al-Hajj, a poche ore dal Cairo. «O Signore, sostieni il Sultano, monarca della terra e dei due mari, Re dei due Iraq, Custode di entrambe le Città Sante, il grande principe Selīm Shāh. Concedigli il Tuo aiuto celeste e le vittorie gloriose, O Re del presente e del futuro, Signore dell'Universo!» Il saccheggio non si fermò. Gli Ottomani saccheggiarono tutto ciò che potevano prendere. I Circassi vennero ovunque inseguiti e massacrati senza pietà e le loro teste furono appese intorno al campo di battaglia. Solo dopo che passarono diversi giorni Selim I e al-Mutawakkil III convinsero i soldati a fermarsi, e gli abitanti cominciarono di nuovo a provare un certo grado di sicurezza. Soddisfatto di questa vittoria, Selim I si accampò nuovamente nell'isola nei pressi di Būlāq, issando sopra la sua tenda una bandiera rossa e bianca in segno di amnistia nei confronti della popolazione. I Mamelucchi, tuttavia, ne vennero esclusi. Furono spietatamente perseguitati, venne proclamato che chiunque avesse dato loro protezione sarebbe stato messo a morte, e così circa 800 cittadini furono decapitati. Molti cittadini furono risparmiati grazie all'intervento di al-Mutawakkil III. Il figlio del Sultano Qanṣūh al-Ghūrī venne ben accolto e gli fu concesso il palazzo del padre come propria dimora.[5] Poco dopo, l'amnistia fu estesa a tutti gli Emiri rimasti nascosti. L'Emiro Jānberdī al-Ghazalī, che aveva combattuto valorosamente nella battaglia e che si era gettato ai piedi di Selim, venne non solo ricevuto con onore, ma ottenne anche un posto di comando nella guerra contro i beduini fedeli a Ṭūmān Bāy. Vi è una grande diversità di opinioni tra gli storici su quanto Jānberdī al-Ghazalī sia stato effettivamente fedele a Ṭūmān Bāy. La maggior parte degli storici pensa che sia rimasto fedele fino alla battaglia di al-Raydāniyya, e che si sia unito agli Ottomani solo verso la fine di gennaio, quando si convinse che non c'erano più speranze per i Mamelucchi.[5] Note
Bibliografia
Altri progetti
|