AposiopesiL'aposiopesi (dal greco ἀποσιώπησις aposiōpēsis, derivato da aposiōpáō, «io taccio»), chiamata anche reticenza (dal latino reticere, «tacere») o sospensione, è una figura di pensiero. Consiste in un'interruzione improvvisa del discorso, per dare l'impressione di non poter o non voler proseguire, ma lasciando intuire al lettore o all'ascoltatore la conclusione, che viene taciuta deliberatamente per creare una particolare impressione. StoriaSi perfezionò a partire dalla commedia nuova e quindi da Menandro. La commedia arcaica di Aristofane aveva abituato lo spettatore al turpiloquio più spinto, tendenza contro cui si schierarono già Platone e Aristotele: Menandro preferì sottintendere queste espressioni, lasciando immaginare al pubblico gli scatti d'ira. La reticenza occupa una posizione di grande rilievo nell'opera di Cesare, nonché nell'Eneide di Virgilio. Nella Retorica a Gaio Erennio, opera del I sec. a.C., Cicerone, a cui per tradizione si attribuisce lo scritto, nonostante l'autore sia in realtà ignoto, spiegò l’aposiopesi e la chiama praecisio (IV, 41) con un esempio che pone in rilievo la grande conoscenza retorico-pragmatica dello scrittore:
Ma fu poi soltanto Quintiliano, nel suo celebre manuale di retorica Institutio oratoria, a collegare la figura dell'aposiopesi al moto dell'animo adfectus, dall'ira o dalla sollecitudine e dello scrupolo (quasi religionis), ampliando l'impiego della figura anche nel passaggio da un argomento all'altro, spesso anche in modo brusco. CaratteristicheRispetto all'ellissi, l'aposiopesi ha una maggiore connotazione emotiva. Non bisogna confondere l'ellissi con l'aposiopesi. L'ellissi consiste nel lasciare sottintesa una parte della frase, mentre l'aposiopesi consiste nel lasciare un enunciato in sospeso lasciandone intendere il seguito. Se nell'ellissi la frase ha senso compiuto da sé, nell'aposiopesi essa necessita di un completamento, che è affidato all'immaginario del lettore. Un esempio dall'Eneide di Virgilio, 1, 135 (parla Enea):[2]
Nella Divina Commedia di Dante Alighieri vi è un esempio di figura di reticenza nel celebre discorso pronunciato da Francesca da Rimini, Inferno V, 136-138:[3]
Oppure, sempre dalla Commedia di Dante, un'aposiopesi emerge nel famoso ritratto del conte Ugolino, Inferno XXXIII, 75:[4]
Dal romanzo epistolare dello scrittore tedesco Johann Wolfgang von Goethe I dolori del giovane Werther (qui il protagonista Werther esprime l'immensa tristezza che prova nel vedere la donna che ama amare un altro, Alberto, appunto):[5]
Anche nei passi seguenti, tratti dal capolavoro di Alessandro Manzoni I promessi sposi, emerge la reticenza, una delle figure retoriche predilette dall'autore:[6]
Note
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