Apocatastasi (in greco antico: ἀποκατάστασις?, apokatástasis) è un termine dai molteplici significati a seconda degli ambiti (principalmente religiosi e filosofici) in cui è usato. Letteralmente significa «ritorno allo stato originario», «reintegrazione»[1] (anche in senso salvifico).
Nello stoicismo, che trae l'ipotesi dalla fisica di Eraclito, l'apocatastasi indica il "ristabilimento" dell'universo nel suo stato originario, e si collega alla dottrina dell'eterno ritorno propria del tempo ciclico: quando gli astri assumeranno la stessa posizione che avevano all'inizio dell'universo, avverrà una grande conflagrazione o ecpirosi (ἐκπύρωσις, e il tempo e il mondo ricominceranno un nuovo ciclo, cioè una palingenesi (πάλινγένεσις, ovvero "che nasce di nuovo"). Secondo alcuni stoici tale ciclo sarà identico al precedente, secondo altri non necessariamente uguale.[1][2]
Nel neoplatonismo con apocatastasi si indica, per estensione, anche il ritorno dei singoli individui all'unità originaria, all'Uno indifferenziato da cui l'intera realtà proviene, un ritorno reso possibile tramite l'ascesi filosofica, con cui si ripercorre all'inverso la processione che ha generato il molteplice.
«Egli dev'esser accolto in cielo fino ai tempi della restaurazione (apokatastàseos) di tutte le cose, come ha detto Dio fin dall'antichità, per bocca dei suoi santi profeti.»
Anche se permangono alcune incertezze, nel cristianesimo dei primi secoli il principale sostenitore dell'apocatastasi è considerato Origene di Alessandria.[1][7] Secondo Origene, alla fine dei tempi avverrà la redenzione universale e tutte le creature saranno reintegrate nella pienezza del divino, compresi Satana e la morte: in tal senso, dunque, le pene infernali, per quanto lunghe, avrebbero un carattere non definitivo ma purificatorio. I dannati esistono, ma non per sempre, poiché il disegno salvifico non si può compiere se manca una sola creatura: «Riteniamo comunque che la bontà di Dio per opera di Cristo richiamerà tutte le creature ad unica fine, dopo aver vinto e sottomesso anche gli avversari» (De principiis, I, VI, 1).
Base scritturale è il seguente passaggio:
« E quando tutto gli sarà stato sottomesso, anche lui, il Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti. » ( 1Corinzi 15, 28, su laparola.net.)
Ciò significherebbe d'altra parte che la volontà perversa dei dannati più ostinati subirà la condanna eterna e inappellabile della seconda morte, in cui patiranno pene inaudite, perché privati del loro essere più puro e spirituale che verrà riassorbito in Dio.[8]
«Si quis dicit aut sentit, ad tempus esse daemonum et impiorum hominum supplicium, eiusque finem aliquando futurum, sive restitutionem et redintegrationem esse (fore) daemonum aut impiorum hominum, an. s.»
(IT)
«Se qualcuno dice o sente che il castigo dei demoni e degli uomini empi è temporaneo o che esso avrà fine dopo un certo tempo, cioè ci sarà un ristabilimento (apocatastasi) dei demoni o degli uomini empi, sia anatema.»
Anche Vito Mancuso riscontra la vicinanza di alcuni autori cattolici a questa prospettiva:[20]
«Possiamo sperare che l'universale proposito salvifico di Dio si rivelerà efficace e che egli sarà infine 'tutto in tutti', vale a dire che conseguirà il divino obiettivo di salvare tutta la creazione.»
Secondo Ernst Bloch, questo celebre passo paolino sembra alludere a qualcosa che trascende e oltrepassa ogni forma nota di teismo, per rilanciare la speranza fino a un panteismoutopico, inedito.[22][23]
^Christopher Garbowski, Eucatastrophe and the Gift of Iluvatar in Middle-earth, su Mallorn: The Journal of the Tolkien Society, dove si argomenta in particolare del tema del Fato degli Uomini come esposto nello scritto Morgoth's Ring e dell'assenza di un inferno vero e proprio nella teologia e cosmologia di Arda: «Finrod’s reasoning may be cited here: “If we are indeed the Eruhin, the Children of the One, then He will not suffer Himself to be deprived of His own, not by any Enemy, not even by ourselves.” (Tolkien, 1993, p. 320). The last words “not even by ourselves” whether or not they are so intended, can easily be applied to counter the free will argument of the existence of Hell. According to this line of thinking the existence of Hell is one of the ultimate symbols of our freedom: the freedom to deny God completely. In this view in our heart of hearts we either accept God, or deny Him, to our ultimate shame, and in the latter choice condemn ourselves. One could so interpret the scene in Tolkien’s fellow InklingC. S. Lewis’ The Last Battle (from the Chronicles of Narnia) where the condemned animals simply cannot look the godhead figure, Aslan, in the eyes and turn away from paradise as if on their own. The universalist reply implied in Finrod’s words is that the God of love can find a way around our disastrous misuses of freedom without imposing any constraints on freedom itself. This is the radical freedom of God; the freedom of Iluvatar is referred to a number of times in the mythology of Middle-earth. Apocatastasis is not explicit in Tolkien, but the hope of it seems to be strong. As the elves would say, the feeling that “something right or necessary is not present” (Tolkien, 1993, p. 343) is evoked».
Francesco Ghia, Principio Apocatastasi. La vita restituita come postulato di una filosofia morale, Morcelliana, Brescia 2023, 704 pp., ISBN 978-88-372-3852-0