Antonio da RhoAntonio da Rho (Rho, 1398 circa – dopo il 1450) è stato un umanista e religioso italiano. BiografiaLe origini e l'ApologiaDi modesta famiglia, Antonio da Rho a diciotto anni si fece francescano dell'Ordine dei frati minori[1]. Formatosi verso il 1413 presso Giacomo della Torre[1], nel 1425 le fonti riportano di un suo soggiorno a Brescia[1]. Il frate rhodense, dotato di una cultura ancora medievale sotto il profilo strettamente religioso, si appassionò (grazie anche al rapporto, testimoniato fin dal 1413[1], di amicizia con l'ex segretario ducale Antonio Loschi) alla nascente cultura umanistica, studiandone le fondamenta da autodidatta[2]. Quest'aspetto della sua cultura ci è pervenuto nella lucida ed energica difesa (l'Apologia del 1430[1]) che lo stesso frate scrisse al vicario generale dei francescani Antonio da Massa, ribadendo la sua passione per i classici da un lato, e delle arti liberali dall'altro: «Ostile alla dialettica e avvinto dallo studio della retorica, studioso di geometria, aritmetica, musica, astrologia, filosofia, lettere sacre e teologia, sente infine la vocazione degli "studia humanitatis" ("quae veluti barbara quaedam apud me lacerantes prae ignoratione et insulsitate habentur"): ed enumera gli autori letti (fra cui poeti di recente divulgazione come Plauto, Catullo, Tibullo, Properzio, Marziale, e persino il Panormita) e la "frequentissimam turbam" dei moderni, da lui indirettamente o direttamente conosciuti (fra questi, il Loschi, Guarino, F. Barbaro e altri veneziani).» Alla corte di Filippo Maria Visconti (1431-1447)Umanista cortigiano e la polemica con il PanormitaDopo la morte del pedagogo umanista Gasparino Barzizza, Antonio da Rho succedette come docente di eloquenza a Milano (1431) alle dipendenze del duca Filippo Maria Visconti[1]. Entrato ormai nella cerchia degli umanisti lombardi, la produzione del frate minore si orientò verso i due filoni che caratterizzarono la produzione letteraria tardo-viscontea: quella classicheggiante, e quella volgare[1][3][2]. Il suo ruolo alla corte di Filippo Maria fu importante, mantenendosi al fianco del paranoico duca fino alla morte di costui nel 1447[1]. Infatti, non soltanto svolse mansioni culturali e politiche per conto del suo signore[2], ma cercò di strapparlo anche all'influenza che Antonio Beccadelli (detto il Panormita) aveva alla corte viscontea, attaccando i contenuti scandalosi dell'Hermaphroditus[1][4]. Amico intimo di Pier Candido Decembrio ed estimatore di Lorenzo Valla[1](quest'ultimo lo pose tra i vari personaggi del suo dialogo De vero bono[4]), Antonio da Rho compose orazioni cortigiane in memoria del condottiero Niccolò Piccinino (1444)[1]. La morteCon la morte del duca e le torbide vicende che seguirono (la nascita della debole Repubblica Ambrosiana e la conquista del potere da parte di Francesco Sforza nel 1450[5]), si perdono le tracce di Antonio da Rho, del quale si può dire che morì prima del 1453 (come si ricava da una testimonianza di Flavio Biondo[1]). Opere principaliAntonio da Rho fu autore, negli anni al servizio di Filippo Maria, di un'enciclopedia grammaticale, il De imitatione eloquentiae (o Imitationes rethoricae[2]), composta tra il 1430 e il 1433/1443[1][6]. Vasta enciclopedia dal carattere nozionistico ed erudito, i cui lemmi sono organizzati in ordine alfabetico[1], fu criticata dal Lorenzo Valla per il retaggio dell'educazione medievale e quindi per la sua imprecisione nella correttezza etimologica del linguaggio usato[7]. L'altra sua fatica intellettuale furono i Dialogi Tres in Lactantium (1443[1]), scritti in collaborazione con Pier Candido Decembrio e dedicati poi al pontefice Eugenio IV[1], "mirava ad indebolire ulteriormente le asserzioni di Lattanzio col porne in luce, dietro uno spunto di s. Gerolamo, le discrepanze dall'ortodossia cattolica, e secondariamente la debolezza speculativa"[1]. Note
Bibliografia
Voci correlate
Collegamenti esterni
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