Antonio Vivarini, proveniente da una famiglia di vetrai attivi a Murano, fu caposcuola di una delle più importanti botteghe della pittura tradizionale veneziana della prima metà del XV secolo. È comunemente considerato un esponente della cosiddetta scuola di Murano e le sue opere sono profondamente influenzate da Gentile da Fabriano e segnano il passaggio dal Gotico fiorito al Rinascimento. La sua prima opera conosciuta è una pala d'altare, conservata oggi all'Accademia di Venezia, datata 1440, dimostra la sua autonomia artistica, allontanandosi dalla forma che lo aveva preceduto, realizzando figure anatomiche compatte e plastiche, divergendo da quella parte gotica decorativa ma dando tridimensionalità nella rappresentazione degli spazi[1]; il suo ultimo dipinto, conservato a Roma, è datato 1464, anche se ci sono documenti che attestano che il pittore era ancora in vita nel 1470.
Lavorò spesso con Giovanni d'Alemagna, spesso identificato con il cognato Giovanni da Murano, con il quale iniziò la decorazione ad affresco della cappella Ovetari nella chiesa degli Eremitani a Padova, sodalizio artistico che oltre a dare all'artista di Murano una nuova impronta, terminò solo con la morte di Giovanni nel 1450. Difficile decidere quali parti dei lavori eseguiti in collaborazione furono realizzate da uno o dall'altro artista. Lavorarono a fianco dei più giovani Nicolò Pizzolo e Andrea Mantegna. Alla morte improvvisa di Giovanni, Antonio si fece liquidare per il lavoro eseguito, lasciò definitivamente Padova tornando a Venezia.
Fu anche l'arrivo dei nuovi artisti fiorentini, chiamati a decorare la basilica di San Marco, ad interessarlo e in particolare è importante il periodo trascorso a Padova dove poté studiare i lavori di Donatello. Dopo il 1450 Antonio dipinse principalmente da solo o insieme al fratello minore Bartolomeo, realizzando numerose pale d'altare e polittici, in particolare per le chiese di Venezia: le sue opere presentano una considerevole attenzione ad una cromaticità delicata e raffinata, soprattutto negli incarnati. Gli ultimi lavori di Antonio non furono però tra i suoi migliori. La differenza tra i due fratelli è marcata, uno pacato nella pittura, mentre Bartolomeo spigoloso e incisivo, aveva fatto sì che Antonio firmasse da solo gli ultimi suoi lavori, non sempre però di ottima fattura, lasciando molte della commissioni al fratello. Solo uno fu firmato da entrambi, il polittico Incoronazione della Vergine e Santi di Osimo datato 1464[2].
La sua bottega fu proseguita, oltre che dal fratello Bartolomeo, anche dal figlio Alvise.
Polittico (Madonna in trono con bambino, San Francesco, San Cristoforo, San Bernardino da Siena, Sant'Antonio da Padova, Santa Lucia, Santa Margherita, San Nicola, San Cosma e Gesù Cristo), 1474, in Rutigliano, provincia di Bari, Collegiata Santa Maria della Colonna e San Nicola; il polittico di Rutigliano è l'opera vivarinesca più antica presente in Puglia.
^questo polittico è lo stesso citato sopra nella sezione "opere in collaborazione con giovanni da murano" come polittico di Praglia. Infatti in origine era nell'abbazia di Praglia da dove poi pervenne a Brera. Dunque è una ripetizione o lo si mette da una parte o dall'altra.
Bibliografia
Giorgio Sinigaglia, De' Vivarini: pittori da Murano, Bergamo: Istituto italiano d'arti grafiche, 1905
Georg Pudelko, Ein Petrus-Martyr-Altar des Antonio Vivarini, in "Pantheon", fasc. 9, settembre 1937, pp. 283–285
Rodolfo Pallucchini, I Vivarini: Antonio, Bartolomeo, Alvise, Venezia: Neri Pozza Editore, 1961 (Saggi e studi di storia dell'arte; 4)
Francesca D'Arcais, Antonio Vivarini, Milano: Fabbri, 1966 (I maestri del colore n.151)
Federico Zeri, Antonio e Bartolomeo Vivarini: il polittico del 1451 già in San Francesco a Padova, in "Antichita viva", n.4, 1975
Ian Holgate, Due pale d'altare di Antonio Vivarini e Giovanni d'Alemagna: le commissioni per San Moise e San Pantalon, in "Arte veneta", n.57, 2000, pp. 80–91
Miklós Boskovits, Giorgio Fossaluzza, La collezione Cagnola. I dipinti, Busto Arsizio, Nomos Edizioni, 1998.