Alceo Ercolani
Alceo Ercolani (Bomarzo, 28 febbraio 1899 – Bomarzo, 31 luglio 1968) è stato un politico e militare italiano. BiografiaNato nel 1899 a Bomarzo in una famiglia di imprenditori agricoli, combatté nella prima guerra mondiale arruolandosi volontario nell'esercito nel luglio 1916. Dopo la guerra venne inviato in Libia e poi in Albania, prima di essere congedato nel 1920.[1] Entrò in seguito nelle truppe coloniali e dal 1928 al 1933 fu in Somalia; prese poi parte alla guerra d'Etiopia, comandando un reparto di nativi. Combatté nella guerra civile spagnola tra il 1938 e il 1939.[1] Molto attivo a livello politico, aveva aderito al Partito Nazionale Fascista nel 1921 ed era stato fondatore del fascio di Bomarzo e ispettore della Gioventù Italiana del Littorio a Roma.[1] Il 28 marzo 1940 Benito Mussolini lo nominò consigliere nazionale alla Camera dei fasci e delle corporazioni, che era andata a sostituire la Camera dei deputati.[2] Dall'aprile 1940 al maggio 1941 fu segretario federale del partito a Treviso.[1] Nell'autunno 1941 prese parte alla campagna di Russia in qualità di maggiore del 3º Reggimento Bersaglieri.[3] Rimpatriato l'anno successivo per motivi di salute, venne decorato con la medaglia d'argento al valor militare.[4] Fu poi segretario federale di Rieti (aprile-maggio 1943) e di Cosenza (maggio-luglio 1943).[1][5] Destinato a Busto Arsizio dopo la caduta del fascismo per comandare il 25º Battaglione Bersaglieri, abbandonò la truppa l'8 settembre alla notizia dell'armistizio di Cassibile e raggiunse Roma, dove aderì al Partito Fascista Repubblicano.[1] Il 26 settembre 1943 divenne commissario federale del fascio repubblicano di Grosseto e il mese successivo fu nominato Capo della Provincia e quindi prefetto di Grosseto.[1][3] Durante la sua permanenza in Maremma si impegnò celermente e metodicamente alla persecuzione degli ebrei della provincia, organizzandone la deportazione e il sequestro dei beni.[6][7] Il 28 novembre 1943 fece entrare in funzione un campo di concentramento a Roccatederighi, all'interno della struttura del seminario vescovile, ceduto in affitto dal vescovo Paolo Galeazzi.[6] Il 25 ottobre 1943 ordinò un rastrellamento nella zona di Santa Fiora, sul monte Amiata, allo scopo di catturare alcuni prigionieri di guerra britannici evasi, che si concluse con cinque arresti e l'uccisione del colono Pietro Nuti, accusato di nascondere il nemico.[8] Il 29 novembre, a causa dei frequenti bombardamenti alleati su Grosseto, ordinò il trasferimento degli uffici della prefettura presso la tenuta Monteverdi di Paganico.[9] In seguito al decreto del febbraio 1944, che prevedeva la pena di morte per i renitenti e i disertori, Ercolani iniziò uno zelante opera di repressione contro coloro che non si erano presentati alla chiamata alle armi della Repubblica Sociale Italiana e per le famiglie che prestevano loro assistenza e rifugio.[10] A partire dal 2 marzo intensificò le operazioni di rastrellamento, condotte dalla Guardia Nazionale Repubblicana sotto il comando di Ennio Barberini, concentrandosi in particolare nell'area sud-orientale della provincia.[11] Una delle operazioni più note fu quella di Monte Bottigli, che venne organizzata da Ercolani stesso, in collaborazione con il vice-questore Liberale Scotti e il federale Silio Monti: la notte tra il 21 e il 22 marzo undici giovani furono catturati e condannati a morte con processo sommario presso la scuola rurale di Maiano Lavacchio.[10] L'evento sarà ricordato come eccidio di Maiano Lavacchio e le vittime con il nome di "martiri d'Istia", in quanto provenienti in buona parte da Istia d'Ombrone.[10] Ercolani espresse soddisfazione per la riuscita dell'operazione, ma la notizia dell'eccidio alimentò i malumori in città portando indignazione tra la popolazione e anche tra gli stessi fascisti.[10] Il 26 aprile 1944, all'assemblea del fascio repubblicano di Grosseto, l'operato di Ercolani fu aspramente criticato da alcuni tesserati, che giudicarono la strage come un suicidio politico.[10] L'8 giugno 1944 abbandonò Grosseto, ormai prossima alla liberazione da parte degli Alleati, e riparò a Bardolino, in Veneto, dove fu raggiunto pochi giorni dopo da quello che restava della milizia repubblicana grossetana.[12] Nei primi di luglio fu nominato presidente dell'Ente nazionale per l'assistenza ai profughi e la tutela degli interessi delle province invase (ENAP) della RSI, con sede a Milano, incarico che resse fino alla fine della guerra.[12] Arrestato, Ercolani fu condannato a trent'anni di reclusione dalla Corte d'assise di Grosseto.[13] Dopo il ricorso alla Corte suprema di cassazione, una nuova sentenza della Corte d'assise di Perugia, pronunciata nel febbraio 1949, ridusse la pena a 21 anni.[13] Fu scarcerato il 19 maggio 1950, beneficiando della condizionale.[13] Rientrato nella natia Bomarzo, vi morì il 31 luglio 1968. Note
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