Abū al-Ḥasan ʿAlī al-Masʿūdī (in araboﺍﺑﻮ ﺍﻟﺤﺴﻦ ﻋﻠﻲ المسعودي ?) è stato il più celebre enciclopedista del X secolo, il secolo che viene considerato l'apogeo della cultura arabo-islamica.
Al-Mas'ūdī - che si vantava di discendere da ʿAbd Allāh b. Masʿūd, uno dei più importanti Compagni del profetaMaometto - effettuò numerosi viaggi attraverso il mondo islamico e al di fuori di esso: da al-Andalus alla Russia, dall'India alla Cina. È definito dagli storici "l'Erodoto arabo" per la sua capacità di analisi, di riflessione e di spirito critico, anche se non sempre esente da partigianeria e da carenze informative.[2][3]
Nella sua opera enciclopedica, venata da un deciso sentimento sciita, tratta del mondo fin dall'epoca della sua pretesa creazione e termina con la storia del Califfato di al-Muttaqi (947). Analizza la storia, la religione e la geografia, basandosi su testi antichi, anche non musulmani, dalla Siria, dall'Egitto, dalla Persia, dall'India e dalla Transoxiana.
Opere
Gli sono attribuite oltre 20 opere, molte delle quali sulla religione islamica e le eterodossie presenti nella Dār al-Islām, ma molte di esse sono perdute.
Il suo maggior lavoro sembra essere stato quello degli Akhbār al-zamān (“Le notizie del tempo”), in 30 volumi. Il lavoro - che sembra fosse un'enciclopedia dello scibile dei suoi tempi - parlava non solo di storia politica, ma anche delle realizzazioni dell'ingegno umano. Un manoscritto di un solo volume sarebbe conservato a Vienna e, se tale manoscritto è genuino, è tutto ciò che rimane di quest'opera imponente.
Al-Masʿūdī lo fece seguire dal Kitāb al-awsaṭ (“Libro di mezzo”), spesso descritto come un sunto dell'opera precedente. Sicuramente esso era una cronologia storica degli avvenimenti e un suo manoscritto (relativo ancora una volta a un singolo volume) è conservato nella Bodleian Library della Oxford University. Le praterie d'oro - di cui sono conservati vari manoscritti - sono state tradotte in francese da Barbier de Meynard e da Pavet de Courteille fra gli anni 1861 e 1877[4] e negli anni settanta e sono state riviste dal grande arabistaCharles Pellat.
Al-Masʿūdī scrisse anche un al-Tanbīh wa l-ashrāf, ossia "L'osservazione e le cose celebri" (in araboالتنبیه والاشراف?), che costituiva un quinto circa dei Murūj. Esso fu terminato poco prima della sua morte.
Masʿūdī affermò che «solo la logica (kalām[5]) può riconciliare in pieno ragione e fede», fatto che gli costò 10 anni d'esilio al Cairo.
^(HY) Aram N. Ter-Ghevondyan, Արաբական Ամիրայությունները Բագրատունյաց Հայաստանում (The Arab Emirates in Bagratuni Armenia), Yerevan, Armenian SSR, Armenian Academy of Sciences, 1965, p. 15.
^Murūj al-dhahab, ed. C. Barbier de Meynard e A. Pavet de Courteille, Parigi, Imprimerie Imperiale, 1861-1877, 9 voll.
Masʿūdī, Murūj al-dhahab, 9 voll., ed. Charles Barbier de Meynard e Abel Pavet de Courteille, Parigi, Imprimerie Impériale, 1861-77, vol. V, 222, 223, 224-5 e 242-6.