Sulla scia delle contemporanee modifiche apportate al regolamento, volte a incentivare un gioco maggiormente offensivo e spettacolare, venne stabilito che l'autore di un fallo da «ultimo uomo» – in particolare, qualora la circostanza avrebbe potuto favorire la chiara realizzazione di un gol – venisse sanzionato con il rosso diretto.[1] Venne inoltre deciso, dopo 65 anni, di abolire il «fuorigioco in linea»: d'ora in avanti il giocatore in linea con il penultimo avversario non sarebbe stato più considerato in offside.[2]
Calciomercato
Da sinistra: Mancini e Vialli – capocannoniere con 19 reti –, i gemelli del gol della Sampdoria per la prima volta campione d'Italia, insieme al neoacquisto Mychajlyčenko.
La rampante Sampdoria rifinì un organico sempre più collaudato, tutto al servizio dei gemelli del golMancini-Vialli, acquistando la punta Branca e il centrocampista sovietico Mychajlyčenko,[3] quest'ultimo arrivato a Genova tra grandi aspettative ma suo malgrado incapace di adattarsi ai ritmi del calcio italiano.[4] L'Inter, ceduto Matteoli, si limitò al piccolo cabotaggio acquistando i difensori Battistini e Paganin, e il centrocampista Pizzi; sfortunato, invece, l'ingaggio di Fontolan, nei piani estivi destinato a essere il fulcro della manovra offensiva nerazzurra, ma già nel precampionato vittima di un grave infortunio che lo terrà lontano dai campi per tutta la stagione.[5] Mercato a fari spenti anche per i concittadini del Milan che si limitarono ad accogliere come dodicesimo il promettente Rossi.
Il passaggio di Roberto Baggio dalla Fiorentina alla Juventus rinfocolò lo storico livore viola verso i torinesi.
Numerose le novità per una Juventus che, passata in mano a Luca Cordero di Montezemolo e decisa ad abbracciare le contemporanee innovazioni zoniste, affidò la panchina all'emergente Luigi Maifredi[6] e varò un importante mercato che portò a Torino, tra gli altri, lo stopper brasiliano Júlio César, il tedesco Häßler fresco campione del mondo e soprattutto il maggiore colpo mediatico della sessione, il fantasista Roberto Baggio strappato alla Fiorentina[7] – un trasferimento che sfociò in violente proteste di piazza da parte della tifoseria gigliata,[8] rinfocolando lo storico astio viola verso i bianconeri[9] –, il quale andò ad affiancare in attacco i confermati Casiraghi e Schillaci, quest'ultimo reduce dai fasti delle notti magiche mondiali.
La Roma, con Ottavio Bianchi in panchina, poté contare sull'asse Aldair-Giannini-Völler, ma molto presto verrà frenata da un caso di doping– rimasto controverso a distanza di anni – che porterà alle squalifiche annuali di Carnevale e dell'emergente numero unoPeruzzi.[10] I concittadini della Lazio, che stavano proseguendo nella loro opera di risanamento sotto la gestione Calleri, palesarono ambizioni crescenti offrendo la panchina a Dino Zoff e puntando in attacco sul neocampione del mondo Riedle.[11] Nel Napoli detentore del titolo si mise in mostra il giovane Zola, l'unica nota positiva di una stagione segnata dalla "fuga" di Maradona, che chiuse mestamente la sua esperienza in azzurro con una positività alla cocaina.
Il campionato successivo al mondiale di Italia 1990 partì il 9 settembre, a due mesi dalla conclusione della rassegna iridata.[13] Si registrò il debutto dell'ambizioso Parma di Nevio Scala, prima delle tante squadre provenienti dalla Via Emilia ad approdare in questo decennio nella massima categoria, e diverse contendenti al titolo: il Napoli campione uscente, tuttavia subito estromesso dalla lotta per il titolo dopo un inizio sottotono, le milanesi, la rinnovata Juventus e l'outsider Sampdoria.
Il neopromosso Parma fu tra le sorprese della stagione, subito portato dal tecnico Scala nelle coppe europee.
I rossoneri di Arrigo Sacchi presero il comando a punteggio pieno alla terza giornata, rimanendovi sino alla fine di ottobre.[14] La sconfitta casalinga contro la Sampdoria conferì il temporaneo primato a quest'ultima, superata a sua volta dall'Inter il 25 novembre 1990 per effetto del contemporaneo knock-out doriano nella stracittadina.[15] Il 9 dicembre, la compagine nerazzurra trovò un platonico comando solitario allorché Sampdoria e Milan dovettero rinviare i propri impegni, rispettivamente, per maltempo e per la fruttuosa partecipazione alla Coppa Intercontinentale.[16]
Pur tallonati dai genovesi e da una Juventus fin qui convincente, gli uomini di Giovanni Trapattoni mantennero il primato laureandosi simbolicamente campioni d'inverno il 20 gennaio 1991: in una graduatoria fin qui molto corta, il margine sui rivali cittadini era di un punto, mentre l'inedito terzetto composto da doriani, ducali e bianconeri lamentava un ritardo di due lunghezze.[17]
Nel girone di ritorno, complici l'inesperienza della matricola Parma e l'improvviso cedimento della Juventus, la lotta per lo scudetto rimase circoscritta alle sole Inter, Milan e Sampdoria. Furono gli scontri diretti a sancire il dominio blucerchiato: il 17 febbraio la vittoria di Marassi contro i bianconeri lanciò i doriani al primo posto; il 10 marzo anche i rossoneri uscirono sconfitti da Genova; infine il 5 maggio i liguri batterono al Meazza i nerazzurri, ipotecando a conti fatti il titolo. La certezza matematica arrivò il 19 dello stesso mese, dopo la vittoria casalinga per 3-0 contro un Lecce condannato alla retrocessione.
Per gli uomini di Vujadin Boškov, da qualche anno ai vertici del calcio italiano ma che mai erano giunti sul podio del campionato (e per trovare il precedente più rilevante delle sue progenitrici bisognava risalire alla Sampierdarenese finalista nel torneo di Prima Categoria 1921-1922[N 2]), fu il primo scudetto della storia: i blucerchiati raggiunsero lo storico traguardo grazie a un affiatato gruppo sia dentro sia fuori dal campo – in cui spiccarono i 19 gol del capocannoniere Vialli –, e il tricolore andò a premiare il paziente lavoro di costruzione portato avanti negli anni dal presidente Paolo Mantovani.
Lo scudetto mancava alla città di Genova dall'edizione 1923-1924, quando era stato il Genoa ad appuntarselo al petto. Proprio la squadra rossoblù fu l'altra protagonista del campionato, in un'annata da ricordare per il calcio genovese: Osvaldo Bagnoli mise in piedi un altro piccolo "miracolo sportivo" dopo Verona, portando il grifone dal glorioso passato, ma da oltre mezzo secolo lontano da qualsivoglia successo, a issarsi al quarto posto finale – suo migliore piazzamento nel secondo dopoguerra –, frutto di un undici in cui spiccarono la leadership di capitan Signorini e le reti del bomber cecoslovacco Skuhravý.
In una stagione storica per il calcio genovese, Bagnoli guidò il Genoa al quarto posto finale, miglior risultato dei rossoblù dal secondo dopoguerra.
Non andarono oltre un settimo posto una Juventus in caduta libera, alle prese con problemi di risultati e incapace di raggiungere la qualificazione alle coppe europee per la prima volta dopo ventotto anni, e il favorito Napoli, scosso in aprile dalla positività di Maradona ai test antidoping; la fuga del Pibe de Oro in Argentina (che proprio a Genova, contro i futuri scudettati, realizzò dal dischetto la sua ultima rete "italiana"), segnò a posteriori il definitivo tramonto dei sogni di gloria della squadra partenopea dopo anni di eccezionali successi; anche se, nell'immediato, da quel momento il Napoli non perse più una partita sino al termine del campionato, tirandosi fuori da situazioni di classifica pericolose e arrivando a sfiorare la zona UEFA, perduta solo all'ultima giornata.
Convincenti prestazioni arrivarono da Torino e Parma, entrambe (grazie alla squalifica internazionale in cui era incappato il Milan[20]) neopromosse da Coppa UEFA, mentre il Cagliari agganciò la salvezza con un turno di anticipo a spese di Lecce e Pisa, con i pugliesi caduti in Serie B dopo tre anni e i toscani a far ritorno tra i cadetti dopo appena un anno, nonostante un buono scatto iniziale comprensivo di due vittorie; quella pisana fu prima squadra a retrocedere dopo aver vinto le prime due gare di campionato, suo malgrado eguagliata dal Piacenza nel campionato 2002-2003.
Caddero anche Cesena e Bologna, rimaste sul fondo per gran parte del campionato: per i felsinei fu l'inizio di un periodo di declino identico a quello già vissuto agli inizi del decennio precedente, mentre ben più lungo sarà l'oblio dei romagnoli che sarebbero tornati in Serie A solo nella stagione 2010-2011.
Due punti a vittoria, uno a pareggio, zero a sconfitta.
A parità di punti valeva la classifica avulsa, eccetto per l'assegnazione dello scudetto, dei posti salvezza-retrocessione e qualificazione-esclusione dalla Coppa UEFA per i quali era previsto uno spareggio.
Note:
Milan non qualificato alle competizioni europee per effetto della squalifica erogata in seguito all'abbandono del campo durante l'incontro dei quarti di finale di Coppa dei Campioni contro l'Olympique Marsiglia. La UEFA accettò la sostituzione interna evitando lo spareggio fra Torino e Parma.
Media spettatori della Serie A 1990-91: 33.255[27]
Club
Pos.
Media
Milan
1
77.488
Inter
2
54.946
Napoli
3
52.657
Roma
4
43.570
Juventus
5
43.114
Lazio
6
36.371
Torino
7
33.990
Bari
8
32.130
Sampdoria
9
31.338
Genoa
10
31.202
Fiorentina
11
30.733
Cagliari
12
26.933
Bologna
13
21.590
Atalanta
14
18.829
Lecce
15
18.239
Parma
16
18.005
Cesena
17
13.828
Pisa
18
13.607
Note
Esplicative
^«Fu proprio Tanzi, qualche tempo dopo, a spiegare l'operazione. Disse: "Grun e Brolin sono state scelte tecniche, mentre Taffarel, oltre che essere un bravo calciatore, è anche un nostro uomo immagine per il mercato brasiliano, al quale teniamo in modo particolare". E difatti il portiere comparve nei cartelloni pubblicitari di San Paolo e di Rio de Janeiro, di Porto Alegre e di Belo Horizonte, mentre beveva un succo targato Parmalat».[12]
^Campionato giocato sulla base di «un regionalismo spinto all'estremo» poiché oggetto di boicottaggio per il paventato progetto Pozzo e per questo rimasto orfano dei grandi club, fuoriusciti dalla Federazione Italiana Giuoco Calcio e confluiti nella Confederazione Calcistica Italiana che, in risposta, organizzò il torneo di Prima Divisione 1921-1922, dal carattere «quasi nazionale»[18] e per questo passato agli annali come il «vero» assegnatario del titolo di campione d'Italia.[19] Su questo assunto, per maggiore correttezza storico-sportiva i migliori risultati conseguiti da una progenitrice della Sampdoria rimarrebbero i terzi posti dell'Andrea Doria nei campionati di Prima Categoria 1907 e 1908.
^abcGare anticipate al 6 aprile 1991 in vista degli impegni di Inter, Juventus e Roma nel turno di andata delle semifinali delle coppe confederali, cfr. Coppa Italia, Roma-Milan all'Olimpico, in la Repubblica, 23 marzo 1991, p. 37.
Bibliografiche
^ Fulvio Bianchi, "Parlate, arbitri", in la Repubblica, 25 agosto 1990, p. 31.
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