Il catenaccio è uno schema tattico usato soprattutto nel calcio italiano principalmente dagli anni quaranta alla prima metà degli anni settanta.
Storia
La sua introduzione viene fatta risalire al tecnico austriacoKarl Rappan, che propose per la prima volta tale schema nel 1932 quando allenava il Servette. Il Sistema allora in voga prevedeva tre difensori: due terzini "bloccati" (senza compiti in fase di attacco) e un difensore centrale detto stopper, generalmente impegnati in un controllo a uomo serrato, esentati dalla costruzione del gioco offensivo; Rappan, per ottenere una maggiore copertura, ebbe l'idea di togliere un giocatore dal centrocampo e posizionarlo in linea con i difensori, esentandolo dalla marcatura fissa. Nacque quello che Gianni Brera definì il "libero" (in inglesesweeper, ovvero "colui che spazza", poiché spesso era richiesto che calciasse lontano la sfera, evitando pericoli[1]); il difensore senza compiti di copertura "a uomo" era infatti destinato a eventuali raddoppi di marcatura e a recuperare i palloni sfuggiti ai compagni di reparto. Rappan ripropose il Catenaccio, battezzato Verrou in lingua francese, anche al campionato del mondo 1938 quando guidava la nazionale svizzera; con questa variazione tattica, la modesta selezione elvetica ben figurò nel torneo, eliminando la Germania al primo turno e arrivando fino ai quarti di finale, nei quali cedette all'Ungheria futura finalista.[2]
A sinistra, il Catenaccio classico; a destra, lo schema tattico reinterpretato negli anni sessanta
Il Catenaccio, nato dalla disposizione difensiva del Sistema, è ritenuto lo schema tattico che diede inizio da precursore, seppur parzialmente, al cosiddetto calcio all'italiana, una dottrina di gioco basata nella fisicità delle manovre, grande corsa, coperture ferree e ripartenze efficaci. Il modulo, che tradotto in numeri può essere reso come 1-3-3-3, è estremamente prudente (si seguiva l'adagio "primo: non prenderle").[5] Il libero, regista arretrato, dà man forte ai difensori in marcatura (dei quali uno, generalmente il sinistro, può spingere sulla fascia[6]); un ulteriore schermo è rappresentato dai centrocampisti: uno di essi manovra il gioco, gli altri due si occupano di interdire, inserirsi e appoggiare gli attaccanti. I tre davanti pensano alla fase di possesso palla (due ali "pure" e un centravanti). Nell'evoluzione del Catenaccio detta zona mista, uno degli attaccanti esterni si sacrifica nei rientri per aiutare la difesa (definito "ala tornante").[5][7]
Limiti e declino
Il sopraggiungere dello «stile ginga» brasiliano dalla fine degli anni cinquanta in poi[8][9][10] e l'ascesa del totaalvoetbalolandese negli anni settanta, fecero emergere i limiti del Catenaccio, al punto che diversi giornalisti decretarono la sua scomparsa dopo le finali del campionato del mondo 1970 e della Coppa dei Campioni 1971-72, a causa della superiorità delle avversarie.[11] Lo svantaggio del modulo difensivo italiano era il poco adattamento alle situazioni dinamiche di gioco, nel quale eventuali inserimenti improvvisi non venivano letti dagli schemi rigorosi del Catenaccio. Inoltre, pur essendo meno dispendioso fisicamente del calcio a tutto campo di marca oranje, era troppo attendista, poco propositivo ed alla lunga subiva passivamente le azioni portate dagli avversari con molti calciatori contemporaneamente.[12]
Diego Simeone, allenatore dell'Atlético Madrid, ha disposto la propria squadra con un modulo di gioco simile, soprattutto nell'atteggiamento ultradifensivo, nonostante lo schema attuato si discosti dal Catenaccio[20][21][22]